Di seguito la versione testuale. Scarica la versione opuscolo Grido_Delle_Ninfee_8
N°8-MAGGIO 2008
In questo numero: SPECIE IN VIA D’ESTINZIONE nel Delta del Po
Giorno dopo giorno ci rendiamo sempre più conto di quanto il lato più spietato dell’azione antropica, manifestato attraverso il delirante progresso industriale e l’onnipresente scalata economica, vada di pari passo con la rovina di tutto ciò che ci circonda che non siano freddi blocchi di cemento e ferro. In altre parole, CI STIAMO SCAVANDO LA FOSSA. E questa tomba ospita già un’infinità di specie animali e vegetali. La possiamo decorare e abbellire quanto vogliamo, magari contornandola di fiori di plastica, possiamo convincerci che sia qualcos’altro, ma tomba rimane.
Al suo interno, la morte. Fuori, chi cammina ai suoi bordi sperando di non cadervi.
Ci occuperemo di seguito del degradante ruolo di discarica assegnato al fiume Po (e pertanto della situazione dell’area del Delta) da una società che s’illude di poter stuprare il pianeta all’infinito, senza che il frutto dei semi che ha sparso le si ritorca contro, rimandando in continuazione un eventuale “cambio di rotta” che possa metter freno alle ripercussioni che questo ritardo produce: sfruttamento, inquinamento, estinzione.
Gruppo di Studio Contro Ogni Nocività
Un fiume in agonia!
Il fiume Po è, con i suoi 652 km, il più lungo della penisola. Nasce dal monte Monviso e attraversa la pianura padana, “raccogliendo” i rifiuti delle città più industrializzate d’Italia. Tra queste ve ne sono ancora molte sprovviste di un depuratore. L’antico Eridano è quotidianamente avvelenato, infatti, da ogni sorta di scarti civili e industriali (non dimentichiamo che la nostra zona ha il primato nel settore zootecnico).
Il fiume è inoltre degradato a causa degli invasivi lavori di cementificazione degli argini, costruzioni di dighe, canalizzazione e continue opere di urbanizzazione. Inoltre la sua portata diminuisce da decenni a causa delle cave che lo privano della sua sabbia, dell’agricoltura intensiva che preleva ed assorbe una quantità abnorme di acqua e dei lavori di realizzazione delle dighe. In aggiunta, si registra annualmente un abbassamento del suolo di 7-8 mm l’anno.
Una volta (non troppo tempo fa, chi ha più di 40 – 50 anni lo ricorda!) chi abitava nella zona era solito fare il bagno nel Po e nei suoi affluenti; oggi, al contrario, a causa dell’inquinamento essi non sono più balneabili. Nel tratto iniziale del Po le sue acque sono considerate poco inquinate, procedendo verso valle, invece, la concentrazione di inquinanti si fa sempre più alta, raggiungendo livelli allarmanti fin dalla provincia piacentina.
Per coloro che dall’antichità fino a tempi non molto lontani abitava le sue rive, le acque del Po potevano essere viste come fonte di vita e prosperità ma anche, durante gli straripamenti, una forza naturale indomabile e pericolosa, alla quale dovere rispetto.
Oggi l’unica fonte di vita sembra essere l’urbe con le sue panchine verdi nei suoi (minuscoli) spazi verdi…circondati da palazzi e supermercati.
La città è sacra in ogni suo centimetro di cemento e persino la più piccola scritta che possa portare un po’ di colore, osando spezzare quella conformità visiva e quel malessere che solo il grigio può dare, viene condannata e debitamente punita.
E il fiume? Dona acqua alle nostre colture e rappresenta un’importante fonte energetica, ricevendo in cambio i nostri scarti. I muri della città non vanno “sporcati” ma il fiume lo si avvelena quotidianamente, causando danni ben maggiori che vanno al di là di una mera questione estetica.
Fertilizzanti, pesticidi, nitrati (temutissimi scarti legati all’agricoltura), fosfati, detersivi, scarichi industriali (52 % del totale) ma anche i rifiuti quotidiani che produciamo nelle nostre case (rappresentano il 15 %): questo è ciò che riversiamo nelle acque del fiume, avendo il pensiero e il disprezzo rivolto invece a quei vandali che deturpano i bellissimi muri di cemento della città.
Versati nel fiume senza riguardo alcuno, questi reflui contengono svariate sostanze non biodegradabili che impediscono all’acqua il naturale processo di autodepurazione. Questo, infatti, succederebbe grazie alla presenza di batteri e microrganismi decompositori che, assorbendo ossigeno e rilasciando anidride carbonica, distruggerebbero gli inquinanti organici che a loro volta diventerebbero nutrimento per le specie vegetali. In più, bisogna che nell’acqua sia presente ossigeno in buone quantità affinché questo naturale processo abbia luogo, perché esso consente la vita ai microrganismi decompositori e favorisce l’ossidazione delle sostanze.
Ma la concentrazione di inquinanti nelle acque di fiumi e canali impedisce la riossigenazione, ossia quello scambio tra acqua e aria che permette alla prima di rifornirsi di ossigeno. Vogliamo chiarire che per sostanze inquinanti non intendiamo solamente i prodotti dell’industria chimica bensì anche scarti naturali concentrati in elevata quantità, ad esempio gli escrementi degli animali allevati che apportano alle acque un’eccessiva quantità di metano.
Si assiste così a un’alterazione degli equilibri naturali – gli ecosistemi – che ha come effetto una progressiva distruzione di flora e fauna autoctone. Specie che hanno sempre abitato questa zona scompaiono – chi più velocemente e chi meno – e l’ambiente si impoverisce. L’ecosistema è un meccanismo di autoregolazione della natura di cui fanno parte numerose specie (animali e vegetali) e quando una sua parte viene a mancare, tutto l’insieme ne risulta profondamente compromesso.
Ma la questione della perdita della biodiversità non va assolutamente letta come un problema estetico agli occhi dell’uomo ma come il fatto di non potersi arrogare il diritto di minacciare la vita in ogni sua forma, in nome di un progresso assurdamente e ciecamente ritenuto più importante della vita stessa. Nelle acque inquinate gli unici a beneficiare della situazione sono organismi come le alghe microscopiche che, non rientrando nella catena alimentare di nessun altro organismo, proliferano eccessivamente e consumano tutto l’ossigeno presente, che non resta per pesci ed altri animali, portandoli inevitabilmente alla morte. A causa degli scarti delle attività umane gettati nei corsi d’acqua, la biodiversità diminuisce drasticamente, portando all’estinzione svariate specie animali e vegetali. Abituiamoci sin da ora ad immaginare – solo immaginare? – un mondo popolato dall’uomo e poche altre specie, magari selezionate e modificate secondo l’utilità che possono offrire al sapiens, in cui alla ricchezza della vegetazione si sostituisca la varietà delle forme degli edifici e delle macchine.
La varietà di vita che popola la Terra – la biodiversità – è una ricchezza (non in termini economici ma vitali) e tale dovrebbe rimanere. Grazie ad essa gli ecosistemi mantengono il loro equilibrio. Romperlo significa portare alla scomparsa svariate specie e quella umana è soggetta né più né meno delle altre a queste leggi naturali. Non ne è immune e questo non dimentichiamolo.
Spesso si viene a conoscenza (e chissà di quanti casi non sappiamo) di episodi di morie di pesci e devastazioni varie. Riportiamo qui di seguito un fatto accaduto circa un anno fa nella zona di Denore, paesuncolo del ferrarese presso la chiusa Valpagliaro. Qui erano stati avvistati da alcuni residenti e ritrovati a galleggiare sulle acque numerosi pesci morti. Ad uccidere i pesci una densa schiuma bianca, che ha messo in evidenza la presenza di un agente inquinante. E questo è soltanto uno dei tanti casi, non certo l’ultimo e più recente, in cui residenti preoccupati hanno dato l’allarme. Rischiamo un ennesimo disastro ambientale a causa di un termo-distruttore che si pensa di installare nella zona del comune emiliano di Caorso, proprio sotto l’argine maestro del Po: pensiamo a cosa potrebbe accadere se il fiume straripasse e le sue acque trasportassero per chilometri le scorie nucleari qui depositate. Ancora, lungo il fiume verrà costruita una discarica industriale, l’Arvedi Ecodeco, di ben 250 mila metri cubi. Dovrà prevedere ripari e idrovore (grosse pompe che succhiano acqua dal fiume in enorme quantità attraverso tubi del diametro di 1,30 metri per rigettarla in mare) contro le piene, in sostanza tonnellate di cemento coleranno sugli argini e in questa discarica finiranno le polveri di abbattimento dei fumi di acciaieria, i fanghi da depuratore chimico fisico ed altra merda di questo tipo. Questi sono soltanto alcuni esempi, che mostrano piuttosto bene in che considerazione venga tenuto il fiume.
Elenchiamo, di seguito, alcuni tempi di decomposizione in ordine crescente dei rifiuti tra i più comuni: fazzoletti di carta: 4 settimane; mozzicone di sigaretta: più di 1 anno; chewing gum: 5 anni; lattina in alluminio: 10 anni; assorbenti e pannolini: 200 anni; sacchetti di plastica: più di 500 anni. Per quanto riguarda le sostanze chimiche, ampiamente usate in agricoltura ed industria, i tempi sono ancora più lunghi!
Specie in via d’estinzione
E’ necessario ricordare, in primis, che in passato la zona era paludosa e a seguito delle opere di bonifica susseguitesi nel corso dei decenni (cominciate molto prima del ventennio fascista), molte zone verdi sono scomparse e con esse anche le specie che vi abitavano.
Conoscere con certezza il numero delle specie estinte o scomparse da una determinata area a causa dell’inquinamento e di altre attività umane, quali ad esempio caccia e pesca, è sempre difficile, visto che non ci sono note nemmeno tutte quelle che abitano attualmente la zona del Delta del Po. Ma tratteremo qui delle più conosciute. Una delle specie animali che sta scomparendo dalle sponde del Po è sicuramente il fenicottero rosa. Nell’ultimo periodo sono stati ritrovati nelle acque delle valli del Delta – più precisamente in Valle Pozzatini – decine di fenicotteri morti. Le radiografie hanno dimostrato che nell’organismo era presente un altissimo numero di pallini di piombo. Più specificatamente sono morti di saturnismo, ovvero un avvelenamento da piombo che può avvenire per via cutanea, attraverso le mucose o tramite l’apparato digerente e causa convulsioni, ipertensione ed edema cerebrale. L’avvelenamento è stato provocato dall’assorbimento, attraverso l’apparato digerente, di piombo che ha causato occlusione intestinale e picacismo, un disturbo alimentare che concerne l’ingestione di materiali non commestibili.
Nella zona, stando ai dati, si verifica ogni anno un’intensa attività venatoria che uccide quel poco di vita che potrebbe sopravvivere in un ambiente già fortemente reso inabitabile dall’attività umana e ad ogni colpo sparato da coloro che fanno della morte uno sport, cade nelle acque dei laghi un pallino di piombo che va a depositarsi sul fondo, dove i volatili cercano cibo, filtrando alghe e molluschi, ma non – ovviamente! – i piccoli pallini metallici che vengono ingeriti e provocano un lento avvelenamento.
Un’altra specie in via di estinzione è quella dei fraticelli, piccoli uccelli simili ai gabbiani ma più piccoli e agili. Il rischio di estinzione è dovuto alla massiccia presenza dell’uomo nella zona dello Scannone.
Il fraticello nidifica principalmente nei mesi di giugno e luglio per poi migrare; il nido consiste in una piccola buca nel terreno riempita di sabbia e sassolini, dove vengono deposte due o tre uova.
In genere questi nidi si trovano in aree aperte molto vaste come ad esempio le spiagge. La presenza di questi animali nel nostro territorio è minacciata dall’invasione dell’uomo e da ogni sua attività. Altre specie aggiunte recentemente al catalogo di quelle in via d’estinzione per cause umane sono la testuggine terrestre, il rospo bruno di Cornalia (visto l’ultima volta nella zona del Delta ben 20 anni fa), il rospo notturno, la lampreda di mare, lo storione cobice, la faina, il tasso, il porcospino, la rondine, la volpe, il cervo (oggi ve ne sono solo circa 80 esemplari), il daino (500 esemplari circa), il nibbio bruno, la lontra, il lupo, l’albanella minore, l’avocetta, il falco di palude, il tarabusino, la beccaccia, il fratino – da non confondere col fraticello di cui sopra! – e la volpoca. Utile aggiungere che nel parco del Delta del Po, in Sacca Scardovari, il campionato italiano di fuochi d’artificio (!!) qui tenutosi fino al 2006, ha provocato la morte di moltissimi di questi animali venuti a contatto con i cavi elettrici, oppure i fuochi fatti esplodere nelle vicinanze dei nidi con i loro rumori e bagliori hanno provocato la morte dovuta a spavento o caduta di molti pulcini. (Anche i fuochi d’artificio, come il progresso, sono inevitabili e al di sopra di ogni vita?).
Gli animali più piccoli, come gli insetti, sono molto meno “monitorabili” per ovvie ragioni!
L’impoverimento della vegetazione ha causato la progressiva diminuzione delle anatre. Il predatore storicamente più diffuso nella nostra zona era fino a poco tempo fa il luccio, oggi rarissimo se non del tutto scomparso. per concludere parliamo del problema della specie autoctona più tristemente famosa perché protagonista di molte ricette locali: le anguille delle valli comacchiesi. Il numero è nettamente diminuito e la causa primaria – oltre alla pesca – va cercata nella temperatura che supera di sei gradi la media stagionale (conseguenza dell’effetto serra) e che non invita il pesce ad andare verso il mare, dove avverrebbe la riproduzione. Il surriscaldamento altera anche la crescita dei molluschi bivalvi presenti nei fondali che raggiungono dimensioni eccessive e permette l’inserimento di specie esotiche quali il pesce persico trota, il persico sole, il pesce gatto e il siluro. Quest’ultimo più degli altri causa alterazioni gravissime e la drastica diminuzione di alcune specie autoctone.
Per quanto riguarda la flora, invece, basti pensare al titolo di questo bollettino: le ninfee.
Di questi fiori se ne trovavano ovunque lungo il fiume, in gran quantità sino a non troppo tempo fa, mentre ora stanno via via decimandosi e non è l’unica specie vegetale che rischia l’estinzione. Menzioniamo infatti l’alaterno (presente nei boschi termofili, a temperature relativamente elevate), le campanelline maggiori (boschi idrofili, quelli più legati alla presenza di acqua), l’orchidea, in particolare la cimicina (paludi e prati umidi), il limonio comune (suoli salmastri umidi), l’ibisco litorale, il cisto rosso (dune consolidate, in cui la vegetazione è costituita maggiormente da cespugli bassi e compatti e l’azione del vento non è forte abbastanza da spostare la sabbia), la salicornia veneta (fanghi salmastri, zone in cui vi è maggior salinità), il pungitopo, l’elleborina palustre.
Il “cuneo salino”
“L’area del Delta del Po è già da considerarsi in situazione critica per la risalita del cuneo salino” (Autorità di bacino del fiume Po. Parma, 2006).
La scarsa portata del fiume più massacrato d’Italia, dovuta soprattutto all’eccessivo prelievo di acqua per usi irrigui, fa sì che le acque salate, in condizione di alta marea, “risalgano” dal mare per decine di chilometri lungo il Po, rendendo impossibili altri prelievi per l’agricoltura, ostacolando l’uso umano e inserendosi nelle falde, talvolta formando sacche isolate dal mare tramite l’argilla, ma nella maggior parte dei casi mescolandosi direttamente alle acque dolci. Questo processo è dovuto anche all’abbassamento dei fondali tramite prelievi di sabbia o per le modificazioni dei corsi d’acqua, come prevede il progetto dell’Idrovia ferrarese. La denominazione “cuneo salino” deriva dal fatto che l’acqua salata è più pesante di quella dolce e quindi la sua risalita avviene in profondità con uno spostamento cuneiforme. La parte superiore del cuneo vede separati i due tipi d’acqua (interfaccia dolce/salmastro). Pesanti sono le conseguenze per le specie (animali e vegetali) abituate all’acqua dolce, che vengono improvvisamente in contatto con l’acqua salata.
Cosa fare dunque?
Il problema della distruzione ambientale necessita di entrare nelle coscienze e priorità di ognuno di noi, oggi più che mai. Il consumismo sfrenato e l’idolatria delle merci buttano legna sul fuoco devastatore delle industrie di ogni genere che – perennemente inseguitrici del profitto – sacrificano la salute del pianeta che ci ospita e quindi anche la nostra. Ci stiamo abituando a vivere in un mondo sempre più fittizio, che erroneamente crediamo “a nostra immagine e somiglianza”. Siamo invece noi ad adattarci sempre più al contesto che ci circonda – la città. Modifichiamo i nostri istinti, soffriamo di malattie derivanti dallo stile di vita totalmente alienato e alienante, e siamo stati abituati a pensare che la felicità sia poter comprare la maggior quantità di merci possibili. Che siano utili, poco importa oramai. Basta AVERE. Giungiamo spesso al punto di respirare a fatica, dovendo fuggire dalla città per sentire l’aria pulita e fresca della montagna e riempircene i polmoni (ma esiste luogo che non sia stato ormai raggiunto dalle Nocività dell’uomo?). Mentre si continua a morire di cancro e a distruggere ogni altra forma di vita –animale, vegetale – e devastare zone sempre più estese di territorio, si continua a pensare che il progresso sia amico, necessario, giusto. Progresso inteso come produzione smodata di “beni” e il conseguente consumo. Se per progresso intendessimo invece la consapevolezza dei danni che creiamo quotidianamente e l’impegno a cambiare il nostro stile di vita, buttando nel cesso l’egoismo e guadagnandoci TUTTI, vivremmo sicuramente in un mondo più ospitale e sano. Nello specifico, è noto che gli allevamenti intensivi sono tra i maggiori responsabili dell’inquinamento e quindi un grande passo verso un vero cambiamento sarebbe smettere di finanziarli: non mangiare carne e derivati animali, quali uova, latte eccetera. Se poi c’è chi continua a credere che senza prodotti animali si crepa, altro non possiamo fare che suggerire di confrontare le popolazioni più longeve e sane con quelle più malate e bisognose di integratori, farmaci, interventi e prendere in esame le rispettive diete.
Per quanto riguarda il pesce, basti sapere che i metodi di pesca intensiva causano la distruzione di una buona percentuale dei fondali marini, con conseguente alterazione degli ecosistemi. La questione ecologista è strettamente connessa al veganismo (l’esclusione di ogni prodotto di origine animale sia dall’alimentazione che per quanto riguarda vestiti, ecc…) perché è evidente l’incoerenza e l’assurdità del lottare contro gli impianti di morte, buoni solo per arricchire le tasche di pochi bastardi, e nel frattempo continuare a finanziare un’industria che in quanto ad inquinamento non è certo inferiore: quella zootecnica. Fare la raccolta differenziata non è sufficiente, bisogna autoprodurre il più possibile, riscoprire il piacere della lentezza e della soddisfazione di aver fatto qualcosa con le proprie mani, senza averlo comprato avvolto da tremila carte, pacchetti, involucri, scatole..ridurre al minimo la quantità di rifiuti prodotti e costringere le industrie a produrne di meno e cambiare materiali (ad esempio abolizione della plastica) attraverso l’unico metodo efficace: ridurre al minimo gli acquisti. Dobbiamo diventare i bastoni che bloccheranno le ruote di questo sistema economico – sviluppo,progresso o con quali altri eufemismi lo si voglia chiamare – , gli ingranaggi impazziti di un meccanismo malato che non si fa scrupoli a passare sul numero di cadaveri necessario a raggiungere il suo scopo: l’accumulazione di denaro.
Beh, se questi sono i valori della civiltà moderna, siamo contenti di esserne il più possibile distanti, di essere considerati anacronistici e idealisti. Ma siamo consapevoli delle nostre potenzialità e continueremo sempre a lottare contro tutto ciò. Non illudiamoci che politici e industrie abbiano interessi comuni ai nostri, perché a loro interessa solo il profitto e non certamente la nostra salute (strettamente connessa a quella dell’ambiente in cui viviamo). E chi fa le leggi stabilisce arbitrariamente – quanto assurdamente – il livello di sostanze tossiche che possono annerirci i polmoni, decide dove buttare tonnellate di rifiuti, nasconde l’evidenza quando necessario e crea falsi allarmi per spostare la nostra attenzione su altre questioni, per distrarci e continuare (quasi) indisturbato nei suoi squallidi sporchi affari.
I ritmi forsennati di produzione e consumo ai quali siamo stati abituati devono assolutamente retrocedere per lasciare che la vita si rigeneri.