Questa settimana pre-pasquale ha visto Ferrara rimbalzare nelle cronache nazionali, ancora una volta, per il “caso” dell’omicidio da parte di quattro poliziotti di Federico Aldrovandi.
Questi per sommi capi i fatti: in seguito alla decisione del Tribunale di Sorveglianza di far scontare a Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri – ossia i quattro sbirri assassini – il residuo pena di sei mesi in carcere, il Coisp (Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle forze di Polizia) ha indetto una mobilitazione itinerante di un paio di settimane per solidarizzare con i “colleghi”. Hanno così iniziato a percorrere le vie meno trafficate della città in un mini-camper, esponendo striscioni (“i delinquenti a casa, i poliziotti in carcere, la legge non è uguale per tutti”) e cercando di imporre la loro squallida versione volantinando in zona stazione e limitrofe.
In mancanza di nessuna reazione, si sono spinti ad “osare” ed a valicare il centro cittadino. Hanno, come risultato, rimediato immediatamente un lancio di fumogeni sul grugno che li ha costretti ad una celere ed ingloriosa ritirata.
La scarcerazione anticipata della Segatto li ha galvanizzati a tal punto da indire un presidio pubblico in piazza Savonarola, proprio sotto gli uffici comunali dove lavora la madre di Federico Aldrovandi.
Scortati da digos e divise varie, hanno dato vita alla loro provocatoria iniziativa, forti anche del sostegno del senatore post-fascista ferrarese Alberto Balboni e del deputato europeo Potito Salatto.
E lo show mass mediatico ha avuto inizio. Prima la bagarre con il sindaco Tiziano Tagliani, assunto ad eroe cittadino per aver voluto arginare la provocazione sbirresca. Cacciato il sindaco dalla piazza, la madre di Aldrovandi ha deciso di scendere sul luogo portando con se la gigantografia del figlio massacrato. Il presidio sbirresco le ha voltato le spalle per poi andarsene ed iniziare il proprio congresso regionale all’interno del Circolo dei Negozianti.
Dopo un paio di giorni, un altro presidio largamente partecipato si è svolto nella medesima piazza: la “società civile” (cittadini comuni, associazioni, ultras e realtà “autonome”), su chiamata della famiglia Aldrovandi e del Comitato Verità per Aldro, si è ritrovata, al fianco di alcune istituzioni e di rappresentanti di partito, a manifestare per “verità e giustizia”.
Alcuni si sono/ci hanno chiesto il motivo della nostra mancata partecipazione.
I motivi sono svariati. Bisogna forse però tornare un poco indietro nel tempo per tracciare un quadro complessivo.
Federico Aldrovandi viene brutalmente e vilmente assassinato il 25 settembre 2005. La famiglia, da subito, non crede ai depistaggi ed alle menzogne sbirresche ed inizia la sua cosiddetta battaglia per la verità e per la giustizia. Da subito intraprende un sentiero rivendicativo e giustizialista, cercando l’appoggio mass mediatico. Non viene mai messa in dubbio la fiducia nelle forze di polizia e nelle istituzioni, si chiede piuttosto una punizione ed un allontanamento per le “mele marce” che disonorano la polizia e lo stato.
Chiaramente, questa impostazione metodologica e di fondo non poteva, e non può, trovare il nostro appoggio e sostegno, fermo restando il rispetto per il lutto patito dalla famiglia Aldrovandi.
Non regge di certo il discorso sulle mele marce, a fronte dei depistaggi che hanno coinvolto tutta la questura e procura ferrarese; non si può fare proprio il sostegno all’ “onorevole corpo di polizia infangato dai quattro assassini”, gli sbirri sono sempre e comunque assassini; non si può sostenere una battaglia di tipo legale, quando la giustizia dei tribunali è salvaguardata da quegli stessi boia in divisa che hanno ammazzato un ragazzo di diciotto anni; non ci si può attestare su un riconoscimento mediatico delle proprie azioni, i giornalisti sono da sempre gli schiavi prezzolati al soldo del potere, dispensatori delle opinioni fabbricate dal capitale.
Durante gli anni, abbiamo affrontato questa tragica vicenda su altri sentieri: presidi in piazza contro la polizia, interruzioni di udienze in tribunali, volantinaggi ed attacchinaggi che ribadivano tutti gli sbirri essere assassini e la polizia un nemico da combattere.
Altri fatti, ben più interessanti di quelli promossi da famiglia ed amici, si sono susseguiti anonimamente in città: interruzioni selvagge del traffico, numerose scritte sui muri, danneggiamenti ad una caserma, blocchi di cruciali arterie stradali con catene e striscioni e, per ultimo, la cacciata del furgone del Coisp per mezzo del lancio di fumogeni.
La linea morbida e “legalitaria” prevalente si inserisce invece appieno nel tessuto sociale intorpidito della città estense. Una popolazione incapace di reagire con decisione e risolutezza perfino a questa ennesima barbarie. Basti ricordare che di tutti i residenti della via dove Federico Aldrovandi ha trovato la morte per mezzo dei massacratori in divisa, soltanto una donna camerunense in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno ha trovato il coraggio di testimoniare contro i poliziotti.
Dopo quest’ultimo carrozzone mediatico, la città, sempre per mezzo delle proprie tanto osannate istituzioni, cerca la via della riconciliazione. Le due “fazioni” insistono sui propri cavalli di battaglia: gli uni spingono perché gli assassini scontino in carcere la condanna, gli altri perché beneficino degli arresti domiciliari; tutti comunque si prodigano a modo loro perché lo “strappo” tra popolazione e polizia si possa ricucire in fretta e perché non si cada in una “spirale di violenza”.
La differenza sta tutta qua: la società civile, pur anche divisa, che cerca la pacificazione e chi preferisce un’esasperazione se non proprio di un conflitto che non esiste, almeno di una contrapposizione.
Non abbiamo voluto partecipare alle iniziative promosse da famigliari ed amici di Aldrovandi proprio per questi motivi: non vogliamo nessuna riconciliazione con la polizia, anzi speriamo in un odio ed in una conflittualità diffusa contro di essa, non vogliamo portare avanti nessuna battaglia legale, non vogliamo finire in prima pagina né sul notiziario delle cinque.
L’omicidio di Aldrovandi, al pari di quelli di Cucchi, Frapporti, Rasman, Bianzino, Uva, ecc., non sono fulmini a ciel sereno, tanto meno la prova dell’esistenza e degli abusi di qualche mela marcia. Al contrario, fanno parte della congenita natura delle forze di polizia: sadica, vile, assassina.
Non esistono abusi di potere, ma soltanto differenti usi ed utilizzi di tale potere, a seconda delle contingenze. Una di queste può essere la vigliaccheria di ammazzare un ragazzino in una via buia e semideserta solo per soddisfare il proprio sadismo represso e la voglia di “divertirsi” tipica dei bastardi forti di manette, manganelli e pistole.
E insomma che proponete? ci viene chiesto.
Di fargliela pagare. Di non sottostare passivamente, o di opporsi democraticamente e civilmente, all’inaccettabile.
Non ci interessano le condanne inflitte agli sbirri, né se le trascorreranno in carcere o agli arresti domiciliari.
Da molte parti si ripete “perché che quello che è accaduto non succeda mai più”.
Non c’è modo alcuno per impedire che queste ed altre terribili storie si ripetano, se non passare all’attacco e lottare per la distruzione della polizia e di quell’ordine costituito di cui è garante.