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N°6-MARZO 2008
Numero speciale: “EMERGENZA” RIFIUTI
“il termovalorizzatore, gli impianti e le discariche non sono un problema neanche nel cuore di una città” parola di Bassolino!
UN’EMERGENZA CHE DURA 14 ANNI!
Il problema della cosiddetta “emergenza” campana ha tenuto banco in questi ultimi mesi, giornali e televisioni hanno aumentato le loro tirature dibattendo su quale fosse la causa di tale immane incuria, dimenticandosi di dire agli spettatori che i rifiuti in strada, a Napoli ed in tutta la Campania, non è da ieri che si vedono e neanche dall’altrieri ma da ben 14 anni e cioè dall’11 febbraio ’94, quando si instaurò il primo Commissario straordinario, che allora era Umberto Improta, ex Prefetto di Napoli. In Campania la svolta nella gestione dei rifiuti doveva avvenire da quell’anno; dopo 14 anni la raccolta differenziata è rimasta una delle più basse d’Italia (la regione si attesta sull’10,6% di differenziata a fronte di una produzione annua di rifiuti di 2.806.113 tonnellate/anno, 485 kg la produzione media pro capite. La città di Napoli addirittura si ferma all’8%); di riuso, riciclaggio e compostaggio nemmeno a parlarne;(…);le discariche vengono chiuse, riaperte, sequestrate e riutilizzate ancora più e più volte mentre l’inquinamento dei terreni mostra una situazione disastrosa. I conferimenti di rifiuti speciali e pericolosi dal Nord sono continuati in tutti questi anni, da parte della mafia e delle imprese e con la connivenza degli amministratori, che con la mafia hanno sempre fatto buoni affari, al Sud come al Nord, mafiosi loro stessi. In tutti questi anni l’unica cosa che hanno saputo fare i commissari è stato aumentarsi lo stipendio (questo sì straordinario) e mettere qualche migliaia di tonnellate di monnezza sui treni con destinazione qualche altro paese, magari più povero del nostro sud, come la Romania, dove il costo dello smaltimento in discarica è fra i più bassi d’Europa o verso qualcuno più ricco, come la Germania, che ringrazia per il dono ricevuto ma fino ad un certo punto, visto che si è offerta di costruire un inceneritore proprio a Napoli, tentando di guadagnare comunque, senza inquinare il proprio territorio. C’è chi non riuscendo ad inquadrare la situazione non ha saputo far altro che acclamare a gran voce l’avvento degli inceneritori, affinché con la loro fiamma facciano sparire il problema. Ma è un problema, quello dei rifiuti, che non sparisce tanto facilmente. La materia bruciata non svanisce, non si distrugge ma si trasforma, generando una miscela di sostanze inquinanti e residui tossici. È un procedimento base! È una regola della fisica che si impara fin dalla prima elementare. Allora si prova ad invocare il “modello-Brescia” e cioè l’impiego delle migliori tecnologie esistenti sul mercato, così da essere sicuri che l’inquinamento, se pur esistente, sia almeno nei limiti di legge. Ma è una sciocchezza. Una favola. Con le modernissime tecnologie gli inceneritori arrivano a toccare una temperatura di 1200 gradi e di conseguenza le particelle delle polveri emesse sono più piccole ed i filtri ai camini sono meno efficaci nel trattenerle; per quanto moderni i filtri montati ai camini degli inceneritori non possono trattenere tutte le sostanze presenti nelle emissioni. Inoltre più le particelle sono piccole e più facilmente riescono ad entrare nel nostro organismo. Proprio l’inceneritore di Brescia si ritrova con un infrazione a carico emessa dalla Commissione Europea perché le mucche degli allevamenti vicini a questo moderno termovalorizzatore fornivano latte con una concentrazione altissima di Diossina, elemento cancerogeno e mutageno ed una delle più pericolose sostanze fra le oltre 250 emesse dagli inceneritori. La diossina attraverso la catena alimentare si trasferisce all’uomo, attraverso il latte materno al bambino. Nelle gravidanze la diossina causa malformazioni nel feto. La legge, la legge…non ha mai salvato nessuno, la legge, eccetto gli interessi di chi la redige o la commissiona. Purtroppo l’opinione pubblica crede che incenerendo i rifiuti questi spariscano una volta per tutte ma se si sommano le ceneri e le scorie residue e la massa delle emissioni, inclusa la parte gassosa, allora ci si accorge che la quantità totale di ciò che fuoriesce è uguale o addirittura supera la quantità di rifiuti immessi. Le sole ceneri che rimangono equivalgono ad un terzo dei rifiuti inceneriti. Un’emergenza ben strana, dicevamo. Quale “emergenza” dura 14 anni? Se guardiamo al vocabolario, alla voce emergenza, questo indica una condizione momentanea ed imprevedibile. Qui di momentaneo non c’è nulla e di prevedibile tutto. Il problema è che in Campania la raccolta differenziata non è mai stata fatta. Non è vero che non è possibile attuarla dato che molti comuni della stessa regione arrivano a punte d’eccellenza. Il problema è tutto politico o se si vuole economico. Inoltre in Campania, per anni ed anni, sono giunti rifiuti, anche pericolosi, da tutta quanta l’Italia e specialmente dal Nord ed ora le discariche, abusive e legali, ne traboccano e trasudano. A fronte degli impianti di compostaggio fermi, che servirebbero a riciclare la parte di rifiuto “umida” e cioè il problema più immediato, la soluzione è indirizzata verso la costruzione di nuovi inceneritori (d’ora in poi INC) e l’ampliamento di quelli vecchi. L’”emergenza” è dunque tutta una scusa per realizzare nuovi INC e sbloccare quelli al centro di proteste o vicissitudini giudiziarie. Occorre fare un passo indietro. Sul finire degli anni novanta Regione Campania e Commissariato straordinario, senza sapere più dove mettere la spazzatura, decidono di puntare sull’opzione industriale. Milioni di tonnellate di rifiuti finiscono nei 7 impianti di produzione di CDR (Combustibile Da Rifiuti), primo passo prima di finire inceneriti nei tre impianti previsti in regione. Negli impianti di CDR, invece di provvedere alla selezione dei soli rifiuti urbani, cominciò ad affluire praticamente qualsiasi cosa e le ecoballe che ne risultarono non poterono essere smaltite, poiché pericolose. Per questa vicenda il presidente della regione Campania ed ex commissario dal 2000 al 2004 Antonio Bassolino è accusato di concorso in falso, Frode in pubblica fornitura, concorso in truffa aggravata e continuata, concorso in violazione delle normative ambientali, interruzione di pubblico servizio, abuso d’ufficio ed altri reati assieme ad altri 27 imputati tra cui alcuni tecnici che gestirono le emergenze passate e recenti e gli ex vertici Pier Giorgio e Paolo Romiti della Impregilo, multinazionale a cui era affidata la gestione del ciclo dei rifiuti. L’accusa si riferisce agli anni in cui Bassolino era commissario per l’emergenza. Chiuse un occhio. O forse tutti e due. Il processo inizierà il 4 maggio. Nel mirino sette anni di gestione, fino al 2005, quando fu rescisso il contratto con la Fibe, azienda Impregilo che se ne occupava dal 1998. Sotto accusa anche le società coinvolte: oltre alla stessa Impregilo e Fibe, Fisia Italia Impianti, Fibe Campania e Gestione Napoli. L’inchiesta partì nel 2003 grazie ad esposti e nel 2004 tutti gli impianti di CDR furono sequestrati (e successivamente dissequestrati). Bassolino avrebbe consentito che le aziende nascondessero le loro inadempienze con artifizi e raggiri, avrebbe lasciato provocare un danno ambientale con la creazione di discariche stivate con balle di rifiuto secco, falsamente qualificato come CDR con deterioramento di risorse naturali e perché con gli altri sub commissari procurò alle imprese affidatarie del servizio un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nell’assegnare le balle prodotte in Campania presso altri impianti di recupero energetico esistenti. Detta in parole povere, Bassolino e gli altri amministratori coinvolti avrebbero chiuso gli occhi di fronte al fatto che il servizio di Impregilo e delle altre aziende non fosse eseguito come doveva e avrebbero assecondato le stesse aprendo siti ed impianti di CDR non in regola, creando inoltre un grave danno ambientale. Questo, tra l’altro, ha creato i presupposti per l’”emergenza”, con tonnellate di rifiuti CDR “irregolari” che non possono essere smaltiti. L’emergenza nelle strade sarebbe, quindi, stata appositamente provocata dalle stesse società per fare pressione sul commissario per fare aprire nuovi siti, riaprire le discariche chiuse per motivi ambientali e costruire gli inceneritori senza passare per le procedure di rito, visto che i poteri speciali per l’emergenza lo consentono. È di questi giorni la notizia che quella silhouette di Romano Prrrrodi, agli ultimi giorni di governo, ha firmato l’ordinanza che dà il via libera per bruciare le ecoballe non a norma nell’INC di Acerra (Napoli), nonostante in quei pacchi siano finiti pile, farmaci, copertoni, rifiuti speciali ed industriali. È un doppio regalo all’Impregilo, il cui rinvio a giudizio verte proprio sulla truffa del CDR, nonché alle multinazionali con le quali si sta trattando per la gestione dell’INC di Acerra ( Veolia, colosso francese delle multi-utilities e la lombarda A2A, nata dalla fusione delle ex municipalizzate milanesi Amsa e Aem e della bresciana Asm, nonché primo operatore nazionale per il trattamento dei rifiuti). Questa notizia arriva dopo che il 31 gennaio scorso la gara d’appalto per la gestione dell’INC di Acerra era andata deserta. Il ritiro delle società Veolia e A2A dalla gara che avrebbe aggiudicato la gestione dell’impianto di Acerra, tolta all’Impregilo, riguarda il contributo CIP6. Il CIP6 è un meccanismo truffa che esiste solo in Italia. In pratica il Combustibile Da Rifiuti viene assimilato alle fonti alternative e gli inceneritori ricevono illegittimamente questi fondi, che ognuno paga con un 7% sulla bolletta della luce. La finanziaria approvata mesi indietro dal governo aveva deciso di non concedere più questi fondi agli inceneritori e per questo motivo le società (e le banche che sostengono i loro investimenti) avevano ritirato la loro candidatura, giudicando l’investimento non più remunerativo. Il dimissionario governo Prodi, il 27 febbraio, ha quindi deciso, con un colpo di spugna su una sua stessa legge, di reintrodurre ,assieme ad un ulteriore finanziamento di 80 milioni di euro per l’emergenza campana, anche i contestati contributi CIP6 per i tre impianti che saranno realizzati in Campania (oltre a quello di Acerra anche i due di Salerno e Santa Maria la Fossa), anche se i finanziamenti avrebbero dovuto interessare solamente gli impianti già autorizzati. Quello di Acerra avrebbe potuto goderne a patto che il beneficiario fosse stato il primo vincitore della gara e cioè Impregilo. Ma sia per S.Maria la Fossa, non ancora avviato, sia soprattutto per quello di Salerno, entrato ufficialmente nel novero di quelli che devono essere costruiti solamente durante l’”emergenza”, la legge non prevedeva questi contributi pubblici. Un chiaro favore alle aziende. Un altro esempio di come le leggi per coloro che le promulgano possono essere fatte e disfatte a piacimento (ci chiediamo perché se i padroni infrangono le loro leggi così spudoratamente i loro sottoposti tardino a fare altrettanto!). Ricordiamo che oltre ai CIP6 gli inceneritori, gli impianti a biomasse e gli impianti di combustione di scarti di raffineria godono anche dell’incentivazione fornita dai Certificati Verdi, introdotti dal decreto di liberalizzazione del settore elettrico noto come Decreto Bersani ed emessi dal gestore della Rete Elettrica nazionale. Si tratta in pratica di agevolazioni di mercato che consentono di vendere l’energia prodotta ad un prezzo maggiorato (circa 3 volte il prezzo di mercato) e quindi con maggiori margini di profitto. Tanto per non farsi mancare niente, inoltre, per chi gestirà l’impianto di Acerra in arrivo anche la possibilità di avere il carburante gratis.
LA MUNNEZZA È ORO!
Nasce un nuovo termine: ecomafie
Con un “giro bolla” truccato si può certificare con un falso di aver regolarmente smaltito milioni di tonnellate di rifiuti, scaricando così a costi irrisori nei terreni oppure nelle discariche tradizionali. Tanto basta perché una cifra enorme di rifiuti pericolosi finiscano sotto terra, in discariche più o meno legali. Il giro d’affari stimato ogni anno in Italia, proveniente da questo traffico, è di sette miliardi di euro. Tra questi rifiuti, finiti in cave e siti a cielo aperto e le tonnellate di ecoballe irregolari fuoriuscite dagli impianti di CDR è comprensibile come si sia venuta a creare la cosiddetta emergenza campana, che non è certo frutto di un caso ma di una gestione articolata i cui confini tra mafia e stato sono assai labili. Stato e mafia: apparentemente in contrapposizione. Si è sempre detto della mafia che è un antistato ma diversa è la realtà. Stato e mafia compongono le due facce della medesima medaglia, il lato legale e quello illegale. Stessa strategia, svolgono lo stesso compito: procurare benefici ai pochi che detengono una qualche forma di potere a discapito e danno dei molti che ne sono privi. Alcuni dei rifiuti provenienti dal Nord che sono giunti in terra campana in tutti questi anni erano fanghi industriali, scaglie di alluminio e ferro, amianto, traversine ferroviarie, ceneri, idrocarburi, scarti di fonderie e di demolizioni navali, gettati senza alcuna messa in sicurezza di suolo, aria e falde acquifere. Ceneri, fanghi e reflui provenienti da aziende come la Breda Sistemi Industriali, la Recanati, la Montefibre e la Centrale Enel di Fusina. Molti di questi rifiuti sono finiti in processi di lavorazione per essere utilizzati in edilizia, immaginiamo con quale risultato. Le ditte che importavano ed importano i rifiuti hanno quasi tutte sede al Nord, come la Nuova Esa di Marcon, in provincia di Venezia e la Servizi Costieri di Mestre, finite nell’inchiesta “Houdini” del 2001. La Nuova Esa, solamente in un anno preso a campione, avrebbe piazzato oltre venti milioni di chili di rifiuti pericolosi, evadendo le ecotasse ed inquinando mezza Italia. Le discariche della Campania sono risultate tutte inquinate, nessuna esclusa. È logico che, alla pretesa di riaprirle, dopo che proprio l’inquinamento prodotto era stata la causa della loro chiusura o sequestro, la popolazione ha reagito nell’unico modo ad essa congeniale: la lotta dal basso! Ad inizio 2008 è stata confermata la volontà di Governo, enti locali e commissario straordinario di riaprire la discarica di Pianura, alla periferia di Napoli. La discarica di Contrada Pisani a Pianura, ex insediamento abusivo, (90.000 abitanti), chiusa da ben 11 anni (dopo che era stata attiva per 40), immersa in un’oasi naturalistica alla periferia ovest di Napoli, avrebbe dovuto ricevere molte tonnellate di rifiuti delle quasi 170.000 che stavano per le strade della Campania. Nessun controllo sanitario è mai stato fatto a Pianura e non si sa che genere di rifiuti vi siano stati conferiti negli anni. Nes-suna bonifica, anche se sono stati sversati per anni rifiuti tossici e speciali, sia in modo legale che illegale e tra questi anche mille tonnellate di fanghi nocivi. Nella zona sono stati riscontrati diversi casi di malformazioni e malattie respiratorie. Se li ricordano bene, gli abitanti del posto, i camion targati Bergamo, che scaricavano durante la notte. Chiusa con la promessa di farne un campo da golf, avrebbe dovuto riaprire per rimanere aperta fino al 2009, quando entrerà a regime l’inceneritore di Acerra, ora fermo a seguito delle innumerevoli proteste e delle vicende giudiziarie dell’Impregilo.
MA A PIANURA NON C’È VOGLIA DI ASCOLTARE, MEN CHE MENO ALTRE PROMESSE. A PIANURA SI COMINCIA LA LOTTA!
Manifestazioni nel cuore di Napoli, barricate, blocchi stradali, presidi permanenti davanti alle discariche, occupazione di autostrade, tangenziali e binari ferroviari: gli abitanti di Pianura scendono in strada, così come già il 12 maggio 2007 fece la popolazione di Serre (Salerno), il comune poco distante dall’oasi protetta di Persano, invadendo la cava in località Valle della Masseria, individuata come sito di confe-rimento di 700mila tonnellate di rifiuti. A Pianura il presidio si rinforza, cominciano i primi scontri con la polizia mentre interi quartieri rimangono completamente isolati, i giornalisti vengono scacciati dai manifestanti, una pratica che fortunatamente si ripeterà a più riprese nell’arco di quella che si connoterà come una vera rivolta popolare. Il questore di Napoli Oscar Fioriolli ammette di temere il diffondersi di azioni di “guerriglia difficili da controllare”.
Il motto più gettonato è: BLOCCHIAMO TUTTO! Poi, a sorpresa, Il 21 gennaio la procura di Napoli mette i sigilli alla discarica di Pianura, dopo diversi esposti degli abitanti, per disastro ambientale e epidemia colposa. Con il sequestro viene bloccata anche ogni ipotesi di riaprire la discarica. Intanto il Governo, a gennaio, alla presenza dei Ministri di Ambiente, Interno e Difesa, vara il pacchetto di misure: nomina Gianni De Gennaro Commissario Straordinario; predispone la riapertura di 4 discariche ed altri siti di stoccaggio per i rifiuti che, ricordiamo, non sono pretrattati né selezionati; mobilita l’esercito (genio militare) per ripulire le strade; ed indica almeno la realizzazione di 3 inceneritori. Il “superpoliziotto” Gianni De Gennaro, nominato commissario straordinario, è una scelta che mette in evidenza come quello dei rifiuti sia divenuto a tutti gli effetti un problema di ordine pubblico. Ad affiancarlo il generale di Divisione Franco Giannini, con responsabilità operative e logistiche. L’incarico di De Gennaro terminerà il 10 maggio, dopo 120 giorni. Il decreto governativo gli conferisce poteri straordinari. Potrà indicare siti temporanei o meno, anche “in deroga a specifiche disposizioni in materia ambientale, paesaggistica, territoriale, igienico sanitaria, di difesa del suolo” e realizzare due inceneritori (oltre a quello già costruito di Acerra) operando anche “in deroga a valutazioni di impatto ambientale già effettuate”. Ad esempio le analisi dei siti non saranno affidate all’ASL ma a reparti mobili dell’esercito. Oltre a ciò i poteri conferitegli gli consentono anche di affidare i lavori alle ditte senza attendere i tempi delle gare di appalto. Alla conferenza stampa in Prefettura per il suo nuovo incarico, De Gennaro dichiara che il suo compito sarà in continuità con quanto fatto con i suoi predecessori, cioè arraffare soldi per poi andarsene, lasciando una situazione anche peggiore di prima. Gli INC, oltre a quello di Acerra (Napoli), saranno costruiti a Santa Maria La Fossa (Caserta) e Salerno, nella Piana del Sardone, finanziato dalla regione con fondi europei per la bellezza di 75 milioni di euro (L’inaugurazione del cantiere è prevista per il prossimo settembre). Il “Verde” Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’Ambiente, firma il decreto autorizzativo per i nuovi INC. La protesta si estende a tutte le località che ospitano una delle discariche indicate dal go-verno come “siti immediatamente utilizzabili”. Intanto la protesta dilaga e si allarga dalla Campania alla Sardegna. Al porto di Cagliari i manifestanti si organizzano per impedire lo sbarco di tonnellate di rifiuti spediti dalla Campania. La polizia carica il blocco di manifestanti, scene già viste a Pianura. Tra i manifestanti anche alcuni strumentalizzatori con le bandiere dei partiti di destra. Durante la notte un gruppo di anarchici si scontra con alcuni strumentalizzatori fascisti di Azione Giovani, che hanno la peggio. Che pretuncoli, mafiosetti locali, politici, politicanti ed Arrivisti dell’ultimo minuto ab-biano cercato di strumentalizzare la rivolta della popolazione, senza tuttavia riuscirvi, è nella natura di questi pagliacci…basta saperli mandare al diavolo e dargli la lezione che meritano se insistono, come hanno fatto gli anarchici! Intanto la procura di Napoli apre una seconda inchiesta ipotizzando il reato di epidemia colposa mentre il Ministro dell’Interno Amato convoca al Viminale una riunione con il capo della Polizia, il comandante generale dei Carabinieri ed il capo dei Servizi segreti (Aisi) per fare il punto sull’ordine pubblico ed organizza squadre di intervento rapido di polizia e Carabinieri, in grado di spostarsi velocemente e di intervenire in maniera rapida, contro le “bande di teppisti” e i “facinorosi”. Nel frattempo il commissario De Gennaro cerca di riaprire le discariche di Parapoti (Salerno), Me-rigliano(Napoli), Ariano Irpino (Avellino), Villaricca in provincia di Napoli e Trepponti a Montesarchio (Benevento). Non solo, a questi si aggiungeranno i siti di stoccaggio temporanei per ecoballe: ex Manifattura Tabacchi a Napoli (sei capannoni industriali), area adiacente al cdr di Giugliano, Campo Genova di Avellino (ex area utilizzata per i container del terremoto) e Marcianise nel Casertano. In tutti questi luoghi scoppiano nuovi focolai di protesta. Per il momento le altre discariche candidate alla riapertura rimangono in “riserva strategica”, come dice De Gennaro che aggiunge: “nessuna opzione è stata cancellata”. Anche le varie categorie si mobilitano: i lavoratori dei mercatini, gli studenti, le mamme preoccupate per la chiusura delle scuole. La reazione del supercommissario è netta: “le rivolte sono un nonsenso” e a Merigliano, dove un migliaio di manifestanti bloccano il transito dei camion diretti alla discarica, manda i suoi cani da guardia a manganellare i presenti. Il 30 gennaio Bassolino concede a De Gennaro ulteriori finanziamenti.
Ma il 16 febbraio arriva la rettifica: nessuno dei siti individuati in un primo momento dal Commissario Straordinario De Gennaro verrà riaperto. Gli accertamenti tecnici hanno rivelato quello che la gente da sempre ripeteva, ovvero uno stato di degradazione e inquinamento ambientale, Infiltrazioni di percolato, crolli, conferimenti abusivi e fanghi industriali. A questo punto i nuovi siti individuati dovrebbero essere quelli di Serre (Salerno), Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento), Terzigno (Napoli) e Savignano Irpino (Avellino), dove si sono svolte azioni di protesta di cinquemila persone contro la probabile discarica da 700.000 tonnellate di rifiuti e in cui alcuni tecnici Arpa che dovevano eseguire i primi carotaggi, indispensabili per le autorizzazioni, sono stati messi prontamente in fuga e dove la Polizia ha caricato pesantemente e a freddo i manifestanti, attaccandoli brutalmente, colpendo anche un disabile sulla carrozzina. Queste discariche sono senza impiantistica di trattamento del percolato, sostanza estremamente nociva prodotta dalla decomposizione dei rifiuti. Dalle crepe della terra, poi, si levano miasmi di biogas, prodotto dalla fermentazione dei rifiuti.
La Germania si è detta pronta ad aiutare l’Italia ma solo per un periodo limitato e dietro pagamento. Dal 2001 l’azienda Remondis smaltisce parte dei rifiuti campani attraverso un patto con Ecolog (Ferrovie dello Stato) e si è detta disponibile ad aumentare le quantità trattate per un anno a 200.000 tonnellate. In Germania lo smaltimento dei rifiuti attraverso gli inceneritori costa circa 120 euro a tonnellata oltre ai 40 di trasporto su treno. Ogni carico di rifiuti per la Germania costa mezzo milione di euro alla settimana.
Oltre ai tedeschi anno detto sì al conferimento dei rifiuti dalla Campania: Sardegna, Aosta, Lazio, Abruzzo, Marche, Toscana, Emilia Romagna(5.000 ton), Puglia, Piemonte, Molise, Calabriaì e Sicilia. Mentre tra chi ha dichiarato subito No vi sono Veneto e Lombardia. In totale sono state 27.000 le tonnellate “emigrate” in altre regioni. Intanto, in arrivo i fondi stanziati nel programma 2007 – 2013 dall’Europa per migliorare il sistema della gestione dei rifiuti: la Campania potrà utilizzare 330 milioni di euro per ambiente ed energia. La Regione avrà tempo fino al 2015 per spenderli e siamo certi che non perderà tempo nel farli sparire! La Campania ha divorato oltre due miliardi di euro per l’emergenza. Dove sono finiti? E ad oggi i rifiuti per le strade sono diminuiti ma non scomparsi.
L’ALTERNATIVA ALLE DISCARICHE E AGLI INCENERITORI
In Italia la produzione degli scarti urbani continua ad essere in aumento. Anche se la differenziata cresce, questa lo fa solo all’1,6% l’anno contro la media del 3% della crescita della produzione dei rifiuti, che è quasi il doppio. Pare ovvio che senza decrescita della produzione commerciale ed industriale e del consumo pro capite il problema dei rifiuti non sarà mai risolto e le emergenze, questa volta vere e non provocate, si ripeteranno sempre più spesso.
Qualcuno ha detto: “l’emergenza rifiuti ha declassato l’Italia al livello di un paese del terzo mondo”. Forse in questi paesi assistiamo alla miseria prodotta dalle guerre del civile occidente ma nel “terzo mondo” sicuramente non si vedono certi spettacoli. Piuttosto sono i paesi industrializzati del primo mondo e quelli in costante sviluppo del secondo che si dovrebbero preoccupare. Se ad un maggior benessere e cioè ad una maggiore produzione e consumo corrisponde un maggior numero di rifiuti e già adesso siamo messi in questa situazione, stiamo pur certi che domani, se non cambierà qualcosa, sarà anche peggio. Serve allora un’altra consapevolezza, che capisca che rinunciando al “benessere” e al consumismo non abbiamo qualcosa da perdere ma tutto da guadagnare. Le risposte a questo problema non vengono dagli inceneritori, anzi. Questi creeranno solamente i presupposti per un peggioramento del nostro vissuto e della vita di questo pianeta. Sempre più frequentemente in Italia il gestore di impianti di incenerimento assume anche il compito della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Appare evidente che più rifiuti si bruciano e più il gestore guadagna; più si differenzia, al contrario, e meno si brucia: se non si producono rifiuti sufficienti gli inceneritori dovrebbero fermarsi. Cos’è questo se non conflitto di interessi? in Germania, presa spesso come esempio positivo, hanno sì costruito inceneritori ma questi oggi viaggiano al 40% della loro portata dopo le politiche di raccolta differenziata tedesca. Se continuano ad andare è solamente perché acquisiscono spazzatura da ogni parte d’Europa. Tra l’altro in Germania c’è una tassa da pagare per bruciare i rifiuti mentre in Italia gli inceneritori vengono finanziati dallo stato. Alternative all’inceneritore ci sono: prima fra tutte la riduzione di imballaggi e dei contenitori ed il loro riutilizzo. È ora di finirla con la logica dell’usa e getta, volutamente attuata dagli industriali che immettono sul mercato merce scadente e degradabile perché la richiesta di nuove merci non rallenti. Una pratica da ripristinare sarebbe il sistema del vuoto a rendere (non in plastica) per il latte, l’acqua, i succhi, il vino, la birra e così via, cominciando dai settori ad alto consumo, come ristoranti, mense, centri commerciali e distribuzione. È chiaro che questo non sarebbe altro che il primo passo, dato che la stessa distribuzione, attraverso i canali della ristorazione e dei centri commerciali ad esempio, è parte integrante del problema. Un’altra pratica da considerare è quella dell’autocompostaggio domestico, che ognuno può fare senza sforzo e senza particolari doti tecniche. Basta un orto è il gioco è fatto! Bisogna eliminare i cassonetti dell’indifferenziato dalle strade, dove finisce davvero di tutto: finché ci saranno gli amanti delle comodità, questi sceglieranno di buttare lì i loro rifiuti. Certo obbligare la gente ad effettuare la raccolta porta a porta è molto triste: significa che le persone fanno qualcosa soltanto quando vi sono obbligate e questo denota quanta strada rimane ancora da fare per una presa di coscienza collettiva, che forse non ci sarà mai, almeno fino a quando gli individui seguiteranno a delegare le decisioni che riguardano la loro vita a qualcun’altro. Grande spreco viene anche da ristoranti, iper-mercati, mercati, mense per quanto riguarda il cibo. Una ingente quantità viene buttata quando potrebbe benissimo essere recuperata. Non ci sarebbe bisogno nemmeno degli impianti di compostaggio dei rifiuti organici se a loro volta gli alimenti non fossero zeppi di veleni, basterebbe che ognuno lasciasse il suo scarto organico nell’orticello dietro casa, così lo scarto assumerebbe un valore positivo. È privo di senso osservare che ci sono altre fonti di inquinamento di maggior impatto, come il traffico automobilistico, per giustificare la costruzione di un nuovo impianto che produce emissioni che si aggiungeranno a quelle già esistenti. In tutto il mondo negli ultimi 10 anni l’anidride carbonica è aumentata del 20% e di conseguenza è aumentato anche l’effetto serra e l’Italia non sta certo messa bene, tanto che la UE chiede più tagli sulle “nostre” emissioni inquinanti (- 6,3% di anidride carbonica per le emissioni industriali per il 2008 – 2012), per ridurle dalle 209milioni di ton/anno di oggi a 195,8. Comunque sempre troppo poco!!!!!! Si accusa sempre chi lotta per la salute dell’ambiente di essere il partito del NO, e cioè un concentrato di resistenza al progresso. Stanno veramente così le cose? Non è che invece sono altri – imprenditori, amministratori, politici, categorie corporative – ad avere un motivo per dire NO ad ogni cambiamento che li vedrebbe perdere i loro interessi di privilegiati? Non sono proprio costoro a rappresentare la più bieca raffigurazione del conservatorismo? Noi invece vogliamo cambiare rotta, perché la crociera sul Titanic non ci piace. Non vogliamo affondare. Preferiamo abbandonare la nave che affonda, piuttosto, e lasciare i campioni del progresso alla loro sorte, così che possano vedere dove questo li sta conducendo, CI sta conducendo.
Gli inceneritoristi, questi nuovi illuminati, la pensano come l’assessore regionale della Lombardia Massimo Buscemi, che dice: “per noi i rifiuti sono una risorsa e il trend di crescita pro capite non ci spaventa!”, ovvero più rifiuti più guadagno, eccola la loro scienza!! La crescita della raccolta differenziata sarà penalizzata enormemente se la gestione dei rifiuti prenderà la via dell’incenerimento. il risparmio di energia che si ottiene dal riciclare più volte un materiale è superiore all’energia prodotta dalla sua combustione. Bruciare rifiuti è uno spreco di risorse se confrontato con riutilizzo e riciclaggio dei materiali che consentono un risparmio di energia fino a cinque volte maggiore rispetto al loro incenerimento. La plastica, per il suo elevato potere calorifico e per lo scarso valore dei prodotti in plastica riciclata (un materiale plastico riciclato può essere utilizzato solo una volta ed esclusivamente in applicazioni minori), è l’unica merce la cui combustione è più vantaggiosa del riciclaggio. Ecco perché siamo inesorabilmente contro la produzione di questa materia, che in questi ultimi decenni ha subito un vero e proprio boom. L’uomo ha vissuto per millenni senza la plastica e non aveva motivo di sentirne l’esigenza. Le lobby del petrolio e della chimica hanno imposto la plastica a livello mondiale ed ora stiamo soffocando sotto montagne di questa roba. il petrolio si sta esaurendo e la responsabilità non è soltanto dell’utilizzo come combustibile di questa sostanza organica ma anche della produzione di quella merce moderna per antonomasia chiamata plastica. Se ne produce così tanta che ad 800 miglia a nord delle Hawaii, per il gioco delle correnti, si è formata un’enorme discarica galleggiante di plastica proveniente praticamente da tutto il mondo, così grande che qualcuno lo considera il settimo continente della Terra, distribuito su una superficie ampia due volte lo stato del Texas e in espansione. La causa è l’uomo, che produce ed immette quantità di materiali non biodegradabili oltre ogni limite che il buon senso suggerisca. Secondo le stime più recenti, fatte da chi la osserva e la studia, peserebbe approssimativamente 3,5 milioni di tonnellate, con una densità di 3,34 milioni di oggetti di piccole dimensioni per chilometro quadrato, di cui l’80 per cento è plastica. Nel giro di pochi anni raggiungerà un’estensione confrontabile con quella dell’Africa. Nel mondo qualcosa si sta muovendo. La Cina metterà al bando la produzione dei sacchetti di plastica dal primo giugno 2008: il più grosso produttore cinese si sacchetti in plastica dovrà chiudere i battenti. La Suiping Huaqiang Plastic, società statale di Canton, produceva 250mila tonnellate di sacchetti all’anno. Grazie al boom dei consumi i cinesi erano arrivati a utilizzare 3 miliardi di sacchetti al giorno, quasi 37 milioni di barili di petrolio l’anno!! Inghilterra, New York e zone del Canada stanno facendo lo stesso. Inoltre, fino a quando l’incenerimento dei rifiuti sarà considerato una soluzione alla crisi propria del mondo attuale civilizzato, la progettazione e la produzione industriale continuerà a sfornare sempre più merci e prodotti senza curarsi se queste contengono o meno veleni e nocività, con la conseguenza che il nostro modello di vita, difeso dai più con ignoranza feroce, sarà responsabile della nostra caduta verso l’abisso. O forse no, forse c’è ancora di peggio. Forse ci abitueremo a vivere in città maleodoranti dal cielo sempre grigio, con le mascherine calate sulle bocche a celare una smorfia di tristezza o faremo la spola all’ospedale, dove ci cureranno con tutte le premure dalle malattie generate dalle stesse multinazionali farmaceutiche fornenti i rimedi. Quando l’indignazione sarà troppo grande da sostenere non avremo paura, ci verrà in aiuto lo psichiatra con le sue pillole od una nuova formazione politica si incaricherà di rendere più spensierata la nostra miseria sociale ed ambientale. L’effetto sarà lo stesso! La questione dei rifiuti campani è già entrata in campagna elettorale. I politici si riempiranno la bocca di vacue promesse mentre gli accordi con le aziende e la finanza avverranno sotto banco e ancora una volta li staremo ad ascoltare, forse. Forse vivremo come uccelli in gabbia e ci accontenteremo di una manciata di briciole di pane. Forse ci scopriremo troppo pigri per alzarci dal divano per cambiare canale o per lottare per le nostre idee. All’affacciarsi di un pensiero critico pigeremo il telecomando! Forse ci abitueremo alle Nocività e ci diremo d’accordo con chi non ne fa un dramma perché, alla fin fine, valuteremo che è meglio sopravvivere in condizione di rassegnata tranquillità che battersi per un mondo di incognite che non riusciremo più nemmeno a sognare. Forse ci abitueremo a vivere alla giornata, accettando quello che ci viene imposto, perdendo per sempre quello che vorremmo. forse…forse ci siamo già abituati.
Non ci resta che riprendere e fare nostro il grido di battaglia della gente della Campania: “Se lo stato vuole la guerra che guerra sia!”