Miseria della contestazione ferrarese

Ferrara è ancora una città ricca. Nella media, la gente sta bene. Certo la povertà esiste ma non fa più di tanto capolino nel centro-cuore della città. Le vetrina bombate, i simboli del lusso ostentati volgarmente ornano il ripetersi dei giorni sempre uguali del tipico cittadino di una cittadella di provincia.

Eppure anche qui si sta facendo strada, anche se piuttosto blandamente e come riflesso delle generali condizioni sociali cittadine di pacificazione, l’ennesima “nuova” contestazione: “Occupy”, studenti in “lotta”, movimenti d’opinione, ecc…

Ce ne sarebbero di critiche da fare su questi nuovi auto-proclamatisi “movimenti” e sulle loro parzialità e compromissioni, così come sulle pratiche messe in campo.

Volendosi invece fermare alle varie declinazioni ferraresi, vi è un denominatore comune che le contraddistingue: la totale mancanza di pratica conflittuale.

Le più disparate (disperate?) iniziative, dalle occupazioni simboliche ai cortei studenteschi dai presidi alle assemblee, non sono – come da alcuni suggerito – una ventata d’aria fresca nella nebbia cittadina. Al contrario vi rientrano a pieno titolo.

Solo per una questione temporale, prendiamo ad esempio l’ultimo presidio pro-Gaza di domenica 18 novembre. Accantonando il fatto che ad organizzarlo sia stata la misera accoppiata Rifondazione Comunista + A.N.P.I. Sezione Vittorio Arrigoni (il cui infame portavoce Luca Greco, in seguito alla sommossa di Roma del 15 ottobre, suggeriva la reintroduzione dei servizi d’ordine nei cortei per evitare scontri di piazza), l’iniziativa si può elevare a paradigma delle “proteste” ferraresi: poche ore morte in strada, blaterando di movimenti d’opinione contro questo o contro quello e il tutto di concerto con la polizia.

Ultimo esempio, la mobilitazione studentesca.

Mentre in tutta Italia gli studenti, chi più chi meno, si scontrava con gli sbirri per ore (in alcuni gioiosi casi, mandando pure qualche merda in divisa all’ospedale), il massimo che i giovani ferraresi sono riusciti a fare è sfanculare le rappresentanze d’istituto e marciare in un corteo non autorizzato ma pacifico la prima volta per poi comunicare tempestivamente le proprie iniziative alla questura.

Ad alcuni può venir da dire che questo sia meglio di niente. Ma, in fondo, siamo davanti proprio a niente.

Nessuna messa in discussione critica di questa società marcia, nessuna pratica di lotta reale e non simulata, nessuna novità che esca dagli schemi di movimenti già collaudati ed indirizzati. Al contrario, manifestazioni in mano ai vari gruppi e gruppuscoli locali, vetrine perfette per i leaderini del dissenso democraticamente espresso.

Iniziative in piena sintonia con l’ordine sociale imperante. Poco importa se qualcuno, magari solo fra gli studenti, volesse spingersi un poco più in là, i burattini del recupero istituzionale mascherato da attivismo contestativo (vedi Luca Greco) sono sempre all’erta e pronti a riportare sui binari della legalità ogni espressione di rabbia autentica.

Di cosa stiamo parlando?

Se ci si vuole entusiasmare solo per una qualsivoglia forma di “presenza” nelle strade allora si possono anche plaudire i banchetti elettorali delle varie rappresentanze politiche.

Noi, però, ambiamo a qualcosa di più.

In una città razzista e securitaria come Ferrara, l’unico vento che aspettiamo è quello della distruzione.

Noi vogliamo la distruzione sistematica di un mondo allo sfacelo, non possiamo né vogliamo scendere a patti con chi vuole riformarlo o migliorarlo lasciandone le fondamenta intatte; non crediamo nelle opinioni, pacchetti-merce dispensati dal potere a suo uso e nostro consumo ma ci basiamo sulle idee di lotta e di libertà individuale che accompagnano una pratica conflittuale; nei nemici non vediamo interlocutori, non siamo per il dialogo con gli oppressori ma li individuiamo come obiettivi da abbattere.

Piuttosto che un corteo di 1500 persone, ben inquadrato e pacifico, preferiamo uno sparuto gruppo di individui che si lanciano all’attacco come ladri nella notte

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