L’area della Stazione a Ferrara, tra ordinanze del sindaco, militarizzazione, caccia agli immigrati e ipotesi di socialità alternativa.

Negli ultimi mesi si è vissuta una maniacale attenzione, da parte di carabinieri, Finanza, polizia e vigili urbani, per l’area compresa tra la Stazione ferroviaria, giardini attigui e vie collaterali.
Da sempre area soggetta ad un particolare controllo (soprattutto nell’identificazione dei migranti), in questi mesi vi è stato un incremento delle logiche repressive nei confronti degli individui che vi trascorrono il loro tempo.
Sicuramente, sgomberiamo il campo dagli equivoci, l’area in questione non è certo un esempio di vivibilità. In essa, prima di tutto, convivono difficoltà di relazione tra diverse etnie di residenti, spesso condite da massicce dosi di razzismo allo stato implicito e larvale (e non sempre espressione dei soli residenti italiani), ed ancor più spesso strumentalizzate ad hoc da personaggi legati a partiti che hanno fatto della lotta all’immigrazione e del delirio securitario i loro capisaldi (il Pdl, certamente la Lega Nord, ma sempre di più anche i cosiddetti partiti del centro-sinistra, che da questo punto di vista sembrano trovarsi del tutto a loro agio nel rincorrere i “valori” della destra).
Sicuramente nell’area vi sono anche problematiche dovute al fatto che vi si possono trovare frequentazioni legate al piccolo spaccio, che accontenta una domanda diffusa con l’offerta di una merce tra le altre, ma ovviamente poco gradite ai residenti. Problematiche che comunque occorrebbe inquadrare nel loro giusto spazio di una società divisa in inclusi ed esclusi, dove questi ultimi per sopravvivere non fanno certo distinzioni tra modi legali o illegali per farlo, cosiccome farebbe chiunque altro al posto loro
Il fatto è che nel tempo i poteri politici di questa città, supportando esigenze di tipo economico-commerciale, hanno voluto creare in questa zona un vero e proprio ghetto, dove relegare quei fenomeni che manifestano le incongruenze di questo sistema socio-economico, o che evidentemente risultano sgraditi in altre aree (come ad esempio il centro storico, ormai svuotato da famiglie ed immigrati e diventato vetrina commerciale ed immenso pub a cielo aperto per soli turisti o per quegli universitari che coi loro soldi, oltre ad alzare il PIL del comune, fanno alzare anche gli affitti delle case).
Ed ecco che allora l’area della Stazione diviene un laboratorio dove sperimentare le logiche sicuritarie e mettere in campo forze con l’obiettivo, assieme, di dare una parvenza di risoluzione al conflitto sociale creato dall’alto e estendere sempre più un controllo massiccio ed ingiustificato su una parte della città, in attesa di fare altrettanto con altre aree con l’estensione del senso di insicurezza e di conseguenza l’intervento repressivo.
L’ultimo intervento, in tal senso, è stata l’ordinanza emanata dal sindaco Tiziano Tagliani (del PD e con una militanza cattolica alle spalle) che stabilisce il divieto di consumare qualsiasi tipo di alcolici nell’area in questione. L’ordinanza arriva a pochi mesi di distanza da quella che vieta anche la vendita di alcolici in recipienti di vetro per i negozianti della zona (molti dei quali immigrati) e da quella antiprostituzione, che vieta pure di parlare alle ragazze che esercitano l’ “antica arte” a meno che non si sia uno sbirro od un prete.
A corredo di queste misure varate dal primo cittadino, le autorità locali (Prefettura, Comune e Provincia) assieme alle forze dell’ordine, ciclicamente riunite assieme nel comitato per l’ordine pubblico, hanno deciso di rinnovare ogni mese l’impegno massiccio di agenti nell’area, dove si sono distinti nel controllare i clienti di bar e negozi gestiti da immigrati (alcuni dei quali multati o chiusi con accuse ridicole), arrestare e internare in quelli che sono a tutti gli effetti dei lager, e cioè i vari CIE d’Italia, stranieri senza il permesso di soggiorno, fermare decine di autovetture e controllare centinaia di persone.
Evidentemente queste misure, come anche le tante telecamere che tutto sorvegliano coi loro occhi indiscreti, non c’entrano nulla con la vivibilità del quartiere ma sono fatte appositamente per riscuotere consensi, attraverso la soluzione più rapida e semplice che ci sia: la repressione di comportamenti definiti devianti.
Ma se un comportamento deviante è anche il solo bere una birra in un giardino o transitare in certi orari per le vie di un quartiere, allora automaticamente potremmo dire che devianti lo siamo un po’ tutti.
Ovviamente queste misure non risolvono i problemi, tutt’al più li spostano solamente in altre zone, dove da capo riinizieranno i controlli, i soprusi quotidiani a danno degli immigrati, le retate, le fughe, i divieti, e quant’altro abbiamo già potuto vedere nell’area Stazione.
Il problema principale da risolvere è capire che delegando continuamente la risoluzione dei conflitti che sorgono a delle entità esterne, credute erroneamente come uniche detentrici della possibilità di risolvere le questioni irrisolte, non facciamo altro che ritardare il momento in cui questi verranno davvero affrontati.
Bisogna fare uno sforzo per capire che una situazione spiacevole può tramutarsi in qualche cosa di meglio se solo proviamo ad affrontarla in prima persona e assieme agli altri.
E bisogna anche arrivare a comprendere come si è arrivati a questa situazione, perchè solo in questo modo possiamo andare oltre alle facili soluzioni spacciate dalle istituzioni.
Non è una cosa semplice, e certamente è più facile a dirsi che a farsi. Però se si vuole capire davvero cosa fare non ci si può tirare indietro e lasciare che le cose si aggiustino solo perchè lo speriamo, o solo perchè le istituzioni ce ne danno il motivo.
Alle istituzioni conviene che i residenti di un quartiere restino divisi piuttosto che collaborino per risolvere i loro comuni problemi, perchè se lo facessero non ci sarebbe più bisogno di loro e dei loro servi in divisa. Questa è la loro preoccupazione.
Questo ci dice che invece è proprio quella la modalità di organizzarsi che si può e si dovrebbe sperimentare, confrontandosi nel merito e nelle cause delle problematiche, e trovando assieme e dal basso risposte adeguate, rispettando le esigenze altrui e costruendo un alternativa solidale e collaborativa. Al di fuori di ogni partito, di ogni istituzione, e rifiutando l’intervento repressivo, contro chiunque venga indirizzato.
Perchè una socialità senza bisogno di divise, schedature, controlli, telecamere, retate, è una socialità raggiungibile solo con l’accordo tra liberi individui – divenuti tali per mezzo della lotta contro il dominio, e non con la forza delle leggi e dei questurini – ed è sicuramente preferibile a quella odierna, fatta di divieti e permessi.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Approfondimenti, La provincia, News e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.