Il conto da pagare…

palazzo-chigi-spratoria-4Domenica 28 aprile doveva essere ricordata unicamente per il giuramento del nuovo governo presieduto dall’insipido democristiano Enrico Letta.  Ma i festeggiamenti non hanno potuto avere luogo. Un altro fatto ha oscurato la fanfara dei boia in doppiopetto.

Sono le 11 e 30, il giuramento dell’esecutivo è in corso al Quirinale. Palazzo Chigi aspetta di ospitare la nuova accozzaglia di massacratori. Ma l’attesa è rotta dagli spari di una pistola. Due colpi vanno a segno e due infami carabinieri ora giacciono riversi a terra nel loro sangue. Ma anche un altro uomo è a terra, braccato dai colleghi degli assassini feriti.

Luigi Preiti, un quarantanovenne qualunque, ha deciso di partire al contrattacco. Ha concluso che la sua vita era finita – dopo aver perso il lavoro e la moglie e dover essere tornato a carico dei genitori – e che se non aveva più nulla da perdere, tanto valeva portarsi con se qualcuno sotto terra. I colpi per suicidarsi non sono avanzati, ma alcuni di quelli riservati ai carabinieri hanno fatto centro. Una volta ogni tanto, per fortuna la mira assiste gli audaci.

“Volevo colpire i politici, ma sapevo che non ce l’avrei mai fatta, allora ho pensato a colpire il palazzo (Palazzo Chigi) e chi si trovava lì davanti (a proteggerlo) e ho colpito i carabinieri”. Il senso delle parole di Preiti è chiaro. Davanti a una vita come tante alla deriva, la chiarificazione su chi ne è il responsabile è arrivata. E con questa la volontà di armarsi e di presentare il conto.

Che l’atto sia caratterizzato da ovvie lacune strategiche e tattiche è ovvio, ma non ne sminuisce affatto i significati. Come da lui stesso affermato, Preiti voleva uccidersi, ma preferiva farlo in compagnia dei fautori del proprio ed altrui sfruttamento. La libertà di disporre della propria vita non si tocca, per cui il gesto estremo verso se stessi va rispettato. Restano da ammirare il coraggio e la combattività di voler portare all’altro mondo con sé chi, senza dubbio alcuno, ha affamato la propria e l’altrui esistenza. E, nell’impossibilità di colpire gli “onorevoli” sfruttatori, perché non prendersela con i loro sgherri in divisa?

Oltretutto, la scelta di tirare sui carabinieri dovrebbe chiarire agli indignati che nei cortei pacifici e davanti alle telecamere pretendono che gli sbirri non si comportino in quanto tali dal momento che “voi siete come noi, anche voi siete sfruttati”. E no! I bastardi in divisa non sono come la “persona comune” che annaspa tra debiti e comfort tecnologici, sono i cani da guardia del dominio, sono gli schiavi armati dello Stato; ne sono, quindi, pienamente corresponsabili.

Non si tratta qui di esaltare un uomo che la disperazione ha portato ad armarsi contro lo Stato, per quanto i carabinieri a terra facciano sempre piacere. Come spesso accade, più che gli atti in sé, sono gli spunti metodologici che questi ispirano ed aprono ad essere ancor più interessanti.

Non possiamo prevedere con certezza che simili “episodi” si ripetano e si generalizzino. Ma oltre a sperarlo, dovremmo capire, nel caso, come non restare soltanto semplici spettatori di una rabbia che si porta sotto casa dei massacratori per restituirgli un poco di terrore.

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