I detenuti come nuova manovalanza “post-sisma” e il business della ricostruzione

fonte: estense.com

 

La proposta del ministro della giustizia Paola Severino di accogliere la disponibilità dei detenuti a svolgere attività di  volontariato nelle zone colpite dal sisma è stata al centro di un incontro svoltosi ieri a Bologna tra l’assessore regionale alle politiche sociali Teresa Marzocchi, il vice capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Luigi Pagano e gli assessori comunali alle politiche sociali Matteo Sassi di Reggio Emilia, Chiara Sapigni di Ferrara e Francesca Maletti di Modena. All’incontro hanno partecipato anche il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna Francesco Maisto e il provveditore dell’Amministrazione penitenziaria regionale Felice Bocchino.

Secondo una prima ricognizione compiuta dall’Amministrazione penitenziaria, potrebbero essere circa quaranta i detenuti ospitati negli istituti di pena del’Emilia-Romagna con i requisiti per svolgere un’attività di pubblica utilità nelle aree terremotate.

Si tratta di persone non pericolose e che già hanno intrapreso un percorso di reinserimento sociale. Spetterà ora ai Comitati locali carcere delle quattro province interessate verificare sui rispettivi territori le possibilità di incrociare domande e offerta,  così come è stato fatto fino ad ora  per tutte le altre attività di volontariato che vengono prestate nelle aree terremotate.

29/06/2012

 

 

Come ogni “calamità naturale”, anche il terremoto in Emilia Romagna può diventare un’opportunità tra le più ghiotte per i magnati dell’edilizia e per gli sciacalli della “ricostruzione”. Il business della post-calamità è tristemente noto, oltre che per l’intervento massiccio di sbirri, militari e protezione civile, anche per la corsa alla ricostruzione.

In questo ambito si inserisce la proposta del Ministro Severino. Con la risibile, e spudorata, scusa del renserimento sociale dei detenuti e delle misure alternative alla detenzione (di cui, ovviamente, usuifruirà soltanto una infima minoranza di prigionieri accuratamente scelti tra quelli “non problematici” – leggasi non conflittuali ed assoggettati all’istituzione carceraria), si vuole fornire manodopera a bassissimo costo alle ditte che verranno incaricarite della ricostruzione. Probabilmente, le stesse imprese costruttrici dei vari capannoni caduti durante il sisma.

Andando a pescare tra quella fascia della popolazione detenuta che non costituisce un intralcio per il funzionamento dell’organizzazione concentrazionaria, oltre alla ovvia manovra di facciata mediatica, si va così a selezionare una manovalanza di già abituata allo schiavismo. Insomma, l’ennessima massimizzazione del profitto possibile, in un contesto di disperazione e militarizzazione, avvalendosi delle braccia di detenuti “modello”, i quali vengono scelti per questo non soltanto per la propria docilità all’interno delle carceri, ma per la loro ricattabilità e conseguente esposizione ad uno sfruttamento lavorativo maggiore.

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