Riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato da alcuni compagni, in solidarietà con Nicola e Alfredo e con l’invito a farlo girare e discuterne:
Due compagni sono tuttora in carcere accusati di aver tolto il piacere di camminare (almeno per un po’) all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, una persona che ha fatto della produzione, commercio, e sperimentazione di armi la propria vita.
Senza voler entrare nella dinamica innocenti-colpevoli, non possiamo che sentirci al fianco dei compagni, portando loro tutta la vicinanza possibile.
D’altra parte, a chiunque abbia premuto il grilletto, vogliamo dire che, funzionale o meno “all’insurrezione”, la sua azione non ci ha per nulla danneggiato, anzi!
Molti, quel 7 maggio, hanno sorriso proprio di gusto!
Una reazione che appare aberrante solo se si ragiona con il filtro creato da decenni di retorica di regime sulla violenza rivoluzionaria.
Un lavoro che lo Stato ha svolto in maniera eccellente, almeno a giudicare dalla freddezza con cui è stata espressa la solidarietà ai compagni arrestati da parte della “galassia anarchica”.
E allora, se si vuole davvero agire da rivoluzionari, è giunto il momento di rompere con questi sedimenti di ideologia del potere, scrollarsi di dosso il timore e la repulsione instillati nei confronti dell’uso della forza e mettersi a ragionare in maniera lucida, non scordando mai l’ottica insurrezionale.
Già, perché è di un atto di violenza rivoluzionaria che si sta parlando. Non sapremmo definire altrimenti un atto che, a prescindere dall’opinione che ognuno ne ha e dai suoi risultati concreti, nasce come attacco al potere nelle intenzioni degli autori stessi, e tale si rivela quantomeno nella sua tangibilità immediata (non dimentichiamo che è stato colpito un fautore concreto di guerre e massacri!).
Naturalmente, non si vogliono qui sindacare le posizioni individuali in merito a questo specifico atto di lotta armata. Ciascuno si tenga stretta la sua idea e le sue valutazioni a proposito della validità, dell’opportunità, dell’eticità del gesto.
Ma, prescindendo da ciò che si pensa di questa azione specifica, l’uso delle armi è sicuramente da contemplare in una lotta insurrezionale fatta di pratiche diverse, ognuna delle quali complementare alle altre. Non vi sarà mai un’insurrezione fatta solo con le armi, né tantomeno una portata avanti senza colpo ferire.
D’altra parte, riteniamo che la simbiosi delle varie pratiche dell’agire sia l’unico modus operandi che concilia una reale efficacia rivoluzionaria (impensabile in un contesto di idolatria di un mezzo esclusivo) con un imprescindibile sviluppo individuale oltre che collettivo.
È giusto che ogni individuo e/o ogni gruppo di affini porti avanti le sue lotte nella maniera che ritiene più adeguata alla distruzione dell’esistente ed alla costruzione di una società liberata. Ma, affinché tali lotte trovino una concretezza insurrezionale, è necessario che siano affiancate e sostenute da percorsi altrui, differenti nei metodi ma aventi i medesimi intenti rivoluzionari.
Questo è ciò che intendiamo come progettualità, quella indispensabile nelle lotte quotidiane, diversa per ogni individuo e in continua evoluzione, da contrapporre alle progettualità assolute, ovvero ai piani d’azione generali, presunti validi in ogni luogo, in ogni momento, in ogni situazione.
D’altronde, la potenzialità maggiore e più affascinante dell’anarchia è il non avere una religione da seguire, un dogma cui sottostare, un partito da votare.
Sarebbe dunque svilente che gli anarchici pensassero se stessi esattamente come li dipinge lo Stato, ovvero come un corpo unico ed uniforme, in cui le diversità d’azione e pensiero di un organo rispetto ad un presunto “giusto funzionamento generale” costituiscano un problema, che diventa cancro da stigmatizzare ed estirpare.
Fortunatamente qualcuno si è dimostrato, in questo come in altri casi, ancora allergico a queste dinamiche, perché troppo impegnato a portare avanti con amore e rabbia il percorso verso l’insurrezione, fatto tanto di azioni quanto di solidarietà attiva ai compagni colpiti dalla repressione.
Quella solidarietà che ci fa sentire così vicini Alfredo e Nicola.
Quella solidarietà che trasforma ogni loro giorno di carcere in un apporto all’insurrezione più di quanto si possa immaginare.
A presto liberi, sempre più vicini al ribaltamento dell’esistente!
Individualità anarchiche del lecchese