Il caso Pussy Riot: una sentenza a Mosca e l’ipocrisia di casa nostra.

Da un po’ di tempo si fa un gran parlare della vicenda delle “Pussy Riot”, le tre ragazze di un gruppo simil-punk, condannate in Russia per “teppismo a sfondo religioso” perchè responsabili di una esibizione-preghiera contro il boia ed ex Kgb, Vladimir Putin, nella Cattedrale del Cristo salvatore a Mosca.
«Le imputate erano consapevoli della natura offensiva delle loro azioni e del loro aspetto» – ha detto il giudice del tribunale di Mosca, Marina Syrova – «offendendo non soltanto i dipendenti della cattedrale ma anche l’intera società». Dimenticando di dire che si riferiva ad una società di bigotti e rassegnati.

E di bigotti rassegnati anche la brava Italia ne è piena, non è certo una novità, anche se a seguito di questo caso mediatico sembrano scomparsi. Anzi, volendo scherzare, potenzialmente trasformatisi in paladini della libertà di espressione.
Lo sgomento dei tanti demo-cittadini di casa nostra, gli stessi che sono sempre stati pronti ad alzare il dito indice quando accadeva qualcosa fuor della norma nel luogo in cui vivono, deriva infatti dal fatto che le tre ragazze dovranno restare in carcere o in un campo di lavoro per un anno e mezzo, a seguito della sentenza. I demo-ipocriti, sdegnati da quella che reputano un ingiustizia che non sarebbe mai potuta accadere nel loro libero Stato, han subito detto: è troppo! E’ sproporzionato rispetto a quanto hanno fatto! E’ una barbarie! Non è degno di uno Stato civile, democratico! E così via.

Eppure ce li ricordavamo ben più giustizialisti e schiumanti, questi novelli indignati. Quando, ad esempio, invocano il carcere duro e la tolleranza zero, a scelta, per anarchici, immigrati, puttane, zingari, e chi più ne ha più ne metta, qui nell’italico suolo.
Abitano tutti nella grande città di Ipocrisia, spintisi pure a tirare in ballo la Corte Europa dei diritti umani di Strasburgo (e quindi un altro apparato giuridico). Eppure, quante volte abbiamo potuto sentire le proteste di questi falsi propugnatori della liberta’ di espressione, quando si trattava di difenderla dalla coercizione diffusa e continua dello Stato italiano: del loro “libero” e “democratico” Stato? Di occasioni ne avrebbero invero di continuo, visto che le leggi italiane dispongono di una rosa infinita di articoli che disciplinano, limitandola inesorabilmente, questa supposta libertà.

In realtà, in Italia, come in qualsiasi altro posto in cui ad amministrare la società è un qualsiasi governo (e non il libero accordo tra individui), non esiste proprio nessuna libertà di espressione. Basti pensare che ancora sussiste l’ordine dei giornalisti, e chiunque non è iscritto all’albo non può redigere un giornale o una rivista. Senza parlare degli obblighi dell’individuo  verso l’autorità, nel caso volesse organizzare una manifestazione, una riunione o una qualsiasi esibizione pubblica. Per ogni cosa bisogna chiedere il permesso. Per ogni cosa bisogna elemosinare un “va bene”, con la possibilità sempre possibile di un “no, non va bene”. A decidere è sempre e soltanto l’autorità pubblica, le leggi frutto dei rapporti sociali di potere, le normative vigenti. Mai l’individuo. E che razza di libertà sarebbe questa!?
Eppure, si diceva, nessuno di questi integerrimi contestatori della sentenza di Mosca ha qualcosa da ridire.

Anzi, gli va certamente bene così. Gli ipocriti di cui sopra scordano che nei tribunali italiani si incarcera anche per molto meno. Le patrie galere traboccano di carne umana in giacenza per anni, ammassata in buie stanzette di pochi metri, senza sole e aria buona. Più di 60mila uomini e  donne dimenticati/e. Di loro, siamo certi, importa poco ai demo-ipocriti, dato che non godono del risalto mediatico dato alla vicenda russa. Possono pure marcire in galera, fino a morirci dentro, magari “suicidati” da quegli sporchi aguzzini che per “lavoro” intendono le percosse e le umiliazioni inflitte a quelli a  cui, per quattro soldi mercenari, devono togliere la libertà.

Francamente fanno ridere queste anime candide e pie, che si prendono la briga di scandalizzarsi per una sentenza che, a ben guardare, potrebbe benissimo essere stata emessa da un qualsiasi tribunale italiano. Si, perchè se qualsiasi di noi entrasse nella cattedrale della propria città, urlando frasi contro il Papa o contro il Presidente della Repubblica , non farebbe una diversa fine. Sarebbe arrestato e poi condannato per vilipendio della religione, ingiurie ed offese al capo dello Stato e vilipendio alla Repubblica.

Quindi cos’è che rende il caso di queste tre ragazze, a cui certo non incolpiamo nulla, differente dagli altri? Il solo fatto di essere raccolto e raccontato, con ampio risalto, dai media mainstream ufficiali.
Per gli ipocriti niente di meglio: lavare la propria coscienza, sporca di anni trascorsi in silenzio mentre attorno la libertà veniva sopressa democraticamente (e cioè anche a nome di questi silenziosi, e soprattutto a causa loro), occupandola con una vicenda lontana, in cui non rischiare niente. Una comoda distrazione dall’ignavia quotidiana.

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Una risposta a Il caso Pussy Riot: una sentenza a Mosca e l’ipocrisia di casa nostra.

  1. Anarchici ferraresi scrive:

    Riportiamo questo ulteriore spunto, scritto da un amico.

    Da un’intervista alle “Pussy Riot”. Senza voler fare il provocatore : ma vi
    rendete conto delle enormi cazzate che dicono queste “Riot” da riviste come
    Vanity o Playboy? E gli anarchici e il movimento f emminista cosa aspettano a
    smascherare questa ridicola messa in scena di registi più o meno occulti?

    Sì, facciamo parte del movimento anti-capitalista internazionale nel quale si
    riconoscono anarchici, trozkisti, femministe ecc. Il nostro anti-capitalismo
    non è né anti-occidentale né anti-europeo. Ci consideriamo parte dell’Occidente
    e frutto della cultura europea. Ci dà fastidio l’inefficienza del consumismo,
    ma non ci proponiamo di distruggere la società consumistica. Il fulcro della
    nostra ideologia è la libertà e il concetto di libertà è un concetto
    occidentale.

    Capitooo! Cari compagni: il succo del discorso sta nel rivendicare che il
    concetto di libertà è solo occidentale: The voice of America……
    Gli slavi sono barbari: lo scriveva anche Napolitano quando militava nei
    gruppi universitari fascisti

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