Il fischio del capotreno, l’allarme sonoro delle porte che si chiudono. Stiamo partendo. Il treno avanza lentamente, lasciandosi alle spalle la stazione. C’è una enorme metropoli da attraversare prima di sbucare nella campagna. Non ho voglia di leggere, non ho sonno: guardo fuori dal finestrino. Lo sguardo vaga per un po’, poi la mia attenzione si concentra su quanto si può vedere lungo i binari. Lunghe mura e poderose colonne colorate con disegni, riempite di scritte. Ce n’è per tutti i gusti. Dichiarazioni d’amore, sfoghi, sigle, tifo sportivo. Talvolta compaiono slogan dal suono familiare: “Liberi tutti”, “No Tav”, “Bloccare tutto”…
Ecco, mentre il treno avanza pigro, non riesco a fare a meno di pensare a questi “writer” militanti che nel buio della notte scavalcano recinzioni ed eludono telecamere per arrivare fin lì, a un passo dalle rotaie. Quanto tempo impiegheranno per rifinire quei graffiti, per contornare quelle lettere cubitali? Ore? Non lo so. So solo che accanto a loro, dietro e davanti a loro, sopra e sotto di loro, si estende tutto un groviglio di cavi, fibre ottiche, valvole, centraline… Trovandosi nel posto giusto e nel momento giusto, basterebbero pochi secondi per passare dall’esortazione all’azione. E invece… Forse quelle infrastrutture sono troppo sottili per poterci scrivere sopra la propria rabbia. Nessuno la leggerebbe.
Superata la metropoli, ora il treno prende velocità. Il paesaggio circostante è mutato, non ci sono più condomini deprimenti e strade intasate, bensì pianure, boschi e sentieri. La bellezza della natura è davanti ai miei occhi ma questi oramai sono puntati sui binari, perennemente costeggiati da lastre di cemento che coprono canaline in cui scorrono i cavi e le fibre. Di tanto in tanto una centralina elettrica di collegamento sfreccia davanti ai miei occhi. A volte piccola, a volte grande. A volte in prossimità di abitazioni, a volte sperduta nella campagna. E poi tralicci, antenne, e tanti altri strani oggetti e strutture. E questo lungo tutto il viaggio, per centinaia e centinaia di chilometri.
Sto per arrivare. Il treno rallenta, penetra in un’altra metropoli. Anche qui i graffitari della notte si sono dati da fare. Anche qui, i soliti slogan: “Liberi tutti”, “No Tav”, “Bloccare tutto”…
Ora il treno è fermo. Il viaggio è finito. Prendo i bagagli e attendo di sentire l’allarme sonoro delle porte che si aprono. Scendo e mentre mi dirigo verso l’uscita sorrido al pensiero che talvolta fa proprio bene stare al finestrino.
[da finimondo.org]