“L’espropriatore” di Renzo Novatore.

– Renzo Novatore (Abele Ricieri Ferrari) –
(Arcola, 12 maggio 1890 – Genova, 29 novembre 1922)

“L’Espropriatore”

(apparso su Iconoclasta!, Pistoia, a.I, 1° s., n.10, 26 novembre 1919)

La mia libertà e i miei diritti sono tanti quanto la mia capacità di potenza.
Anche la felicità e la grandezza
L’avrò solo in misura della mia forza!
(Da un libro da me scritto e che non vedrà mai luce)
L’Espropriatore è la più bella figura maschia, spregiudicata e virile che io abbia mai incontrato nell’anarchismo. Egli è colui che non ha nulla da attendere. Egli è colui che non ha più nessun altare su cui sacrificarsi. Egli glorifica soltanto la Vita con la filosofia dell’Azione.
Lo conobbi in un lontano meriggio di agosto mentre il sole ricamava in oro la verdeggiante natura che, profumata e festante, cantava gioconde canzoni di pagana bellezza.
Mi disse: “Fui sempre uno spirito inquieto, vagabondo e ribelle.
Ho studiato gli uomini e la loro anima nei libri e nella realtà. Li ho trovati un impasto di comico, di plebeo, di vile. Ne sono rimasto nauseato. Da una parte i biechi fantasmi morali, creati dalla menzogna e dall’ipocrisia che dominano. Dall’altra parte le bestie
sacrificali che adorano con fanatismo e vigliaccheria. Questo è il mondo degli uomini.
Questa è l’umanità. Per questo mondo, per questi uomini e questa umanità, io sento ripugnanza. Plebei e borghesi si equivalgono. Sono degni l’uno dell’altro. Il socialismo non è di questo parere. Egli ha fatto la scoperta del bene e del male. E per distruggere questi
due antagonismi ha creato altri due fantasmi: Eguaglianza e Fratellanza fra gli uomini…
“Ma gli uomini saranno uguali innanzi allo stato e liberi nel Socialismo…Egli – il socialismo – ha rinnegato la Forza, la Giovinezza, la Guerra! Ma quando i borghesi, che sono i
pezzenti dello spirito, non vogliono saperne di essere uguali ai plebei, che sono i pezzenti della carne, allora anche il socialismo ammette, piagnucolando, la guerra. Sì, anche il socialismo ammette di uccidere e di espropriare. Ma in nome di un ideale di uguaglianza e
di fratellanza umana…Di quella santa uguaglianza e fratellanza che incominciò da Caino
Abele!…
“Ma col socialismo si pensa a metà; si è liberi a metà; si vive per metà!…Il socialismo è intolleranza, è impotenza di vivere, è la fede della paura. Io vado oltre!
“Il socialismo ha trovato bene l’eguaglianza e male la disuguaglianza. Buoni i servi e cattivi i tiranni. Io ho varcato le soglie del bene e del male per vivere intensamente la mia vita. Io vivo oggi e non posso aspettare il domani. L’attesa è dei popoli e dell’umanità, perciò non
può essere affare mio. L’avvenire è la maschera della paura. Il coraggio e la forza non hanno avvenire per il semplice fatto che sono essi stessi l’avvenire che si rivolta sul passato e lo distrugge.
“La purezza della vita procede soltanto con la nobiltà del coraggio che è la filosofia dell’azione.”
Osservai: “La purezza di questa tua vita mi sembra rasentare il delitto!”
Rispose: “il delitto è sintesi suprema di libertà e di vita. Il mondo morale è il mondo dei fantasmi. Là vi sono spettri e ombre di spettri, là vi è l’Ideale, l’Amore universale, l’Avvenire. Ecco l’ombra degli spettri: là vi è ignoranza, paura, vigliaccheria. Tenebra profonda. Forse tenebra eterna. Anch’io sono vissuto, un giorno, là in quella tetra e lurida prigione. Poi mi sono armato di una torcia sacrilega per incendiare i fantasmi e violentare la notte. Quando sono giunto presso i rugginosi cancelli del bene e del male li ho furiosamente abbattuti e ne ho varcate le soglie. La borghesia mi ha lanciato il suo
anatema morale e la plebe idiota la sua morale maledizione.
“Ma l’una e l’altra sono umanità. Io sono un uomo. L’umanità è mia nemica. Lei vuole stringermi fra i suoi mille tentacoli orrendi. Io cerco di strappare a lei tutto ciò che necessita alle mie brame. Siamo in guerra! Tutto ciò che ho la forza di strapparle è mio. E tutto ciò che è mio lo sacrifico sull’altare della mia libertà e della mia vita. Di quella mia vita ch’io sento palpitare fra le palpitanti fiamme che mi divampano nel cuore; fra quello strazio selvaggio di tutto l’essere mio che mi gonfia l’anima di divine bufere, e che mi fa echeggiare nello spirito scroscianti fanfare di guerra e polifoniche sinfonie di un amore superiore, strano e sconosciuto; che mi empie le vene di un sangue rigoglioso e gagliardo, che sparge in tutto l’involucro dei miei muscoli, dei miei nervi e della mia carne, fremiti diabolici di tripudiante espansione; di quella mia vita ch’io intravedo attraverso la folle visione dei miei fantastici sogni, bramosa e bisognosa di sviluppo perenne. Il mio motto è:
camminare espropriando e incendiando, lasciando sempre dietro di me urli di morali offese e tronchi di vecchie cose fumanti.
Quando gli uomini non possiederanno più le ricchezze etiche – unici reali tesori davvero inviolabili – allora getterò i miei grimaldelli. Quando nel mondo non vi saranno più fantasmi, getterò la mia torcia. Ma questo avvenire è lontano e forse non è! E io sono un
figlio di questo lontano avvenire, piombato su questo mondo dal Caso alla cui potenza io m’inchino”.
Così mi disse l’Espropriatore in quel lontano meriggio d’agosto mentre il sole ricamava in oro la verdeggiante natura che, profumata e festante, cantava gioconde canzoni di pagana bellezza.

Tratto dalla raccolta “Un fiore selvaggio” a cura di Alberto Ciampi
Edizioni BFS Pisa
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