“Il Grido delle Ninfee” num. 4 – Sistema insostenibile

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LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

In questo terzo numero abbiamo voluto spendere qualche parola sul movimento ambientalista che da qualche anno si è creato a Ferrara, attorno ai temi caldi della costruzione della centrale elettrica turbogas e della triplicazione dell’inceneritore Hera. Ci è piaciuto coglierne i pregi ed i limiti, cercando di proporre soluzioni che possano dare uno slancio in più per fermare questi progetti nocivi che si ripercuoteranno sulla vita di tutti. Pensiamo che in questo momento, proprio quando i due impianti sembrano prossimi all’accensione, la lotta debba essere radicalizzata e si debbano tentare nuovi piani pratici di azione. Le assemblee pubbliche indette dai Comitati, da questo lato sono sembrate ancora abbastanza carenti. È indispensabile capire se si vuole evitare davvero di subire queste nocività. Bisogna che dalle assemblee emerga chiaro il proposito di mettersi in gioco totalmente per fermare i progetti che la popolazione vive come imposti.
Accanto a questa analisi abbiamo voluto accostare un discorso inerente a quella che viene chiamata “la crisi del settore della chimica” ed abbiamo, dunque, finito per parlare anche del Polo Chimico di Ferrara. Se lo abbiamo fatto c’è una ragione ed è evidenziare, al di la dei singoli stabilimenti nocivi, l’esistenza di un problema ben più grande. La reindustrializzazione di questo settore è un fatto per noi preoccupante che, al di la di un’ottimistica previsione di occupazione (ricordiamo che lo sviluppo della tecnologia ha portato e porterà sempre più ad un minor ricorso di mano d’opera umana), pende come una spada di Damocle sul presente e sul futuro del pianeta. Pensiamo che opporsi ad una sola – o due – nocività sia abbastanza ingenuo, perché mostra una difficoltà di comprensione di come la produzione tecnologica, in realtà, faccia parte di un unico progetto. Ci sembra giusto soffermarsi su una singola nocività, per concentrare gli sforzi su di un obiettivo che può essere attaccato e abbattuto ma va sempre tenuto a mente che le nocività non sono slegate dal contesto che le crea. Questo, per noi, è essere ecologisti.

Quale ecologia?
“Ecologia: scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente fisico in cui vivono”.

Per schiarire le idee:
NO, non siamo del partito dei Radicali.
NO, non ci riconosciamo nella sinistra cosiddetta radicale, che di radicale ha ben poco, o nulla.
NO, non siamo legati ad ideologie di partito, di destra, di sinistra, di estrema sinistra o neofascista.
Siamo Anarchici. Siamo ecologisti anche, perché le relazioni tra ambiente fisico ed esseri viventi, umani e non, è alla base di ogni altra considerazione.
Siamo per un ecologia radicale, in quanto presupponiamo che lo studio di un effetto debba portare in maniera logica alla messa in discussione dell’intero sistema che ne permette la nocività.
E agiamo coerentemente. Nient’altro.

C’è chi parla di allarmismo, c’è chi dice che queste sono fantasie prive di fondamento ma come non accorgersi coi propri occhi che, purtroppo, questa è la triste realtà, ed allora quelli che parlano di disfattismo – industriali, capitalisti, amministratori, dirigenti, sindacalisti – ne sono i maggiori responsabili. Ma responsabili sono anche coloro che continuano a delegare il proprio potere decisionale e il proprio giudizio critico continuando a creare consenso verso il sistema che ci trascina verso il baratro; responsabili perché essi stessi colpevoli di aver insignito gli avvelenatori con quella supposta sovranità popolare di cui si ammantano spocchiosamente. Per questo, abbiamo pensato di aprire il quarto numero de “Il Grido delle Ninfee” con uno scritto che si sofferma volutamente sul contributo dato dalla politica (di qualsiasi schieramento, dato che i partiti accettano e riproducono gli schemi dello stesso sistema, rodato ed oliato negli anni) allo scenario ambientale attuale, perchè è inimmaginabile non tener conto dell’importanza di questa correlazione nel contesto delle trasformazioni che storicamente ha subito e continuamente subisce la società delle Nocività. Solamente liberandoci dalla “schiavitù volontaria” per ritornare ad una concezione dell’intervento politico che sia prima di tutto autogestione attiva del processo decisionale, potremo giungere a ridisegnare i contorni della società in cui viviamo e a salvare la terra, e noi stessi, dalla rovina prossima ventura.
Fin dai tempi remoti e con una decisa accelerazione durante la Rivoluzione Industriale, a cavallo tra il ‘700 e l’800, la politica si è impegnata a rivestire un determinato ruolo, che finirà per essere la sua particolarità principale durante gli anni successivi: il ruolo di difensore di interessi particolari, spacciati come interessi di tutti. Quando si costruirono le prime macchine e le prime catene di montaggio, si disse che avrebbero migliorato ed alleviato il lavoro degli operai; a questi ultimi non si disse, però, che ne sarebbero stati licenziati a migliaia, perchè le macchine avrebbero finito per sostituirli e, tra gli altri aspetti, avrebbero contribuito ad accelerare la fine del lavoro artigianale e domestico. Gli operai ne guadagnarono soltanto una dequalificazione del loro lavoro e quindi una ricattabilità da parte del capitale. In breve anche il lavoratore divenne merce, al pari di un qualsiasi altro prodotto, assimilabile alle macchine che gli toglievano il lavoro. Ancora una volta qualcosa che veniva spacciato per utile e vantaggioso per tutti, diveniva in realtà fonte d’interesse solamente per quella classe sociale che continuava ad arricchirsi. Sempre in quegli anni, la fine del lavoro domestico, in cui il lavoratore conservava una certa indipendenza, almeno per quanto riguardava gli orari e le pause, essendo che questi lavorava a domicilio per conto dell’azienda, contribuì decisamente allo spostamento di enormi masse di lavoratori dalle campagne alle città, che andavano allargandosi. La nascita di questi grandi agglomerati urbani, sorti come alloggi popolari funzionali alle industrie, che così potevano controllare e dettare i tempi e gli orari di lavoro e di spostamento dell’operaio, costituirono i primi esempi delle città industriali per come le conosciamo. Alle ambizioni degli industriali la politica dei palazzi forniva le migliori occasioni per saziarsi in quantità e così le industrie crebbero, ed assieme a queste pure le città. L’economia divenne la nuova religione borghese e la politica ne trasse i nuovi predicatori. Il progresso che tanti pensatori avevano acclamato e caldeggiato si dimostrò, alla fine, null’altro che una questione di zeri sui conti correnti degli industriali e dei politici, guarda caso troppo spesso le medesime persone (pare che il modello non sia per nulla sorpassato: a contendersi i voti dei lavoratori, oggigiorno, sono Prodi e Berlusconi, due pasciuti industriali). La classe dirigente, che fa le leggi e i piani, è stata quindi responsabile della comparsa degli agglomerati urbani attorno alle industrie e ad esse direttamente collegati, tramite lo studio dell’urbanistica e dei trasporti, ed è in questo modo che le città hanno continuato a muoversi e crescere. Il finto mito positivista del progresso rivoluzionario lasciò ben presto il posto alla cruda realtà del disincanto e al ritmo forzato della degenerazione della crescita industriale. E i nuovi Galileo finirono tutti quanti sulla lista paga dei padroni. Non ci è difficile osservare, ancora oggi, al di là di come si sia ammodernato ed abbia affinato i suoi interventi e le sue politiche, quanto questo modello sia rimasto in voga. Si costruiscono industrie e si realizzano opere che scaricano veleni e porcherie nell’aria, nell’acqua e nel suolo, sbandierando la carta dell’opportunità di lavoro e di occupazione per il territorio, quando sappiamo che proprio il progresso tecnico e la tecnologia hanno fatto sì che per grosse centrali siano sufficenti qualche decina di operai, mentre le proprietà fagocitano miliardi ottimizzando le spese, a scapito del territorio stesso. Evidentemente spacciare come ricchezza per tutti qualcosa che lo è solo per taluni fa parte ormai della retorica di queste politiche, che i “nostri” amministratori amano ripetere, con ossequioso zelo, riprendendo pari pari l’oratoria e gli slogan degli amici-di-sempre alleati capitalisti e sembra, anzi, che questo modello proprio non possa, e non voglia, essere abbandonato da coloro che hanno a cuore, sopra ogni altra cosa, lo sviluppo del nuovo ordine economico mondiale, come sappiamo basato su di un capitalismo globale e globalizzante e sulla circolazione delle merci. Ma qualcosa di nuovo all’orizzonte c’è, ed è la sfiducia che la gente ha nella politica istituzionale, forse perchè ha capito che è una grossa presa per il culo. Per questo sentiamo i politici dire che c’è bisogno che la politica ritorni protagonista, che parli più semplicemente per farsi capire dalla gente, quasi che serpeggi la paura che la gente cominci a pensare con la propria testa, a disfarsi della politica e a far da sé. Allora, in questi tempi attraversati dai dubbi per il futuro o per gli ipotetici futuri, dove la rete tecnologica cerca di intrappolare anche i pensieri in un incubo artificiale ma certo non astratto, dove le polveri ci ottenebrano la vista e le menti e occludono le arterie, strozzando i cuori e dove un territorio sterile e plastico si staglia nell’orizzonte globale, l’unica via di fuga e di rivolta, di resistenza e di attacco, può venire unicamente dal nostro rifiuto di identificarci con le scelte calate dall’alto. Disfarci della politica della rappresentanza, dunque, per creare l’autogestione dal basso. Disfarci della politica dell’antropocentrismo, in favore di una visone antispecista che rivendichi la dignità all’esistenza per ogni specie animale, inclusa quella umana. Disfarci della politica del capitalismo, perchè non è accettabile una politica che veda la terra come una sacca inesauribile da depredare, vendere o acquistare. Disfarci della politica delle merci, perchè la produzione di prodotti e rifiuti perlopiù inutili e dannosi è conveniente solo alla logica economica che sottende alla politica del capitalismo e al libero mercato globale. Disfarci della politica monoculturale e monocolturale, perchè l’appiattimento della cultura umana su standard globalizzati e la continua modificazione della natura è indice della volontà di monopolio sull’intera vita da parte delle aziende mondiali, che ne mortificano e ne reificano ogni aspetto. Disfarci della politica dell’evoluzionismo tecnologico, vista la menzogna del progresso, questa linea evolutiva che ci sta portando tutti quanti, capitalisti inclusi (visto che ancora non sono riusciti a colonizzare nuovi pianeti, ma si stanno atrezzando…ettari di Luna sono già stati venduti al miglior offerente!), sul baratro della morte. Rifiutare queste politiche è solamente il primo passo; per sbarazzarcene completamente occorrerà che questo rifiuto, ora e non domani, fin che siamo ancora in tempo, si traduca in lotta montante contro la società delle Nocività e dei suoi difensori. La sfiducia nella politica di palazzo da parte della gente deve trasformarsi in una dose di volontà per trovare da sè, assieme, un modello di autogestione valido per amministrare il proprio quotidiano. Se la gente non saprà autoorganizzarsi, l’unica cosa che si ritroverà a dover gestire saranno le proprie miserie, i propri tumori, la propria incapacità. Non dobbiamo avere paura che si guardi al movimento contro le Nocività come ad un esempio di rigurgito conservatore, in cui persone retrograde si ostinano a combattere il Leviatano tecnologico con la clava preistorica, tutt’altro…il movimento contro le Nocività è un movimento che guarda lontano e purtroppo non vede nient’altro che rovine sulla strada che questa società si ostina a percorrere. Continuare a calcare questa via: questo sarebbe essere conservatori, perchè non si vorrebbero trovare altre strade diverse da quella che fa più comodo oggi. Gli industriali e i politici difendono il sistema attuale perchè è IL loro sistema, anche ai costi tremendi ampliamente pianificati: costi che per loro sono accettabili e secondari rispetto ai loro affari e alla possibilità di nuovi mercati. E così fanno di tutto per ricoprire e mantenere i posti di privilegio politico, le posizioni dominanti che gli permettono di manovrare a proprio vantaggio. Questi sono i veri conservatori, gli immobilisti a cui non frega nulla della sorte dell’ambiente o dei morti di cancro, così frequenti nelle famiglie. L’universo, se potessero, sarebbe un oceano da predare con enormi reti a strascico. La loro unica preoccupazione è che non vi siano abbastanza alberi da tagliare, abbastanza animali da macellare, abbastanza terreni disponibili per le loro installazione e per le loro industrie, abbastanza sorgenti da privatizzare, abbastanza domande di automobili per costruire nuove autostrade e quando trovano un ostacolo lo abbattono senza pensarci due volte, che sia una montagna da perforare per i loro tunnel o una tribù indigena da sterminare per far fruttare la terra sulla quale viveva da millenni e che è stata acquistata da qualche multinazionale multimiliardaria o altro. Ma i costi che per questa politica sono accettabili e secondari, per noialtri, che amiamo la terra e la vita e le difendiamo, sono inaccettabili. Servirà scegliere da che parte stare, se da quella di chi lotta per la difesa della terra o da quella di chi, giorno per giorno, la uccide colpevolmente. Anche la scienza, quella stessa scienza che per secoli è stata inquisita e condannata dalla bigotta cultura del regno dei Papi e che, nata dal ventre gravido dell’Alchimia è finita per divenire ennesimo strumento di controllo sociale e lucro, spesata e normata dal capitale, ammette che l’evoluzione non si svolge su di una unica direttiva ma, ipoteticamente, potrebbe seguire varie linee. Si tratta solo si trovare, il più rapidamente possibile, il punto da cui far partire questa nuova linea evolutiva, che faccia tesoro degli errori passati per non ripeterli. Un’evoluzione che, prima di tutto, cominci con l’atto di abbandono delle vecchie politiche rappresentative di palazzo e con la demolizione delle Nocività preesistenti. Utopia, sogni? può darsi ma è certo meglio che restare seduti davanti alla televisione ad aspettare la fine, come tanti spettatori rincoglioniti e sedati, senza sogni ma attorniati da tanta spazzatura che ci illudiamo servirà ad attutire la caduta. Se un mondo migliore è possibile, come dice un ormai logoro adagio, la fine di quello odierno è dietro l’angolo.

Nutiziàri frArés:

30 aprile – Ancora puzza di ENB attorno alla zona del Bennet e Piccola Media Industria e nuovo esposto da parte di cittadini. Ricordiamo che l’ENB è una sostanza tossica usata da Polimeri Europa (ENI) all’interno del Petrolchimico di Ferrara, che ha appena riottenuto il rinnovo della registrazione EMAS sulla qualità ambientale, sebbene lo scorso anno l’impianto di lavorazione fu fermato per breve tempo, a seguito di decine di segnalazioni di residenti che lamentavano irritazioni agli occhi e difficoltà di respirazione dopo una fuga della sostanza.

Aprile/Maggio – si è formato il comitato “No Veleno Bondeno”, che si oppone alla realizzazione di un deposito di stoccaggio di rifiuti speciali e tossici, nella zona industriale Riminalda, vicina alla nuova stazione ferroviaria ed a circa 2 Km dal centro del paese. Il progetto della ditta Cargofer è avversato dall’intera popolazione; il comitato ha raccolto le firme contrarie di oltre 3.400 abitanti su un paese che ne conta settemila. Il Comune ha espresso parere negativo ma l’ultima parola spetterà alla giunta provinciale. Intanto, sempre a Bondeno, la ditta Guascone vorrebbe realizzare, tra Scortichino e Burana, una porcilaia da 20.000 capi l’anno. Speriamo che il comitato appena formato si opporrà anche a questo insediamento nocivo, dato che, come è risaputo, gli allevamenti di grosse dimensioni producono quantità enormi di inquinamento, anidride carbonica e liquami che poi verranno scaricati nei fiumi, senza contare la sofferenza di migliaia di animali destinati ad essere stipati in spazi piccolissimi per risparmiare spazio, esclusivamente per divenire parte della nostra dieta. Una seconda porcilaia da 1.600 capi, questa volta voluta dall’azienda Molino Boschi di S.Michele di Ravenna e che dovrebbe realizzarsi sul territorio di Alfonsine (RA), ha incassato il parere negativo della giunta comunale di Argenta (FE), comune a ridosso dell’area dove dovrebbe sorgere l’allevamento. Anche in questo caso la popolazione ha protestato con cartelli posizionati nel centro della frazione di Anita.

8 maggio – infortunio sul lavoro nel cantiere Turbogas. Un operaio della ditta Tozzi Sud, impresa ravennate specializzata in impianti elettrici, a più di 30 metri di altezza viene colpito da una tavola di legno caduta dall’alto, mentre i sindacati, invece di proteggere i lavoratori, inveiscono contro gli ambientalisti, rei, secondo loro, di mettere in pericolo l’occupazione (o gli interessi degli industriali a cui sono al soldo?).

9 maggio – la stampa rende noto che la Wellco di Valdobbiadene (Treviso) si è aggiudicata l’appalto da oltre 3 milioni di euro per la realizzazione della struttura in acciaio che rivestirà la Turbogas da 800 Mw.

Mese di maggio – lenzuola con le scritte NO TURBOGAS – NO INCENERITORE compaiono un po’ ovunque, soprattutto nelle zone di Cassana e della circoscrizione Nord-Ovest.

28 maggio – Con un cinismo davvero esemplare Basell, multinazionale chimica della plastica presente al petrolchimico di Ferrara, ha sottoscritto assieme ad ANT, Associazione Nazionale Tumori, un progetto di prevenzione dei tumori riservato ai soli dipendenti dell’azienda. Della serie: prima li facciamo ammalare e poi fingiamo di preoccuparci, così ci guadagnamo pure in immagine. Ma la miglior prevenzione, chè è quella di evitare la produzione di veleni e materiale pericoloso, non viene nemmeno affrontata. I lavoratori sono avvertiti! morte chimica? a morte la chimica!

5 maggio – lavoratore muore carbonizzato dopo un’esplosione dello stabilimento chimico Unibios di Trecate (Novare). Nello stabilimento si erano già verificati incidenti, otto mesi fa un operaio era rimasto ustionato dalla soda caustica rimanendo a lungo in coma.

27 maggio – In una cartiera, a Tolentino (Macerata), divampa un incendio che distrugge parte del capannone. Tre operai intossicati.

29 maggio – Il coperchio di un forno di una ditta del bresciano specializzata nel trattamento di materie plastiche è esploso, colpendo in pieno un operaio ventiseienne, che è morto poco dopo all’ospedale.

Questi sono soltanto gli ultimi episodi, riferiti a questo mese, di una lunga serie di incidenti che ogni anno coinvolgono impianti chimici. Solo una combinazione?

Emergenza rifiuti:
12 maggio – la popolazione di Serre (Salerno) invade una cava, posizionata in un’oasi protetta, in località Valle della Masseria, che era stata individuata per l’emergenza in Campania come sito di conferimento di 700mila tonnellate di rifiuti. Dopo aver impedito ai camion di scaricare i rifiuti i carabinieri in assetto anti-sommossa attaccano i manifestanti ed interviene pure l’esercito che recinta l’intera zona. Nei giorni successivi altri presidi e sit-in, mentre alla popolazione di Serre si aggiungono quelle dei paesi vicini e anche i comitati No-Tav dal Piemonte. Proteste e offensive anche ad Acerra (dove vengono inviate 2.000 tonnellate di rifiuti al giorno!) e Montecorvino Pugliano (Salerno), dove sono state riaperte le discariche. Intanto buona parte dei rifiuti campani sono stati inviati in Romania, le cui discariche sono tra le più economiche d’europa. Non si sa mai che una parte di questi rifiuti non possa finire proprio a Ferrara, una volta triplicato l’inceneritore di Hera!

Il grido silente
C’È UN GRIDO SILENTE CHE ATTRAVERSA QUEST’ERA DEGENERATA: È IL SOFFIO DI PROTESTA E DI LAMENTO DELLA TERRA PER OGNI VITA ANIMALE CHE SI STA ESTINGUENDO, PER OGNI MARE E FIUME INQUINATO E SFRUTTATO, PER OGNI TERRITORIO DETURPATO IRRIMEDIABILMENTE, PER OGNI PROVINCIA AVVELENATA, PER OGNI LITORALE DEVASTATO DAL CEMENTO, PER OGNI ALBERO ABBATTUTO PER FARE POSTO ALL’ENNESIMO QUARTIERE RESIDENZIALE, PER OGNI NUOVA FABBRICA COSTRUITA, PER OGNI ANTENNA E RIPETITORE INSTALLATI, PER OGNI CONTAMINAZIONE AMBIENTALE, PER OGNI NUOVO ESPERIMENTO DELLA BIOTECNOLOGIA, PER OGNI POSTO IN CUI LO SFRUTTAMENTO SCELLERATO DI QUESTO SISTEMA HA IMPOSTO IL PROPRIO DOMINIO.
È UN GRIDO, QUESTO, CHE ARRIVA A TOCCARE LE SENSIBILITÀ E LE CORDE DI COLORO CHE ANCORA RIESCONO A COGLIERNE LA DRAMMATICA NATURA MA PIÙ COMUNEMENTE NON VIENE ASCOLTATO, FINENDO PER ESSERE IGNORATO DAI PIÙ.
EPPURE, NEL SILENZIO, È UN GRIDO CHE CI DICE MOLTE COSE. NEL SILENZIO RACCONTA LA SUA TRAGEDIA, LA SUA SOFFERENZA E LA SUA NEMESI. PERCHÉ È NEL SILENZIO CHE SI STA COMPIENDO LA SCOMPARSA DI QUELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI CHE CONTRADDISTINSERO E QUALIFICARONO I TERRITORI CON LA LORO PRESENZA; LA GLOBALIZZAZIONE DEL VELENO E DELL’AFFARISMO NE STA SANCENDO L’ECLISSE COMPLETA, IRRIMEDIABILE.
COME LA NINFEA BIANCA, PIANTA PECULIARE DELLA ZONA MEDITERRANEA, CHE FINO A POCHI DECENNI FA ERA PRESENTE IN OGNI STAGNO E CANALE DELLA PIANURA A RIDOSSO DEL CORSO DEL FIUME PO, CARATTERIZZANDO QUESTO TERRITORIO ED ORA SI È FATALMENTE RIDOTTA A RARI ESEMPLARI, CIRCOSCRITTI IN AREE LIMITATE. LA SCOMPARSA DI UNA SPECIE TIPICA MOSTRA, PIÙ DI MILLE PAROLE, LO STATO DI UN TERRITORIO. È UN GRIDO, QUELLO DELLE NINFEE, COME DI QUALUNQUE ALTRA SPECIE, SIA ANIMALE SIA VEGETALE, CHE OCCORRERÀ ASCOLTARE, PENA LA TOTALE PERDITA DI LEGAME CON L’AMBIENTE E LA TERRA E, CONSEGUENTEMENTE, DI VIVIBILITÀ SU QUESTO PIANETA.
SERBIAMONE MEMORIA, PERCHÉ QUALCHE VOLTA IL SILENZIO SI FA TEMPESTA.

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