Contro tutti i partiti, ora più che mai.

Come anarchici, naturalmente, si è sempre avuta una attenzione particolare alla critica contro i partiti, considerati a ragione come parte integrante del più complesso problema socio-politico, e in generale contro l’insano sistema della delega, che priva praticamente l’individuo della propria possibilità di scelta decisionale per porla nelle mani di entità istituzionali esterne che dovrebbero, secondo ingenua interpretazione, operare secondo criteri di interesse generale e che finiscono, in modo del tutto scontato e logico, per perseguire solamente interessi di tipo particolare riconducibili a quella che oggigiorno viene indicata come “la casta”, e cioè la dirigenza politica espressione della classe egemone dei padroni, dei finanzieri e dei ricchi proprietari.

Oggi però questa attenzione deve essere necessariamente posta ai primi posti dell’intervento anarchico, alla luce della cosiddetta crisi della politica (dei partiti tradizionali) e al riaffacciarsi, di conseguenza, di nuovi partiti (o partituncoli di riciclati) che si rifanno a vecchie ideologie o a movimenti che si affacciano per la prima volta nell’agone della politica istituzionale (pensiamo solo al M5S di Grillo), e che certo non nascondono la volontà di soppiantare i partiti sputtanati di oggi nei loro posti in parlamento e nelle istituzioni locali.

Con il sottinteso di portare nuova linfa ad una democrazia rappresentativa smarrita e sputtanata con l’innesto di nuove forze, questi partiti fin’ora del tutto marginali e ridotti a crearsi una legittimità d’intervento nelle pieghe della politica extra-parlamentare per pura necessità e non certo per scelta, ora vedono nella situazione scaturita dalla crisi economico-sociale e nel relativo vuoto di potere come diretta coseguenza delle ruberie e della corruzione della classe politica, un’opportunità di scalata del “palazzo”.

Questo succede non solo in Italia ma, come vediamo, ed il caso di Alba Dorata in Grecia è veramente emblematico, un po dappertutto nell’ (ex) benestante primo mondo d’occidente. Alba Dorata, o meglio la Lega Popolare – Aurora Dorata (Λαϊκός Σύνδεσμος – Χρυσή Αυγή,  Laïkós Sýndesmos – Chrysí̱ Av̱gí̱), fondata da Nikólaos Michaloliákos, è riuscita in poco tempo a cavalcare la crisi economica, fino a diventare seconda forza del paese in termini elettorali (le indicazioni di voto la danno subito dietro al partito della sinistra radicale Syriza, che a sua volta ha decuplicato i suoi voti cavalcando ideologicamente la situazione), rispondendo alle esigenze dei cittadini (greci e bianchi) con trovate propagandistiche a forte contenuto ideologico ed identitario, spinte di tipo protezionistico in campo economico e azioni contro immigrati ed anarchici (molto forti, questi ultimi, in diverse città greche ed attivissimi negli spazi occupati ed in una molteplicità di lotte riappropriative e non solo rivendicative).
In Italia formazioni neo-fasciste come Forza Nuova e Casapound stanno cercando di emulare i successi di Alba Dorata, per ora senza troppo successo ma in futuro chissà.

Non sarà certo un caso se gruppi di riciclati della vecchia politica, sia di estrema destra ma anche della sinistra cosiddetta radicale, ritornano in auge con vecchi programmi politici sdoganati come innovativi. Pensiamo solo a quanti si rifanno ancora al controllo statale in ambito pubblico, indicato come soluzione e alternativa al capitalismo (e in quest’ottica potremmo parlare di un partito dello Stato, indipendentemente dalle sfumature di colore introdotte dal falso binomio destra-sinistra). Come se di capitalismi di Stato ed autarchie socio-economiche non ne avessimo già visti in abbondanza in passato e non ci avessero già dato prova dei risultati di taluni pensieri politici quando sviluppati nel mondo reale.

Comunque sia, se negli ultimi anni abbiamo assistito ad un certo andazzo rispetto alla fiducia nella politica istituzionale, soprattutto se guardiamo alla costante diminuzione del numero di chi si reca alle urne per votare (in Italia soprattutto se per il parlamento nazionale), che ormai è divenuto un fenomeno comune a tutte le democrazie occidentali tanto che in quella che si dice più compiuta, e cioè quella degli Stati Uniti d’America, votano in media meno della metà degli aventi diritto, non possiamo non notare e far notare però che, a fronte di questa innegabile sfiducia nei partiti tradizionali (che hanno dato ampia prova di sè), rimane quasi inesistente una critica al sistema complessivo della delega. Come dire che, cambiati i nomi e le facce dei partiti, la fiducia nella politica istituzionale ritornerebbe.

Legata a quest’ultimo assunto va vista la nascita di liste civiche e nuovi partiti, che dietro il paravento della “democrazia partecipativa” (ovvero l’idea di innaffiare la stessa pianta che ci avvelena) nascondono la volontà di potere e l’opportunismo di alcuni e la totale ingenuità (ma sarebbe meglio dire coglionaggine) dei molti. O come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, uomo di spettacolo dietro cui opera una nota società di esperti in marketing (la Casaleggio Associati, operativa nel settore della consulenza e dei nuovi media), che coi suoi inviti alla partecipazione dei cittadini (arruolati ed irregimentati nel partito) alla politica ufficiale sembra proprio nascere appositamente per non fare implodere il sistema della rappresentanza, la cui fine auspicata aprirebbe finalmente un nuovo modo di intendere e praticare il proprio intervento attraverso l’autogestione del proprio ambiente e dei rapporti con gli altri con metodi orizzontali e non-gerarchici, e con modalità dirette e non mediate da sovrastrutture delegate e/o deleganti.

Il riscontro che questi nuovi partiti potrebbero avere e che, di sicuro, stanno già avendo, con questo rinsaldando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella democrazia rappresentativa, ci suggerisce che servirà (e veramente servirebbe già oggi) sviluppare delle pratiche attive più che mai necessarie per contrastare quelli che, ad oggi, rappresentano il peggior nemico per coloro che vogliano distruggere pienamente il sistema della delega e l’idea stessa di Stato. Bisognerebbe, innanzi tutto, come anarchici, cercare di evitare di dare legittimità e spazi a questi partiti anche in modo indiretto e/o involontario. Evitare di dare alla loro propaganda visibilità con iniziative di piazza che possano prestare il fianco ad una loro partecipazione (e propaganda) come partito. Questo si può senz’altro evitare con contenuti i più chiari possibile e che prevedano l’auto-organizzazione delle lotte tra individui, senza mettere di mezzo le strutture di sintesi dei partiti (o simili). Discutere e confrontarsi tra individui è possibile, mentre con chi fa riferimento a strutture partitiche, con ciò rinunciando alla propria individualità per approciarsi alla lotta solo con l’intento di portare consensi alla propria organizzazione stabile di sintesi (o di tentare l’egemonia “culturale” nel “movimento”), ogni discussione non solo non è possibile, ma va chiusa quanto prima, per dedicarsi alla costruzione di lotte aperte al reciproco e mutuo accordo in base ad obiettivi che non possono che essere condivisi (se si hanno diversi obiettivi, ad esempio se l’obiettivo di una lotta non è quello che viene espresso da essa medesima ma solo quello di conseguire un interesse particolare a sè stesso e alla propria cerchia di accoliti, oggettivamente è ben difficile incontrarsi anche solo momentaneamente per un tratto di strada da percorrere assieme).

Molte persone ora disgustate dalle istituzioni, dunque, potrebbero essere tentate da queste nuove formazioni politiche, prendendo per buone le loro farneticazioni retoriche, così partecipando ad un percorso contro-rivoluzionario che avrebbe per effetto rinforzare il nemico da abbattere, parte dei mali che ci affliggono.
In questo senso considerare tutti i partiti politici, pur nelle loro differenze, e senza farsi traviare dai nomi che talvolta amano darsi (come quello di “lista civica”), come tutti uguali e tutti nocivi non è banalizzare la questione, nè tantomeno essere miopi rispetto al fatto che magari i programmi che propongono non sono identici. Solamente significa ribadire che il loro ruolo (che rivestono consapevolmente o meno) è quello di colonne portanti della democrazia rappresentativa, della delega e, quindi, dello Stato. Con buona pace di coloro che pensano di fare la rivoluzione entrando nella trincea nemica.

Insomma, ora più che mai diventa impellente saper affrontare la questione che ci si pone di fronte, quella dei rapporti con chi anarchico non è o non fa riferimento ad un determinato pensiero “politico” ma si trova o si troverà ugualmente nella condizione di doversi organizzare attraverso le lotte per affermare la propria sopravvivenza (che si tratti dell’opposizione contro una grande opera devastatrice come della riappropriazione di beni alimentari, saperi e spazi abitativi, fino al rifiuto di lavorare in condizioni precarie e insalubri).
Solo delegittimando i partiti politici le lotte non cadranno nella strumentalizzazione e nel recupero istituzionale, solo delegittimando il sistema della delega cesserà la partecipazione al proprio sfruttamento, e non possiamo pensare che questo avvenga altrimenti che attraverso l’esempio offerto dalla pratica reale, costruita con determinazione e franchezza.

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