Di attendismo e confusione…

DI ATTENDISMO E CONFUSIONE

note a margine di una lettera pubblica a titolo “Ferrara è stata sacrificata” del Gruppo Libertario Remo Tartari

Come individualità anarchiche a Ferrara e dintorni, la lettura del documento “Ferrara è stata sacrificata” ha suscitato la nostra attenzione, inizialmente. Ma, ancor di più, ci ha lasciato l’amaro in bocca.

Innanzitutto, un doveroso preambolo: usare come cassa di risonanza per le proprie opinioni le testate giornalistiche ci sembra, nell’immediato ed in prospettiva, fortemente contraddittorio con una teoria e pratica anarchica, in quanto dei dispensatori/amplificatori delle produzioni informative e comunicative del capitale vorremmo vedere solo la distruzione. Una non trascurabile causa dell’impoverimento, culturale ed esistenziale, della nostra epoca è certamente l’abulia di dati, opinioni, informazioni con cui il dominio punta a creare l’ennesima divisione “classista” tra i dominatori accademici e tecnici e i subalterni che devono silenti assimilare morbosamente le briciole.

Ma volendo pure tralasciare questo primo punto, il documento nella sua interezza non fa che riciclare concezioni ritrite e, a nostro giudizio, erronee.

Il primo paragrafo, che qui riportiamo, recita: “il partitismo ed il sindacalismo concertativo-burocratico hanno mostrato tutti i loro limiti confermando un servaggio imbarazzante ad un paradigma economico e finanziario miope, terminale, decadente ed autodistruttivo. L’attuale sistema nel suo complesso sta rapidamente implodendo creando da una società polarizzata fra una massa di proletari e sottoproletari destinata all’indigenza e una minoranza di super-ricchi”. Francamente ci sembra di sognare. Che i cosiddetti partitismo e sindacalismo mostrino una qual forma di servaggio nei confronti di un qualche “paradigma economico” ci pare assurdo. Che la struttura partitica e quella sindacale (per forza di cose concertativa-burocratica!) siano quelle cinghie di trasmissione che irretiscono gli esclusi negli apparati della partecipazione/schiavitù democratica è sotto gli occhi di tutti. Non si tratta di servaggio, ma di diversi ambiti di sottomissione. Dove il “paradigma economico” crea lo sfruttamento, contestualmente le strutture politiche e sindacali attuano l’indoramento della pillola, fornendo una parvenza di scelta e di partecipazione a quello stesso dominio che crea ogni sorta di disuguaglianza. Che l’attuale paradigma o sistema, infine, sia terminale, autodistruttivo e che stia implodendo ci sembra un considerazione per lo meno semplicistica. Se il capitalismo (soprattutto la sua ultima “variante” post-industriale) deve averci insegnato qualcosa è che non esistono leggi economiche. Parlare ancora di “crisi” per arrivare a teorizzare una prossima ventura caduta del capitalismo è confondere ancora di più le acque. Ma quale crisi! È forse più giusto parlare di ennesima ristrutturazione, di aggiustamenti strutturali in corso. Dove si può vedere il tracollo del capitalismo???

Passando poi all’analisi della situazione ferrarese, cascano davvero le braccia.

Nostalgici richiami al “bel tempo che fu”, prospero perché il turismo ingrossava le casse comunali/provinciali/regionali e statali e perché la chimica industriale era fiorente. Ma stiamo scherzando?!?

Rimembrare tempi di “ricchezza ed occupazione” derivanti dallo sfruttamento mercantile di arte e movimento (leggasi, turismo) e dall’inquinamento ai più alti tassi europei foriero di tumori e malattie varie( leggasi, industria chimica) è sclerotico. Non capiamo come si possa – da anarchici – schierarsi a favore della ricchezza (a solo beneficio delle amministrazioni locali) quando dovremmo volerne la distruzione e a favore dell’occupazione (o dello sfruttamento???) e della produzione industriale quando queste hanno portato, in buona parte, il mondo a scatafascio.

Ma vogliamo davvero una “sicura fonte di reddito”? Noi assolutamente no! Il lavoro, forma alienata dell’attività umana, va distrutto, non reclamato o rimpianto. Pretendere reddito – salario – significa avallare la schiavitù del lavoro, il capitalismo e tutte le sue nefaste conseguenze sociali ed individuali.

L’antifascismo? Che c’è da dire a riguardo? Che le vecchie e nuove forme di “fronte popolare” contro il fascismo altro non sono che rafforzamento delle istituzioni democratiche. Quelle stesse istituzioni che riciclarono – e continuano a riciclare – vecchi fascisti nei propri ruoli di comando e che garantiscono la legittimità politica della nuova destra.

Democrazia altra faccia della medaglia rispetto al fascismo, forse addirittura più subdola.

L’ultimo antifascismo che ci viene in mente era quello delle armi alla mano durante la Resistenza, quando molti compagni non cedettero davanti a nessun “cessate il fuoco!”, volendo abbattere ogni forma di potere (anche quello democratico), e che videro aprirsi davanti a loro le porte del carcere o dell’esilio.

Una menzione a parte merita il decimo paragrafo: “Dagli anni ’80 in avanti non esiste una tradizione anarchica e libertaria nel ferrarese che abbia ottenuto risultati apprezzabili, quindi ricreare un clima favorevole non è facile: non conoscenza del movimento, mistificazioni, fraintendimenti e atteggiamenti autolesionistici più o meno voluti ed operati negli anni non giocano evidentemente a nostro favore. Gioca invece a nostro favore l’evidenza dei fatti: il sistema semplicemente è decotto, contrariamente a ciò che sostengono politicanti e lacchè. Storicamente i sistemi non sono riformabili, quindi anche il sistema attuale non è riformabile: le involuzioni politica, sociale ed economica odierne lo testimoniano”.

Intanto, nel caso di una vostra certamente fortuita dimenticanza, dalla fine degli anni ’90 fino ad oggi una presenza anarchica in città c’è stata. Prima all’interno dello Spazio Occupato Daz Dramir, in seguito nelle strade.

Non sappiamo se la velata critica relativa a “non conoscenza del movimento, mistificazioni, fraintendimenti e atteggiamenti autolesionistici” sia rivolta a noi.

Ma se fosse invece così, ci teniamo a fare qualche precisazione.

Non crediamo esistano “santoni dell’anarchismo” che possano decretare chi conosca o meno il movimento, tanto meno arrogarsi il diritto di sancire il proprio come unico movimento. L’anarchismo italiano è variegato, ma quello che è certo è che il filone anarco-federativo-sindacale di sintesi non è l’unica anima di questo “movimento”. Certamente è la più vetusta, riconoscendo ancora come valida l’ipotesi metodologica sindacalista e della crescita quantitativa. A fronte di profonde modificazioni sociali ed economiche, ci appare, come minimo, miope il voler tenere in vita forme organizzative che se (e ribadiamo, se) potevano essere rivoluzionarie fino, diciamo, al secondo dopoguerra, certamente non lo sono più ora. L’evoluzione del mondo del lavoro, la perdita di molte connotazioni “forti” che una volta poteva avere uno sfruttato, rendono la pratica sindacale perdente in partenza, quando non espressamente collaborazionista con il dominio nella salvaguardia del lavoro. Che poi, per passare all’azione, si cerchi ancora di attrarre le “masse oppresse” attorno ai propri ideali e alle proprie rigide strutture federative ci sembra addirittura folle.

Quello stesso “piglio burocratico” che cercate di criticare traspare invece nella “pratica” e nella struttura stessa di un’organizzazione come l’Unione Sindacale Italiana e come la Federazione Anarchica Italiana, le quali hanno messo da tempo nel più remoto cassetto la volontà di agire come soggetti rivoluzionari e di attaccare il dominio.

Quanto poi alle presunte “mistificazioni, fraintendimenti e autolesionismo”, certe nostre azioni e pratiche possono sembrarvi come tali, ma solamente alla luce del vostro immobilismo ed attendismo. Noi non aspettiamo di avere il numero alle spalle, non cerchiamo il consenso, crediamo di dover partire all’attacco ogni qualvolta sia possibile, cercando di radicalizzare quegli spiragli di lotta reale che man mano si possono determinare. Il tutto all’insegna della conflittualità permanente. Non vogliamo “invitare gli altri ad opporsi al sistema”, vogliamo distruggere il sistema partendo dal qui ed oggi, cercando complici e solidali di volta in volta sul nostro percorso insurrezionale. Se la repressione voi la giustificate con l’autolesionismo, noi invece siamo pronti a prenderci dei rischi e a sfidare il dominio anche quando le masse non sono dalla nostra. Perché partiamo dalle nostre individualità prima che dal “consenso”, perché crediamo nello scontro diretto senza mediazioni.

Si, eravamo quelli più volte sbattuti in prima pagina sulla cronaca locale e nazionale come “mostri” e “terroristi”, denunciati, processati, arrestati, allontanati. Quelli a cui non avete mai dimostrato solidarietà, nemmeno verbale, mentre finivamo dietro le sbarre per non esserci mai tirati indietro rispetto alla lotta. Ma forse non vi ricordate nemmeno questo…

Voi gridate “muoia il capitalismo! Evviva l’anarchia”, citando un mal digerito Bakunin, mentre volete “raddrizzare” la democrazia. Noi vogliamo la distruzione del capitalismo e della sua stampella – la democrazia, appunto – ma senza voler educare nessuno dall’alto di un qualsiasi scranno accademico autorevole e per mezzo delle righe di qualche rivista patinata. Cerchiamo compagni di lotta per partire all’attacco immediato contro il potere.

Certo, autogestione ed autorganizzazione. Ma di un conflitto reale e senza compromessi, non di una ricerca affannosa di una moltitudine da inquadrare in strutture fisse che, magicamente ed inspiegabilmente, portino – domani, forse – ad una fumosa rivoluzione sociale dove democrazia fa rima con libertà.

“Creare percorsi di condivisione fuori dalle gerarchie, dai partiti politici e dai sindacati concertativi”. Che dire? Un poco vago come intento. Percorsi di condivisione? Ci vengono tanto alla mente quelle “oasi felici” auto-isolatesi dal contesto di oppressione in cui pochi individui si autogesticono la propria miseria. O anche quelle scialbe passeggiate coi drappi rossi e neri seguite da grandi abbuffate dove si inneggia all’anarchia ed al buon vino. No grazie.

Scusandoci per l’intromissione, preferiamo ricercare scintille nel vento da fare esplodere, radicalizzare lotte in chiave insurrezionale per la distruzione dei vari apparati del dominio e passare all’attacco diretto del potere ogni qual volta esso sia praticabile.

Lasciamo le commemorazioni e le parate a chi preferisce “condividere” ricordi e frustrazioni inespresse.

A noi le barricate piace costruirle davvero, anche se “il momento non è oggettivamente propizio”.

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