L`operaismo come ideologia a garanzia dei padroni. A proposito del caso Ilva di Taranto.

Grande tristezza. E grande rabbia. Sono i due sentimenti che scaturiscono di fronte a quanto abbiamo dovuto assistere a Taranto, davanti al caso dello stabilimento Ilva, il maggiore in Europa quanto a produzione di acciaio, nata sulle ceneri della dismessa Italsider ed appartenente al gruppo della famiglia Riva, che possiede 42 stabilimenti produttivi in 8 paesi del mondo (con un fatturato di 11 mld di euro).

Con un ordinanza di un giudice lo stabilimento e` stato messo temporaneamente sotto sequesto, con conseguente chiusura di alcuni reparti fondamentali per il continuo della produzione (aria a caldo, cokeria, parchi minerali). Anche la magistratura dopo decenni si e` accorta che la fabbrica inquina pesantemente il territorio. A seguito di questa ordinanza alcuni dirigenti dell`Ilva sono arrestati e posti ai domiciliari.
I circa12.000 addetti (per il 98% uomini) hanno immediatamente incrociato le braccia, indicendo uno sciopero ad oltranza per protesta contro il sequestro, bloccando anche statali ed imbocchi stradali. Cose che non si vedevano da un pezzo. Certamente non nel caso delle peggiorative e liberticide riforme del lavoro dei governi succedutisi, non ultimo il governo amico delle banche e degli interessi padronali capeggiato dall`esimio prof. Monti. Ancora piu` certo e` che gli operai in tutti questi anni non si sono fatti sentire granche` sul versante ambientale, ovvero sull`indicibile morbo prodotto dall`Ilva, pur sapendo che la fabbrica dove lavorano avvelenava ed avvelena l`esistenza dei tarantini, oltre che la loro.
Ma la tragicommedia finale e` stata giocata nella maniera migliore quando la manifestazione dei burattini del potere e cioe` i sindacati confederati, arrivati coi leader sindacali nazionali, Angeletti (Uil, la cui sezione metallurgica Uilm e` la maggiore presente all`interno dello stabilimento tarantino), Bonanni (Cisl), Landini (Fiom), e Camusso (Cgil), che sono arrivati allla vergognosa difesa dei dirigenti inquisiti, è stata interrotta per circa mezz’ora dall’incursione di un centinaio di contestatori Cobas alla ricerca di un po` di riscontro mediatico come da copione, opponendo alla indecente diarrea retorica dei confederati la solita trita e condita enfasi che chiede di ottenere assieme sia la piena occupazione che la salute, ovvero un capitalismo dal volto un po` piu` verde attraverso le irrinunciabili riconversioni e bonifiche.
Dal canto suo, il governo Monti, per smorzare la patata bollente, per prevenire la minaccia di Bruno Ferrante, presidente Ilva, di chiudere anche gli altri stabilimenti italiani, e per venire incontro alle lamentele del padronato italiano e non, che dall`Ilva si rifornisce (l’ILVA di Taranto produce da sola circa 9 milioni di tonnellate l’anno  su 28 milioni di tonnellate di acciaio prodotte in Italia. Il Gruppo Riva nel suo complesso ne produce più di 17), ha velocemente stanziato 360 milioni di euro per la pretesa bonifica di anni ed anni di veleni immessi nell`ambiente.
La realta` ci dice che non basteranno bonifiche e palliativi tecnologici migliorativi del processo di produzione per fare di una fabbrica, che e` stata progettata per produrre acciaio, una casa di salute che non inquini e non porti con se le prevedibili conseguenze di morte e devastazione. Del resto, il sogno di un capitalismo verde, di un inquinamento sostenibile, lo lasciamo volentieri ai residuati della sinistra ideologica.
Il problema e` che dietro Ilva ci sono interessi giganteschi. L’Italia è un paese esportatore di acciaio, ma la produzione italiana è importante anche per il mercato interno. Uno dei settori più importanti per l’export italiano è la meccanica. La competitivita` di questo settore in Italia dipende in massima ragione dal potersi rifornire sul territorio nazionale di acciaio a buon prezzo, che altrimenti andrebbe importato dalla Germania o da altre nazioni. Oltre a Taranto, in Italia gli altri complessi industriali Ilva per la lavorazione dell’acciaio sono a Genova, Novi Ligure (AL), Racconigi (CN), Varzi (PV) e Patrica (FR). l`Ilva rappresenta quindi per la meccanica, Fiat in testa, un partner imprescindibile. E` per questa ragione che politici, sindacalisti, governo, tutti cercano di salvaguardare gli enormi interessi dei loro padroni.
Che lo facciano anche gli stessi operai, che da quei padroni sono strozzati ogni giorno con il ricatto salariale, vilipesi ed umiliati come bestie da soma, financo uccisi metodicamente al ritmo lugubre del tichettio dell`orologio e delle sirene della fabbrica, e` quanto di piu` disperante si possa vedere.
Questi arresi al ricatto lavoro/morte, che non hanno compreso come, soprattutto nel loro caso, il lavoro e` morte, dimostrano con la loro difesa del posto di lavoro di difendere solamente e stupidamente l`interesse del padrone, dei padroni. Che calorosamente ringraziano e possono continuare a minacciare, a ricattare, a sfruttare, ad inquinare, ad uccidere.
I ricordi vanno ai bei tempi andati, quando gli operai attuavano il boicottaggio ed il sabotaggio nei confronti dei loro datori di lavoro, arrivando anche ad atti di danneggiamento delle fabbriche in cui lavoravano. Ora, invece, sembra che il percorso simbiotico di immedesimazione dell`operaio col prorio sfruttatore sia completo. Gli anarchici, oh! quanto avevano ragione di criticare Marx nella sua cieca fiducia del ruolo rivoluzionario dell`operaio. La parabola dell`operaismo, ovvero l`ideologia della centralita` rivoluzionaria della classe operaia, ci dimostra come il grande filosofo ed economista tedesco non ci avesse capito un cazzo.
Purtroppo, in questi anni, le societa` evolutesi dall`industrialismo selvaggio dei territori e nella civilizzazione tecnologica ed ipertecnica, hanno portato grosse masse umane ad infoltire quel proletariato votato alla distruzione di se` stesso, anche attraverso l`abbandono di ogni possibile ricorso ad un`economia di sussistenza, agevolando con questo lo scivolamento verso nuove forme di schiavismo maggiormente invasive e che hanno per peculiarita` la difficolta` a liberarsene una volta sottoposti. Lo stabilimento Ilva rappresenta circa il 75% del Prodotto Interno Lordo del territorio di Taranto, gli abitanti di quel territorio sono legati in maniera indissolubile a quella fabbrica, volenti o nolenti. Per non esserlo dovrebbero mettere in discussione non solo la loro vita, ma il modo in cui cercano di sopravvivere: cioe` la vita di tutti. La fabbrica che da` lavoro, da` anche la morte. Eccolo, il ricatto inaccettabile, ma che lo si accetta. Perche` non si e` piu` individui ma lavoratori.
Eppure basterebbe riflettere un attimo. L`operaio dell`Ilva lavora per portare a casa il pane per la sua famiglia, per i suoi figli. Ma continuando a lavorare in quella fabbrica non fa che continuare il suo concorso nel produrre veleni. Veleni che i suoi figli faranno ammalare, e uccideranno. In tutto questo non c`e` una logica, non c`e` nemmeno un futuro a cui guardare con speranza, ci sono soltanto impotenza e rassegnazione.
Ed e` la ragione per cui, come dicevamo in apertura, i due sentimenti che si provano possono solo essere di tristezza e di rabbia. Perche` l`impotenza di fronte al padrone che ci uccide fa tanta tristezza. Ma ancora di piu` fa rabbia la rassegnazione.
Ci sembra piu` che congruo concludere con l`indicativo scritto di Zo D`Axa di cui sotto. D`Axa,  anarchico individualista e giornalista satirico francese, piu` di un secolo fa aveva capito gia` come l`operaismo, lungi dal rappresentare uno stimolo rivoluzionario, finisca quasi sempre per essere funzionale ai giochi di potere degli sfruttatori e dei padroni.

L’Onesto Operaio (di Zo D’Axa).

Stralcio da La Feuille, n. 24 del 15 febbraio 1899.

Verremmo meno al nostro piacere se, dopo aver salutato come si conviene la magistratura e l’esercito, non ci premurassimo d’inchinarci, con tutto il dovuto rispetto, davanti al Popolo.
In mezzo alle rovine e alle vergogne accumulate dalle classi dirigenti, fa bene, per scacciare il disgusto, occuparsi delle classi laboriose.
È l’incorreggibile infiacchimento della massa degli sfruttati a creare la crescente e logica ambizione degli sfruttatori.
I Re della miniera, del carbone e dell’oro avrebbero proprio torto a preoccuparsi. La rassegnazione dei propri servi consacra la loro autorità. La loro potenza non ha nemmeno più bisogno di richiamarsi al diritto divino, quella frottola decorativa; la loro sovranità si legittima attraverso il consenso popolare. Un plebiscito operaio — fatto di adesioni patriottarde, banalità declamatorie e silenziose acquiescenze — assicura l’impero del padronato e il regno della borghesia.
Di quest’opera si riconosce l’artigiano.
Che sia di miniera o di fabbrica, l’Onesto Operaio, questa pecora, ha causato la rogna al gregge.
Un ideale di contropadrone perverte gli istinti del popolo. Il vestito buono della domenica, parlare da politico, votare — è l’aspirazione che sostituisce tutto. L’odioso lavoro quotidiano non risveglia né odio né rancori. Il grande partito dei lavoratori disprezza il fannullone che guadagna male il denaro concesso dal padrone.
Ci si dedica con passione al lavoro.
Si è fieri delle proprie mani callose.
Per quanto le dita siano deformate, il giogo ha fatto di peggio sulle teste: sul cuoio capelluto, con lo strofinio della bardatura, si sono ingrossati i bernoccoli della rassegnazione, della viltà, del rispetto. I vecchi operai vanitosi brandiscono i propri certificati: quarant’anni nella stessa ditta! Li si sente raccontare questo mentre elemosinano pane nei cortili.
— Abbiate pietà, signori e signore, di un vecchio invalido, un bravo operaio, un buon patriota, un vecchio sottufficiale che ha combattuto durante la guerra — Abbiate pietà, signori e signore.
Fa freddo; le finestre restano chiuse. Il vecchio non capisce…
Istruire il popolo! C’è bisogno d’altro? La sua miseria non gli ha insegnato proprio niente. Finché ci saranno ricchi e poveri, questi ultimi si aggiogheranno essi stessi al servizio ordinato. La colonna vertebrale dei lavoratori è abituata alla bardatura. Nel periodo della giovinezza e della forza, sono solo i domestici a non protestare.
L’onore speciale del proletario consiste nell’accettare in blocco tutte le menzogne nel nome delle quali lo si condanna ai lavori forzati: dovere, patria, e così via. E lui accetta, sperando in tal modo di elevarsi fino alla classe borghese. La vittima si fa complice. Lo sventurato parla di bandiera, si batte il petto, si toglie il berretto e sputa in aria:
— Sono un onesto operaio.

Lo sputo gli ricade sempre sul naso.

 

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