“Il Grido delle Ninfee” num. 10 – Psichiatria

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N°10-APRILE 2009

In questo numero : “PSICHIATRIA: UNA NOCIVITà DA CANCELLARE!”

La cosa bella della democrazia, dicono i suoi difensori, è che ognuno è libero di esprimere e manifestare le proprie idee e quindi, di rimando, se stesso. A sfatare questo mito ci pensano le prigioni, i lager, i campi di prigionia, le celle di tutto il mondo cosiddetto democratico che ospitano – si fa per dire, perché mai ospitalità fu meno richiesta – milioni di individui incarcerati per i motivi o i pretesti più variegati, ma accomunati da un particolare: non appartenere alle classi ricche di potere. Vi è un’altra istituzione totale che si affianca ai luoghi della segregazione umana: il manicomio o, come si suole designare oggigiorno questa struttura, modificandone il senso ma non certo la sostanza, il Dipartimento di Salute Mentale.
In ogni tempo ed in ogni era coloro che non si uniformavano alle usanze e alla morale dei loro tempi venivano rinchiusi, nascosti, celati alla pubblica vista (emblematico che i primi manicomi o “sanatori” del ‘600 e ‘700 erano strutture in cui venivano rinchiusi a chiave i questuanti senza dimora, i poveri e gli ammalati contagiosi). È ciò che accade ancora oggi, dove individui che, per una ragione o l’altra, non vogliono o possono uniformarsi sono catturati dall’infame struttura psichiatrica, umiliati, spogliati di ogni presunto diritto e trattati come persone incapaci di una volontà propria, mancanti di una qualsiasi individualità. In questo numero, il grido della testata trova eco in quello delle persone recise negli affetti e nella vita per mano delle torture inflitte dalla psichiatria. Quest’ultima non può non trovare posto nell’insieme di nocività da distruggere il prima possibile, per ridare un senso alla parola libertà, oggi vilipesa e sfruttata per biechi fini non suoi.
La cattura, il ricovero coatto, il ricorso alla forza pubblica, le contenzioni, la somministrazione di psicofarmaci, le continue umiliazioni da parte del personale, tutto questo non confessa la necessità di un’amministrazione più razionale ma quella di una rapida dissoluzione. Nel 1978 venne approvata la legge 180 e i manicomi vennero lentamente chiusi. Ma se li cerchiamo bene i manicomi, nella loro essenza, ci sono eccome.

“il manicomio non è una struttura, il manicomio è un criterio” (Giorgio Antonucci; contribuì a smantellarne i reparti)

Dai manicomi ai dipartimenti.
I reparti psichiatrici civili o Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono stati costituiti dopo la (cosiddetta) chiusura dei manicomi, a seguito della legge 180 del 13 maggio 1978, camunamente chiamata Legge Basaglia, ma la chiusura “effettiva” vi è stata solo nel 2000 (anche se strutture come gli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, permangono tuttora). Franco Basaglia e altri psichiatri “democratici”, durante gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, scelsero di discostarsi dalla psichiatria ordinaria per orientarsi verso un’azione che fosse meno cruenta e che prevedesse l’apertura dei reparti manicomiali. In realtà le critiche della maggior parte di questi psichiatri alle pratiche manicomiali non arrivarono mai a mettere in dubbio la validità della psichiatria in quanto tale ma manifestarono la volontà di attuare riforme sulle strutture e su alcuni metodologie stigmatizzabili. C’è da dire che la legge 180, anche se fu intitolata a Basaglia, non rispecchiò per niente la sua idea di luoghi aperti e terapie non invasive. Nella sostanza la pratica manicomiale venne riciclata con alcune modifiche irrilevanti sotto il profilo dell’ingerenza sulla persona. Le strutture precedenti, simili a vecchie carceri, sono state rimpiazzate da strutture gestite dalla sanità pubblica. Alla tortura sistematica e alla contenzione forzata per lunghissimi periodi, progressivamente si è sostituito l’impiego massiccio degli psicofarmaci – camicia di forza mentale duratura – che permette di seguire i “pazienti” anche a distanza, con una sorta di monitoraggio periodico. La figura dello psichiatra si è trasformata, nell’immaginario comune, da aguzzino a medico serio ed onesto e la psichiatria viene ancora oggi considerata come una scienza.
Aldilà delle modifiche suaccennate, lo strumento utilizzato e preferito dalla psichiatria rimane sempre l’uso della forza e della costrizione. La parola “internamento” è stata sostituita con “ricovero coatto” ma nulla è cambiato. Ieri gli individui considerati “pazzi” venivano presi con la forza e portati nei manicomi, oggi vengono presi altrettanto con la forza e portati nei reparti ospedalieri, dove permane l’uso di contenzioni fisiche, trattamenti farmacologici e anche, pur se non ovunque, dell’Elettroshock (ESK), altrimenti detta Terapia ElettroConvulsivante (TEC), sperimentata per la prima volta nel ’38 da Cerletti, un medico Italiano.

Niente è cambiato.
Oggigiorno le parole squilibrato, matto o pazzo non vengono più usate. Per designare i “malati di mente” ora viene adoperata la parola “deviante”, che deriva da deviare e significa “allontanarsi dalla via” o, più precisamente, “dirigersi altrove”. O anche “schizofrenico”, che indica semplicemente che l’individuo ha delle contraddizioni, cosa normalissima ma non per gli psichiatri. La psichiatria si è fatta sempre carico di perseguire ogni comportamento definito “anomalo” o “deviante” rispetto alle regole morali e comportamentali stabilite dalla società contemporanea ed è stata usata spesso per reprimere moti di ribellismo spontaneo o individuale che il pregiudizio psichiatrico indica come alterazioni psichiche. Gli psichiatri democratici affermavano che «nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto» e continuavano, denunciando al suo interno «l’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che proprio in quanto tali non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno» (F. Basaglia). Tutto questo è perfettamente sottoscrivibile ma, oggi, ci si dimentica che le stesse cose accadono giornalmente, a 30 anni dall’approvazione della legge 180, non solo nei reparti ospedalieri ma anche nelle strutture residenziali dei servizi psichiatrici territoriali, considerate come la forma tuttora meno invasiva di intervento, dove la regola è comunque la completa privazione di ogni aspetto che riguarda la possibilità individuale di fare delle scelte proprie. In questi Strutture Intermedie Residenziali (SIR) si organizzano gite, spettacoli teatrali, ecc…,perché, viene detto, i “residenti” fanno fatica a socializzare tra loro. Ma che facciano fatica è ovvio; basterebbe eliminare la somministrazione di psicofarmaci per vedere una ripresa della socializzazione. Ma questo non è quel che vogliono evidentemente gli psichiatri. Vedere spettacoli di persone imbottite di Serenase, En, neurolettici ed altre porcherie simili, poi, non è né educativo né simpatico. L’unico fine di questi spettacoli sgradevoli è la stupida approvazione di un’opinione pubblica che crede davvero che la psichiatria, come il carcere, miri al reinserimento degli elementi sociali indesiderabili.

L’internamento, o segregazione.
L’operazione per il ricovero coatto nelle strutture psichiatriche (esclusivamente ospedaliere) è nota con il nome di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). La psichiatria si distingue dalle altri branche della medicina perché prevede il ricovero obbligatorio anche se il “paziente” esprime volontà contraria. Il TSO viene autorizzato quando vengono riscontrate “incapacità d’intendere e volere”, “pericolosità sociale” o “difficoltà psicomotorie” e quando vengono rifiutate le “terapie” (chi le accetta non può essere ricoverato forzatamente). Spesso i sintomi sono inventati di sana pianta! L’internamento è firmato dal sindaco della città o del paese di residenza entro 48 ore dalla richiesta avanzata da un medico qualsiasi e convalidata da un medico della struttura pubblica (generalmente l’Ufficiale Sanitario). Il sindaco, firmando un modulo prestampato, acconsente così al prelievo coatto del presunto malato. Solitamente i sindaci non leggono nemmeno il referto che gli capita sotto mano e anche qualora lo facessero sarebbe inutile, ogni referto è uguale all’altro e cioè una cruda e sintetica paginetta dove si richiede il ricovero, senza ulteriori spiegazioni. Entro le 48 ore successive alla firma del Sindaco questo deve comunicare al Giudice Tutelare competente per territorio il provvedimento di TSO affinché questi lo convalidi. In assenza della convalida del Giudice Tutelare il provvedimento è nullo. L’esecuzione materiale di un TSO è affidata alla forza pubblica, Carabinieri e Vigili Urbani, con l’impiego di ambulanze ed operatori dell’USL. A volte è presente lo psichiatra od altro medico che ha sottoscritto il TSO, pur se in moltissimi casi questo si basi sulla sola relazione del medico generico, senza aver svolto una visita propria (in questo caso il TSO non è valido ed esistono gli estremi del reato. Questa procedura è più comune di quanto si pensi). Il potere psichiatrico, nel caso di un TSO, è enorme e anche rivolgendosi ad un avvocato si può fare ben poco per sottrarvi la persona. Chi ha tentato di difendere un amico o un famigliare da un TSO lo ha potuto constatare. L’unica condizione per essere tranquilli è la speranza di non finire mai dentro la spirale d’interesse degli psichiatri. Infatti, anche finito il periodo di ricovero obbligatorio in regime di TSO (che ha per legge la durata di 7 giorni e può essere prolungabile nel tempo), gli psichiatri vorranno sempre interessarsi della tua vita e continuare a somministrarti le loro “cure”. Lo sa bene chi, una volta uscito, continua a vedersi prescrivere psicofarmaci o viene “invitato” a recarsi a visite periodiche obbligatorie (ASO, Accertamento Sanitario Obbligatorio) con la minaccia, qualora non si presentasse, di ristabilire il regime di TSO.
L’ordinamento giuridico stabilisce l’impossibilità, da parte delle strutture sanitarie, di intervenire contro la volontà del paziente cosciente e in grado di intendere e volere, anche nel caso in cui l’intervento fosse mirato a salvargli la vita. La psichiatria, come detto, aggira questa norma giudicando (senza dimostrarlo) i soggetti su cui interviene come non in grado di intendere e volere. Il fatto è che sotto la lente della psichiatria siamo tutti malati! Basta poco per finire internati nelle sue strutture. Abbiamo conosciuto persone che sono finite nel mirino della psichiatria per aver bevuto qualche birra in più o perché si sono addormentate per strada (e immaginate che bello dev’essere risvegliarsi in un reparto psichiatrico). Per raccontarne una, anni fa, a Ferrara (città ampiamente psichiatrizzata!), un compagno che aveva deciso di fare un giro nel centro cittadino e si era imbattuto in una cerimonia pubblica con le istituzioni, trovando il microfono acceso decideva che, sebbene non invitato, nessuno aveva il diritto di vietargli di parlare. È bastato questo perché una decina di poliziotti gli si lanciassero addosso, lo prendessero per braccia e gambe e lo portassero su una volante. Visto che sembrava non gradire lo hanno “accompagnato” all’ospedale Sant’Anna di Ferrara e da qui al Centro di igiene mentale “Diagnosi e Cura”, dove lo hanno imbottito di sedativi con un’iniezione e dove lo hanno legato al letto dopo avergli tolto le manette, lasciate ai polsi per ore! Lo hanno trattenuto per due settimane. Lo abbiamo potuto vedere per i primi due giorni e poi non ci hanno più fatto entrare, forse perché la solidarietà dava troppo fastidio ai signori psichiatri, che evidentemente non riuscivano a spiegarsela poiché, per la maggior parte, i detenuti di queste strutture, poiché di detenuti si tratta, sono dimenticati da tutti. Chi si ribella ad un’autorità non può che essere un pazzo, un fuori di testa, senza la ben che minima concezione d’intendere e di volere! Questo il messaggio che anche in quell’occasione si è voluto trasmettere. La responsabilità di questi interventi d’autorità a danno di singoli individui risiede, oltre che nella consapevolezza degli psichiatri della loro impunità, anche nell’indifferenza della società che con la sua tendenza ad accettare gli abusi permette che si consolidino. In molti casi è proprio la famiglia che preferisce la soluzione dell’internamento piuttosto che cercare di capire le motivazioni che stanno dietro ad un disagio o ad un comportamento vissuto come inconsueto. In altri casi è lo stesso individuo che richiede di essere seguito come volontario nelle strutture psichiatriche, convinto dalla famiglia o dagli amici, o anche dai datori di lavoro. Ma pure chi è volontario spesso ha difficoltà ad uscire e molte volte gli psichiatri commutano il regime volontario in regime di TSO.
I reparti ospedalieri in cui viene applicato il TSO sono luoghi asettici ed alienanti, con luci al Neon e pareti bianche, stanze da due o tre persone. Molti individui non possono uscire, nemmeno con l’accompagnatore e per poter fare una passeggiata o prendere una boccata d’aria possono contare esclusivamente, quando ci sono, sui giardinetti interni (piccoli e chiusi da ogni lato da pareti insormontabili e sbarre). Gli orari dei pasti, come quelli per la doccia, sono decisi dal personale e comunque subordinati agli orari di somministrazione dei farmaci. Alcuni dei segregati saltano i pasti perché si addormentano a causa di pastiglie e gocce. Le finestre sull’esterno hanno sbarre di ferro e le porte d’ingresso si possono aprire solamente per mezzo di un bottone posto nella stanza blindata del personale. Un carcere in tutto e per tutto, tranne che chi vi è rinchiuso deve sopportare, per di più, le incursioni nella sfera personale da parte degli psichiatri, che cercano di stabilire le cause della supposta malattia.A volte nemmeno questo e i “malati” vengono tenuti semplicemente confinati nelle loro camerate. Non è difficile riscontrare furti di oggetti personali e soldi. L’igiene varia da centro a centro ma il livello è generalmente basso.

I maltrattamenti.
Anche nelle strutture civili i maltrattamenti sono lontani dall’essere cessati. Le persone sono vessate, umiliate, molestate ed offese dagli inservienti e dagli infermieri. Per rimanere nell’area emiliana, i dirigenti del Centro Salute Mentale di San Giorgio di Piano, nonché i responsabili e un operatore di “Luna Nuova”, comunità psichiatrica di Bentivoglio (Bologna), sono ora a processo per maltrattamenti successi tra il 2003 e il 2004, in cui perì un degente. I dirigenti sono accusati di aver nascosto gli abusi degli operatori. Non ci si sorprenda, queste sono cose che accadono ordinariamente anche se molti casi non si verranno mai a sapere.
Un caso di abuso psichiatrico, conclusosi tragicamente, è accaduto recentemente e riguarda la morte di Renata Laghi, avvenuta il 6 ottobre 2008 nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale Morgagni di Forlì.
La vicenda merita di essere raccontata per intero.
Renata decide di farsi controllare da un medico perché si sente depressa. Va all’ospedale di Forlì per la visita. Quando saluta i familiari è tranquilla, dice che si vedranno di lì a poco, che tornerà a casa dopo il controllo. Il medico, invece, ordina un TSO. La sera stessa viene portata nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale. Non tornerà più a casa. Quando il marito va a trovarla, la scena è di quelle che non si dimenticano. Ecco il racconto del marito: «Renata era su una sedia, completamente fuori di sé. Aveva la bava alla bocca, si era fatta la pipì addosso ed era tutta sporca. Non rispondeva. Era completamente sedata. Era un’altra persona dal giorno prima. E’ chiaro che le era stato dato qualcosa di molto forte. Ho chiesto agli infermieri cosa fosse successo, ma nessuno diceva niente. Mi dicevano di andare via. Mi trattavano con maleducazione, erano infastiditi dalle mie domande. Ho chiesto di parlare con un dottore, ne avevo intravisto uno dentro la guardiola. Mi hanno detto che non c’era. Lì mi sono arrabbiato, ho detto che avrei aspettato. A quel punto mi hanno detto che il medico era tornato. Si è presentato quello che era sempre stato in guardiola. Ma non mi ha spiegato niente». Ecco anche il racconto dei figli: «Il giorno seguente l’abbiamo trovata nel letto. Era legata. Era in uno stato pessimo: agitata, sporca, non beveva chissà da quanto. Riusciva solo a dire “acqua, acqua”. Aveva la bocca piena di croste. Fra l’altro soffriva d’asma. Le avevamo portato la sua bomboletta, ma era stata subito sequestrata. Lei era nel letto, immobilizzata e il campanello non era raggiungibile. Se avesse avuto una crisi non se se sarebbe accorto nessuno. Era dimagrita di 15 chili, sempre disidratata, piena di sedativi. Nei rari momenti in cui era un po’ più lucida diceva che la maltrattavano, che la picchiavano e la umiliavano. Diceva che se l’avessimo lasciata lì l’avrebbero ammazzata. Era piena di lividi. Al momento del ricovero non aveva nessun problema fisico. In camera mortuaria, quando l’ho vista per l’ultima volta, aveva un sacco di ematomi. Di certo non era stata trattata con cura». Dopo otto giorni di ricovero (i giorni di ricovero per Renata sono dieci in tutto) la figlia nota che la madre ha il respiro un po’ affannato e lo fa presente agli infermieri. Non ottiene nessuna attenzione. La mattina del 6 ottobre la famiglia riceve una chiamata. E’ l’ospedale. Gli dicono che le condizioni di Renata si sono aggravate. Quando arrivano a Forlì, Renata è morta. Nel referto c’è scritto “arresto cardiaco”, che vuole dire tutto e niente. Secondo il referto autoptico Renata Laghi è morta di un arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria. In altre parole è con tutta probabilità morta soffocata, forse per una reazione ai farmaci.
Abbiamo ripercorso quanto successo perché ci sembra la miglior prova di come la psichiatria opera e degli abusi che compie, che non sono sporadici come si vorrebbe far credere. Ma anche quando non si arriva a simili delitti, la sola esistenza della psichiatria, di misure coercitive nei confronti della libertà degli individui, è qualcosa di inaccettabile.

Gli psicofarmaci.
Come può, una persona imbottita di psicofarmaci chimici, magari relegata per giorni interi in camera, ridotta a larva umana, difendere quella individualità che le cure psichiatriche si dice servano a fargli riacquistare? Basterebbe porsi questa domanda per comprendere le menzogne della psichiatria. Se per l’ESK è necessaria la firma di qualche autorità, per la somministrazione di psicofarmaci non è necessaria alcuna autorizzazione. Somministrati anche più e più volte al giorno (anche variando la terapia) o iniettati direttamente nel corpo (farmaci Depot) quando qualcuno viene “accompagnato” in un reparto psichiatrico e comprensibilmente si oppone all’internamento, gli psicofarmaci sono senz’altro la misura più comune della psichiatria moderna. Anche il rifiuto delle “terapie” e le proteste per il trattamento subito viene visto dagli psichiatri come “sintomo” della “malattia” e punito di conseguenza con nuove somministrazioni. A queste sollecitazioni chimiche l’organismo umano reagisce in vari modi. Un visitatore saltuario di un reparto psichiatrico, vedendo persone sedate ed indifferenti agli stimoli esterni, che mostrano difficoltà di deambulazione e comprensione, potrebbe scambiare quelli che sono gli effetti della somministrazione dei farmaci come la prova dei sintomi di una malattia mentale. Questo è quello che gli psichiatri vogliono si pensi e pensano. Non di rado, ad una persona che mostra di essere “apatica” per colpa dei farmaci ne vengono dati altri dagli effetti contrari e via di seguito (dopo sarà “eccessivamente agitata”), in un ciclo potenzialmente senza fine. Anche se la legge italiana prevede che la persona sia informata del tipo di terapia e degli effetti che essa produce, nella quasi totalità dei casi non vi è consenso informato, né viene riferito il nome del farmaco e del principio attivo.
Nel caso dei Depot, poi, in cui la somministrazione avviene per via endovenosa, in caso di reazioni al farmaco la terapia non può nemmeno essere sospesa data la capacità di rilasciare il principio attivo fino a 30 giorni consecutivi. Gli effetti negativi degli psicofarmaci, banalmente chiamati “controindicazioni”, sono innumerevoli. Dalla sclerosi multipla al cancro, dall’asma cronica al soffocamento, dall’arresto cardiaco alle difficoltà cognitive e alla soppressione delle emozioni, dai problemi al midollo spinale alle allergie, dall’invecchiamento cellulare alla distruzione della memoria, dai disturbi anche gravi del movimento ai gravi danni a carico delle cellule del sangue, dall’intossicazione del fegato a quella dei reni, dalla dipendenza alla modificazione fisica del proprio corpo e all’obesità. Fino anche alla morte (il Zyprexa, uno dei neurolettici più diffusi, ha causato parecchi decessi).
Qui abbiamo solamente descritto alcune delle più comuni reazioni dell’organismo all’indebita introduzione di psicofarmaci ma queste, è bene saperlo, variano da farmaco a farmaco e da persona a persona. Gli psichiatri credono di aver dimostrato che, poiché gli psicofarmaci inducono una modificazione dell’umore e dello stato di coscienza, questa sarebbe la prova che la “cura” funziona. In pratica, per dimostrare che la malattia mentale è una malattia del cervello, portano come esempio i risultati delle terapie con i Neurolettici, come in passato succedeva per l’elettroshock e la lobotomia. Ma è ovvio e scontato che, dato che i Neurolettici (detti anche Neuroplegici, Psicotici o tranquillanti maggiori) sono farmaci paralizzanti delle funzioni del sistema nervoso centrale, in passato usati addirittura come insetticidi e coloranti, producano degli effetti sull’organismo. Se si accetta che questa sia una “cura”, allora anche gli effetti della lobotomia, che causava danni volontari con l’asportazione di parti del cervello per causare alterazioni del comportamento, vanno visti come prova di un’avvenuta guarigione. Ed infatti alcuni psichiatri ne sono convinti ancor’oggi. Al contrario noi vediamo, in questi atti, solo prevaricazione ed ignoranza. Come se non bastasse la psichiatria, in questi ultimi anni, ha cominciato la somministrazione di psicofarmaci anche ai bambini. È stata inventata una nuova malattia, l’ADHD, Disturbo di Attenzione ed Iperattività. Questa (presunta) sindrome viene diagnosticata a bambini con problemi di rendimento scolastico dovuti alla loro vivacità, alla loro difficoltà nello stare buoni, attenti, ubbidienti ecc… In pratica è la descrizione di qualsiasi bambino medio con energie e voglia di vivere. I questionari con cui si “attesta” l’ADHD prevedono domande del tipo: “spesso parla eccessivamente?”, “marina spesso la scuola?”, “si rifiuta di rispettare le regole degli adulti?”, “è in continuo movimento o agisce come se avesse l’argento vivo addosso?”, “spesso corre o si arrampica in situazioni in cui è inappropriato?”, “ha difficoltà ad organizzare i propri compiti?”, ed altre dello stesso tenore. È chiaro che se queste espressioni dell’adolescenza sono i sintomi di una malattia allora sono tutti i bambini ad essere malati! Chi non trova una corrispondenza con quando era piccolo? Il nuovo mercato in cui le aziende farmaceutiche possono inserirsi è grande. In America più del 2% dei bambini in età scolare (4 milioni di bambini, in pratica circa due alunni per classe) è stato trattato con psicostimolanti e ci sono stati incrementi fortissimi anche nelle prescrizioni a bambini in età prescolare. Uno degli psicofarmaci adoperati è il temibile Ritalin, un farmaco a base di metilfenidato, un principio attivo stimolante associabile alle anfetamine o alla cocaina, spacciato al mercato nero ai tossicodipendenti. Essendo uno stimolante centrale, il metilfenidato appartiene ai farmaci d’abuso ed è incluso nella Tabella I degli stupefacenti. La sua commercializzazione venne sospesa in Italia nel 1989, su iniziativa dell’azienda che allora lo produceva. Eppure la Commissione Unica del Farmaco e il Dipartimento del Farmaco del Ministero della Sanità, in un incontro, hanno invitato la multinazionale NOVARTIS, attuale titolare del Ritalin, a presentare richiesta per la sua registrazione e commercializzazione in Italia. In data 18/10/2000 la Novartis ha comunicato al Dipartimento Valutazione Medicinali e Farmacovigilanza la sua disponibilità. Funzionale ad una scuola-azienda che fa della produttività e della meritocrazia i suoi unici fini perseguiti, il Ritalin sta incontrando in Italia un rapido favore ed è capitato che si facesse una sua propaganda nelle cliniche pubbliche ed anche all’interno delle scuole. Queste intromissioni sono sempre più presenti e nascono da associazioni di genitori e psichiatri, alleati con l’obbiettivo di avere figli e cittadini docili ed ubbidienti già dalla tenera età, disciplinati proprio come vogliono i loro genitori e lo Stato. Il ricorso ossessivo al farmaco – interpretato erroneamente come cura – è funzionale ad un contesto sociale che crea esso stesso i motivi del disagio percepito. Il Tavor, un ansiolitico, è in assoluto il farmaco più venduto in Italia, addirittura più dell’Aspirina e la vendita di psicofarmaci è destinata ad aumentare anche nelle proiezioni dell’OMS, che dà la “depressione” come la seconda causa di “disabilità sociale ed economica” nel 2020, dopo le malattie cardiovascolari. Che siano antidepressivi, neurolettici, eccitanti od ansiolitici – la pillola per ogni occasione, insomma – la farmacologia psichiatrica agisce come repressione preventiva nei confronti di una possibile presa di coscienza delle cause sociali del proprio disagio e sulla possibilità di disfarsene per il proprio benessere. In futuro il controllo sociale passerà sempre più attraverso le neuroscienze, strettamente collegate alle nuove tecnologie che giocheranno un ruolo di primo piano nella medicalizzazione forzata dell’intera società. L’uso dei farmaci come forma di controllo sociale è da sempre prerogativa dei regimi fortemente dittatoriali. Una cultura in cui il diverso, l’eccentrico, chi non si uniforma ai comportamenti dettati dalla società è da considerarsi malato rischia di prendere sempre più campo e a partire dai primi anni di vita. In questi anni, per finire, ci sono state proposte di aprire il settore della psichiatria civile anche a privati ed aziende. La volontà è quella di mettere mano alla L. 180, aprendo le porte dei nuovi manicomi anche alle categorie degli immigrati e dei consumatori di droghe. In più, si sta studiando la possibilità di nuove strutture detentive, in gran parte private, per rinchiudere i “disturbati della società” (o DALLA società?) dopo il TSO, dato che le strutture psichiatriche, è la scusa, riescono a seguire “appena” il 10% dei potenziali “malati”. La fase post-TSO, in questo caso, potrebbe durare per un periodo indeterminato e sarebbe soggetta agli interessi delle strutture private, modellate sulla falsariga dei centri di permanenza per immigrati. Se dovesse accadere, l’impiego degli psicofarmaci, dato l’enorme mercato che smuovono, aumenterebbe ancor più. Alcune grosse società, come HSS (Holding Sanità e Servizi), controllata dal Gruppo Cir (Compagnia Industrie Riunite) di Carlo De Benedetti, già si occupano della gestione di ospedali e strutture psichiatriche e anche di residenze per anziani.

La Psichiatria si basa su un pregiudizio morale/culturale.
Esiste la malattia mentale? Esiste qualcuno che, in buona fede, possa affermare di aver scoperto in un difetto del cervello le cause della diversificazione di costumi, culture, moralità, sessualità, sensibilità, comportamento umani? Non è, questa, una argomentazione con la quale tutte le più spregevoli dittature hanno giustificato le loro azioni? Non a caso, proprio durante il nazismo si compirono le “scoperte” che influenzarono la psichiatria moderna. La malattia mentale, che ne dicano gli psichiatri, non esiste! Esistono i danni cerebrali al cervello, questi sì, ma nulla hanno a che vedere con il campo della psichiatria (per quel tipo di danni organici, infatti, c’è un’altra scienza: la neurologia, anche se a volte i portatori di handicap cerebrale finiscono comunque nei reparti psichiatrici ed i confini tra i due settori hanno contorni sfumati). La psichiatria pretende di dimostrare l’esistenza della malattia mentale asserendo che le varie tipologie di comportamento e la scale di valori e le idee di un determinato individuo, se dimostrate devianti dal codice morale e comportamentale dell’ordinamento socio-culturale attuale, nonché quando magari in contrapposizione con i rigori della legge, proprio perché devianti vanno ricondotte ad un sistema mentale ammalato, ad una forma patologica che si esplicherebbe nell’allontanamento dalla normalità (da UNA normalità, diciamo noi!). Nel corso del tempo la categoria della devianza ha contemplato, ad esempio, l’omosessualità, che fino a non troppo tempo fa, viste le premesse ideologiche, era considerata come una forma di grave turba mentale. Seguendo la stessa logica, cosa dovremmo dire, allora, di quei religiosi che affermano l’esistenza di un Dio supremo senza averlo mai visto? La società si guarda bene dal dare del pazzo al Papa o al Dalai lama, eppure la differenza con chi afferma di sentire le voci o crede in una sua interiore metafisica è solo questione di costume (e di potere). Basterebbero questi pochi esempi per dire della psichiatria che non rappresenta una vera disciplina scientifica, poiché non si basa né sulle categorie classiche che analizzano lo sviluppo di una malattia ma nemmeno sulla dimostrazione incontrovertibile che questa esiste. Al contrario, la psichiatria basa ogni sua convinzione sul concetto che chi non segue perfettamente i principi delle convenzioni sociali debba essere un soggetto da curare e a cui restituire una forma di coscienza sana. La realtà è piuttosto diversa. È l’impianto psichiatrico, retto sulla coercizione e l’umiliazione dell’individuo, a creare i presupposti per un’asportazione forzata della coscienza dell’individuo. Negando all’individuo ogni sua prerogativa, gli psichiatri si liberano della loro falsa coscienza potendo tranquillamente commettere ogni abuso su non-persone a cui ogni libertà viene tolta con atti arbitrari e con la forza. Lo psichiatra è quindi giudice, giuria, accusatore e difesa. Non v’è scampo dal suo pregiudizio. Esso solo sembra sapere cos’è bene e cosa male, cosa giusto o sbagliato. Dato che si basa su concetti razzisti secondo i quali alcuni individui sarebbero superiori ad altri, legittimati perciò nel disporre della vita degli esseri inferiori la cui volontà è da considerarsi ovviamente anch’essa inferiore a quella degli eletti, in questo caso degli psichiatri, l’ideologia psichiatrica non può che portare alla segregazione e ai campi di concentramento. La psichiatria non si propone di creare una società migliore ma una società di massa dove non esistano eccezioni alla regola. Inoltre, puntando l’indice verso l’individuo, presunto portatore di patologia mentale, la psichiatria cerca di distogliere l’attenzione sulle vere cause del disagio sociale, frutto dell’organizzazione con la quale è strutturata la società attuale, che prevede per i suoi abitanti solo due cose: produrre e consumare senza sosta. Volontariamente la psichiatria scorda che l’individuo è il frutto dell’influenza dell’ambiente sociale e che quindi fenomeni come depressione, ansia, frustrazione non sono altro che il riflesso della vita in società.
Con la psichiatria la società, invece di ammettere i propri difetti e modificarsi, nasconde i propri difetti e li attribuisce alle debolezze individuali. La psichiatria, quindi, è per sua essenza contro qualsiasi tipo di cambiamento della società.

Conclusioni. La psichiatria è un pericolo per tutti!
Naturalmente è un pericolo maggiore per chi ha poco potere, e cioè gli strati sociali più poveri, minore per chi ne ha molto. Pericolosissima è la costituzione di una società che fonda le sue basi sulla perseguibilità degli atteggiamenti solo perché giudicati diversi o devianti. La psichiatria è uno strumento di violenza e sopraffazione che come tale non può essere accettata. Abbiamo raccontato quella che è la prassi d’intervento del dispositivo psichiatrico, dove famigliari, operatori sociali, forze dell’ordine, polizia municipale, sindaci, infermieri, medici e psichiatri concorrono assieme alla barbarie. Ammantate da un velo di ipocrisia e dalla propaganda favorevole (convegni, eventi pubblici, spettacoli…), le strutture psichiatriche vengono scambiate per “case di cura” quando sono solo prigioni. Carcere e strutture psichiatriche vengono spesso accostati, indicati come esempi di istituzioni totali, strutture dove l’individuo perde ogni libertà residua. Sia il carcere che la psichiatria si ripromettono di “rieducare e reinserire” i detenuti (o i “pazienti”), già di per sé un concetto odioso ma in sostanza quello che accade è che queste persone, una volta entrate nel campo di influenza di questi impianti, difficilmente ne potranno uscire. Molto più realisticamente verranno perseguitate per tutta la vita. Chi esce dai reparti, come se non bastasse, si ritrova a fare i conti con l’ignoranza e la ristrettezza culturale dei “normali”. Una sosta in un reparto di salute mentale per molti diviene una sentenza inappellabile, un verdetto di colpevolezza che li accompagnerà a vita. L’umanità rifugge la follia! È un pericolo per la sua ortodossia verso le regole; è quindi comprensibile (ma non giustificabile) che, in questo senso, le persone che si considerano normali guardino con sospetto chi è accusato di non esserlo.
A noi piacerebbe che la follia potesse servire agli individui come stimolo per provare a liberarsi dalle chiusure mentali e dalle camicie di forza che hanno dentro di loro. Perché la libertà di essere sé stessi divenga aspirazione collettiva e non fenomeno di esclusione immotivata o autoesclusione.
Per fare a meno della psichiatria dobbiamo innanzitutto imparare a comprendere che l’insofferenza verso questa società è indice di sanità mentale, non di malattia!
Viviamo una vita che non è più nostra, che non è libera ma normata da una quantità gigantesca di regole morali e giuridiche. La “normalità” è, in questa società, farsi sfruttare per due soldi, delegare i propri desideri a politici che sappiamo già in partenza ci scontenteranno, adeguare il nostro comportamento a compromessi continui. Normalità è unicamente adattarsi senza ribellarsi o dare segni di insofferenza percepibili perché la consuetudine non ammette incrinature, né tantomeno ribellioni.

“Se si vede nell’adeguamento all’ordine esistente un segno di normalità, allora si potrà considerare l’insoddisfazione nei confronti di questo ordine un sintomo di squilibrio psichico. Ma se si considera come norma l’estrinsecazione di tutte le possibilità innate dell’uomo, ben sapendo per intuizione e per esperienza che l’ordine sociale esistente rende impossibile la massima realizzazione dell’individuo e dell’umanità, solo chi è soddisfatto dell’ordine esistente può essere ritenuto malato”. ( Otto Gross )

Qualche dato sulla psichiatrizzazione sociale in Italia:
211 Dipartimenti di Salute Mentale
707 Centri di Salute Mentale
1107 ambulatori
520 centri diurni
912 strutture residenziali
10 % (secondo gli psichiatri) gli italiani che soffronodi disturbi mentali (più di 4 milioni)
8 % (secondo gli psichiatri) i bambini disadattati, percentuale in aumento

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