“Il Grido delle Ninfee” num. 10 – Psichiatria

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N°10-APRILE 2009

In questo numero : “PSICHIATRIA: UNA NOCIVITà DA CANCELLARE!”

La cosa bella della democrazia, dicono i suoi difensori, è che ognuno è libero di esprimere e manifestare le proprie idee e quindi, di rimando, se stesso. A sfatare questo mito ci pensano le prigioni, i lager, i campi di prigionia, le celle di tutto il mondo cosiddetto democratico che ospitano – si fa per dire, perché mai ospitalità fu meno richiesta – milioni di individui incarcerati per i motivi o i pretesti più variegati, ma accomunati da un particolare: non appartenere alle classi ricche di potere. Vi è un’altra istituzione totale che si affianca ai luoghi della segregazione umana: il manicomio o, come si suole designare oggigiorno questa struttura, modificandone il senso ma non certo la sostanza, il Dipartimento di Salute Mentale.
In ogni tempo ed in ogni era coloro che non si uniformavano alle usanze e alla morale dei loro tempi venivano rinchiusi, nascosti, celati alla pubblica vista (emblematico che i primi manicomi o “sanatori” del ‘600 e ‘700 erano strutture in cui venivano rinchiusi a chiave i questuanti senza dimora, i poveri e gli ammalati contagiosi). È ciò che accade ancora oggi, dove individui che, per una ragione o l’altra, non vogliono o possono uniformarsi sono catturati dall’infame struttura psichiatrica, umiliati, spogliati di ogni presunto diritto e trattati come persone incapaci di una volontà propria, mancanti di una qualsiasi individualità. In questo numero, il grido della testata trova eco in quello delle persone recise negli affetti e nella vita per mano delle torture inflitte dalla psichiatria. Quest’ultima non può non trovare posto nell’insieme di nocività da distruggere il prima possibile, per ridare un senso alla parola libertà, oggi vilipesa e sfruttata per biechi fini non suoi.
La cattura, il ricovero coatto, il ricorso alla forza pubblica, le contenzioni, la somministrazione di psicofarmaci, le continue umiliazioni da parte del personale, tutto questo non confessa la necessità di un’amministrazione più razionale ma quella di una rapida dissoluzione. Nel 1978 venne approvata la legge 180 e i manicomi vennero lentamente chiusi. Ma se li cerchiamo bene i manicomi, nella loro essenza, ci sono eccome.

“il manicomio non è una struttura, il manicomio è un criterio” (Giorgio Antonucci; contribuì a smantellarne i reparti)

Dai manicomi ai dipartimenti.
I reparti psichiatrici civili o Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono stati costituiti dopo la (cosiddetta) chiusura dei manicomi, a seguito della legge 180 del 13 maggio 1978, camunamente chiamata Legge Basaglia, ma la chiusura “effettiva” vi è stata solo nel 2000 (anche se strutture come gli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, permangono tuttora). Franco Basaglia e altri psichiatri “democratici”, durante gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, scelsero di discostarsi dalla psichiatria ordinaria per orientarsi verso un’azione che fosse meno cruenta e che prevedesse l’apertura dei reparti manicomiali. In realtà le critiche della maggior parte di questi psichiatri alle pratiche manicomiali non arrivarono mai a mettere in dubbio la validità della psichiatria in quanto tale ma manifestarono la volontà di attuare riforme sulle strutture e su alcuni metodologie stigmatizzabili. C’è da dire che la legge 180, anche se fu intitolata a Basaglia, non rispecchiò per niente la sua idea di luoghi aperti e terapie non invasive. Nella sostanza la pratica manicomiale venne riciclata con alcune modifiche irrilevanti sotto il profilo dell’ingerenza sulla persona. Le strutture precedenti, simili a vecchie carceri, sono state rimpiazzate da strutture gestite dalla sanità pubblica. Alla tortura sistematica e alla contenzione forzata per lunghissimi periodi, progressivamente si è sostituito l’impiego massiccio degli psicofarmaci – camicia di forza mentale duratura – che permette di seguire i “pazienti” anche a distanza, con una sorta di monitoraggio periodico. La figura dello psichiatra si è trasformata, nell’immaginario comune, da aguzzino a medico serio ed onesto e la psichiatria viene ancora oggi considerata come una scienza.
Aldilà delle modifiche suaccennate, lo strumento utilizzato e preferito dalla psichiatria rimane sempre l’uso della forza e della costrizione. La parola “internamento” è stata sostituita con “ricovero coatto” ma nulla è cambiato. Ieri gli individui considerati “pazzi” venivano presi con la forza e portati nei manicomi, oggi vengono presi altrettanto con la forza e portati nei reparti ospedalieri, dove permane l’uso di contenzioni fisiche, trattamenti farmacologici e anche, pur se non ovunque, dell’Elettroshock (ESK), altrimenti detta Terapia ElettroConvulsivante (TEC), sperimentata per la prima volta nel ’38 da Cerletti, un medico Italiano.

Niente è cambiato.
Oggigiorno le parole squilibrato, matto o pazzo non vengono più usate. Per designare i “malati di mente” ora viene adoperata la parola “deviante”, che deriva da deviare e significa “allontanarsi dalla via” o, più precisamente, “dirigersi altrove”. O anche “schizofrenico”, che indica semplicemente che l’individuo ha delle contraddizioni, cosa normalissima ma non per gli psichiatri. La psichiatria si è fatta sempre carico di perseguire ogni comportamento definito “anomalo” o “deviante” rispetto alle regole morali e comportamentali stabilite dalla società contemporanea ed è stata usata spesso per reprimere moti di ribellismo spontaneo o individuale che il pregiudizio psichiatrico indica come alterazioni psichiche. Gli psichiatri democratici affermavano che «nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto» e continuavano, denunciando al suo interno «l’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che proprio in quanto tali non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno» (F. Basaglia). Tutto questo è perfettamente sottoscrivibile ma, oggi, ci si dimentica che le stesse cose accadono giornalmente, a 30 anni dall’approvazione della legge 180, non solo nei reparti ospedalieri ma anche nelle strutture residenziali dei servizi psichiatrici territoriali, considerate come la forma tuttora meno invasiva di intervento, dove la regola è comunque la completa privazione di ogni aspetto che riguarda la possibilità individuale di fare delle scelte proprie. In questi Strutture Intermedie Residenziali (SIR) si organizzano gite, spettacoli teatrali, ecc…,perché, viene detto, i “residenti” fanno fatica a socializzare tra loro. Ma che facciano fatica è ovvio; basterebbe eliminare la somministrazione di psicofarmaci per vedere una ripresa della socializzazione. Ma questo non è quel che vogliono evidentemente gli psichiatri. Vedere spettacoli di persone imbottite di Serenase, En, neurolettici ed altre porcherie simili, poi, non è né educativo né simpatico. L’unico fine di questi spettacoli sgradevoli è la stupida approvazione di un’opinione pubblica che crede davvero che la psichiatria, come il carcere, miri al reinserimento degli elementi sociali indesiderabili.

L’internamento, o segregazione.
L’operazione per il ricovero coatto nelle strutture psichiatriche (esclusivamente ospedaliere) è nota con il nome di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). La psichiatria si distingue dalle altri branche della medicina perché prevede il ricovero obbligatorio anche se il “paziente” esprime volontà contraria. Il TSO viene autorizzato quando vengono riscontrate “incapacità d’intendere e volere”, “pericolosità sociale” o “difficoltà psicomotorie” e quando vengono rifiutate le “terapie” (chi le accetta non può essere ricoverato forzatamente). Spesso i sintomi sono inventati di sana pianta! L’internamento è firmato dal sindaco della città o del paese di residenza entro 48 ore dalla richiesta avanzata da un medico qualsiasi e convalidata da un medico della struttura pubblica (generalmente l’Ufficiale Sanitario). Il sindaco, firmando un modulo prestampato, acconsente così al prelievo coatto del presunto malato. Solitamente i sindaci non leggono nemmeno il referto che gli capita sotto mano e anche qualora lo facessero sarebbe inutile, ogni referto è uguale all’altro e cioè una cruda e sintetica paginetta dove si richiede il ricovero, senza ulteriori spiegazioni. Entro le 48 ore successive alla firma del Sindaco questo deve comunicare al Giudice Tutelare competente per territorio il provvedimento di TSO affinché questi lo convalidi. In assenza della convalida del Giudice Tutelare il provvedimento è nullo. L’esecuzione materiale di un TSO è affidata alla forza pubblica, Carabinieri e Vigili Urbani, con l’impiego di ambulanze ed operatori dell’USL. A volte è presente lo psichiatra od altro medico che ha sottoscritto il TSO, pur se in moltissimi casi questo si basi sulla sola relazione del medico generico, senza aver svolto una visita propria (in questo caso il TSO non è valido ed esistono gli estremi del reato. Questa procedura è più comune di quanto si pensi). Il potere psichiatrico, nel caso di un TSO, è enorme e anche rivolgendosi ad un avvocato si può fare ben poco per sottrarvi la persona. Chi ha tentato di difendere un amico o un famigliare da un TSO lo ha potuto constatare. L’unica condizione per essere tranquilli è la speranza di non finire mai dentro la spirale d’interesse degli psichiatri. Infatti, anche finito il periodo di ricovero obbligatorio in regime di TSO (che ha per legge la durata di 7 giorni e può essere prolungabile nel tempo), gli psichiatri vorranno sempre interessarsi della tua vita e continuare a somministrarti le loro “cure”. Lo sa bene chi, una volta uscito, continua a vedersi prescrivere psicofarmaci o viene “invitato” a recarsi a visite periodiche obbligatorie (ASO, Accertamento Sanitario Obbligatorio) con la minaccia, qualora non si presentasse, di ristabilire il regime di TSO.
L’ordinamento giuridico stabilisce l’impossibilità, da parte delle strutture sanitarie, di intervenire contro la volontà del paziente cosciente e in grado di intendere e volere, anche nel caso in cui l’intervento fosse mirato a salvargli la vita. La psichiatria, come detto, aggira questa norma giudicando (senza dimostrarlo) i soggetti su cui interviene come non in grado di intendere e volere. Il fatto è che sotto la lente della psichiatria siamo tutti malati! Basta poco per finire internati nelle sue strutture. Abbiamo conosciuto persone che sono finite nel mirino della psichiatria per aver bevuto qualche birra in più o perché si sono addormentate per strada (e immaginate che bello dev’essere risvegliarsi in un reparto psichiatrico). Per raccontarne una, anni fa, a Ferrara (città ampiamente psichiatrizzata!), un compagno che aveva deciso di fare un giro nel centro cittadino e si era imbattuto in una cerimonia pubblica con le istituzioni, trovando il microfono acceso decideva che, sebbene non invitato, nessuno aveva il diritto di vietargli di parlare. È bastato questo perché una decina di poliziotti gli si lanciassero addosso, lo prendessero per braccia e gambe e lo portassero su una volante. Visto che sembrava non gradire lo hanno “accompagnato” all’ospedale Sant’Anna di Ferrara e da qui al Centro di igiene mentale “Diagnosi e Cura”, dove lo hanno imbottito di sedativi con un’iniezione e dove lo hanno legato al letto dopo avergli tolto le manette, lasciate ai polsi per ore! Lo hanno trattenuto per due settimane. Lo abbiamo potuto vedere per i primi due giorni e poi non ci hanno più fatto entrare, forse perché la solidarietà dava troppo fastidio ai signori psichiatri, che evidentemente non riuscivano a spiegarsela poiché, per la maggior parte, i detenuti di queste strutture, poiché di detenuti si tratta, sono dimenticati da tutti. Chi si ribella ad un’autorità non può che essere un pazzo, un fuori di testa, senza la ben che minima concezione d’intendere e di volere! Questo il messaggio che anche in quell’occasione si è voluto trasmettere. La responsabilità di questi interventi d’autorità a danno di singoli individui risiede, oltre che nella consapevolezza degli psichiatri della loro impunità, anche nell’indifferenza della società che con la sua tendenza ad accettare gli abusi permette che si consolidino. In molti casi è proprio la famiglia che preferisce la soluzione dell’internamento piuttosto che cercare di capire le motivazioni che stanno dietro ad un disagio o ad un comportamento vissuto come inconsueto. In altri casi è lo stesso individuo che richiede di essere seguito come volontario nelle strutture psichiatriche, convinto dalla famiglia o dagli amici, o anche dai datori di lavoro. Ma pure chi è volontario spesso ha difficoltà ad uscire e molte volte gli psichiatri commutano il regime volontario in regime di TSO.
I reparti ospedalieri in cui viene applicato il TSO sono luoghi asettici ed alienanti, con luci al Neon e pareti bianche, stanze da due o tre persone. Molti individui non possono uscire, nemmeno con l’accompagnatore e per poter fare una passeggiata o prendere una boccata d’aria possono contare esclusivamente, quando ci sono, sui giardinetti interni (piccoli e chiusi da ogni lato da pareti insormontabili e sbarre). Gli orari dei pasti, come quelli per la doccia, sono decisi dal personale e comunque subordinati agli orari di somministrazione dei farmaci. Alcuni dei segregati saltano i pasti perché si addormentano a causa di pastiglie e gocce. Le finestre sull’esterno hanno sbarre di ferro e le porte d’ingresso si possono aprire solamente per mezzo di un bottone posto nella stanza blindata del personale. Un carcere in tutto e per tutto, tranne che chi vi è rinchiuso deve sopportare, per di più, le incursioni nella sfera personale da parte degli psichiatri, che cercano di stabilire le cause della supposta malattia.A volte nemmeno questo e i “malati” vengono tenuti semplicemente confinati nelle loro camerate. Non è difficile riscontrare furti di oggetti personali e soldi. L’igiene varia da centro a centro ma il livello è generalmente basso.

I maltrattamenti.
Anche nelle strutture civili i maltrattamenti sono lontani dall’essere cessati. Le persone sono vessate, umiliate, molestate ed offese dagli inservienti e dagli infermieri. Per rimanere nell’area emiliana, i dirigenti del Centro Salute Mentale di San Giorgio di Piano, nonché i responsabili e un operatore di “Luna Nuova”, comunità psichiatrica di Bentivoglio (Bologna), sono ora a processo per maltrattamenti successi tra il 2003 e il 2004, in cui perì un degente. I dirigenti sono accusati di aver nascosto gli abusi degli operatori. Non ci si sorprenda, queste sono cose che accadono ordinariamente anche se molti casi non si verranno mai a sapere.
Un caso di abuso psichiatrico, conclusosi tragicamente, è accaduto recentemente e riguarda la morte di Renata Laghi, avvenuta il 6 ottobre 2008 nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale Morgagni di Forlì.
La vicenda merita di essere raccontata per intero.
Renata decide di farsi controllare da un medico perché si sente depressa. Va all’ospedale di Forlì per la visita. Quando saluta i familiari è tranquilla, dice che si vedranno di lì a poco, che tornerà a casa dopo il controllo. Il medico, invece, ordina un TSO. La sera stessa viene portata nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale. Non tornerà più a casa. Quando il marito va a trovarla, la scena è di quelle che non si dimenticano. Ecco il racconto del marito: «Renata era su una sedia, completamente fuori di sé. Aveva la bava alla bocca, si era fatta la pipì addosso ed era tutta sporca. Non rispondeva. Era completamente sedata. Era un’altra persona dal giorno prima. E’ chiaro che le era stato dato qualcosa di molto forte. Ho chiesto agli infermieri cosa fosse successo, ma nessuno diceva niente. Mi dicevano di andare via. Mi trattavano con maleducazione, erano infastiditi dalle mie domande. Ho chiesto di parlare con un dottore, ne avevo intravisto uno dentro la guardiola. Mi hanno detto che non c’era. Lì mi sono arrabbiato, ho detto che avrei aspettato. A quel punto mi hanno detto che il medico era tornato. Si è presentato quello che era sempre stato in guardiola. Ma non mi ha spiegato niente». Ecco anche il racconto dei figli: «Il giorno seguente l’abbiamo trovata nel letto. Era legata. Era in uno stato pessimo: agitata, sporca, non beveva chissà da quanto. Riusciva solo a dire “acqua, acqua”. Aveva la bocca piena di croste. Fra l’altro soffriva d’asma. Le avevamo portato la sua bomboletta, ma era stata subito sequestrata. Lei era nel letto, immobilizzata e il campanello non era raggiungibile. Se avesse avuto una crisi non se se sarebbe accorto nessuno. Era dimagrita di 15 chili, sempre disidratata, piena di sedativi. Nei rari momenti in cui era un po’ più lucida diceva che la maltrattavano, che la picchiavano e la umiliavano. Diceva che se l’avessimo lasciata lì l’avrebbero ammazzata. Era piena di lividi. Al momento del ricovero non aveva nessun problema fisico. In camera mortuaria, quando l’ho vista per l’ultima volta, aveva un sacco di ematomi. Di certo non era stata trattata con cura». Dopo otto giorni di ricovero (i giorni di ricovero per Renata sono dieci in tutto) la figlia nota che la madre ha il respiro un po’ affannato e lo fa presente agli infermieri. Non ottiene nessuna attenzione. La mattina del 6 ottobre la famiglia riceve una chiamata. E’ l’ospedale. Gli dicono che le condizioni di Renata si sono aggravate. Quando arrivano a Forlì, Renata è morta. Nel referto c’è scritto “arresto cardiaco”, che vuole dire tutto e niente. Secondo il referto autoptico Renata Laghi è morta di un arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria. In altre parole è con tutta probabilità morta soffocata, forse per una reazione ai farmaci.
Abbiamo ripercorso quanto successo perché ci sembra la miglior prova di come la psichiatria opera e degli abusi che compie, che non sono sporadici come si vorrebbe far credere. Ma anche quando non si arriva a simili delitti, la sola esistenza della psichiatria, di misure coercitive nei confronti della libertà degli individui, è qualcosa di inaccettabile.

Gli psicofarmaci.
Come può, una persona imbottita di psicofarmaci chimici, magari relegata per giorni interi in camera, ridotta a larva umana, difendere quella individualità che le cure psichiatriche si dice servano a fargli riacquistare? Basterebbe porsi questa domanda per comprendere le menzogne della psichiatria. Se per l’ESK è necessaria la firma di qualche autorità, per la somministrazione di psicofarmaci non è necessaria alcuna autorizzazione. Somministrati anche più e più volte al giorno (anche variando la terapia) o iniettati direttamente nel corpo (farmaci Depot) quando qualcuno viene “accompagnato” in un reparto psichiatrico e comprensibilmente si oppone all’internamento, gli psicofarmaci sono senz’altro la misura più comune della psichiatria moderna. Anche il rifiuto delle “terapie” e le proteste per il trattamento subito viene visto dagli psichiatri come “sintomo” della “malattia” e punito di conseguenza con nuove somministrazioni. A queste sollecitazioni chimiche l’organismo umano reagisce in vari modi. Un visitatore saltuario di un reparto psichiatrico, vedendo persone sedate ed indifferenti agli stimoli esterni, che mostrano difficoltà di deambulazione e comprensione, potrebbe scambiare quelli che sono gli effetti della somministrazione dei farmaci come la prova dei sintomi di una malattia mentale. Questo è quello che gli psichiatri vogliono si pensi e pensano. Non di rado, ad una persona che mostra di essere “apatica” per colpa dei farmaci ne vengono dati altri dagli effetti contrari e via di seguito (dopo sarà “eccessivamente agitata”), in un ciclo potenzialmente senza fine. Anche se la legge italiana prevede che la persona sia informata del tipo di terapia e degli effetti che essa produce, nella quasi totalità dei casi non vi è consenso informato, né viene riferito il nome del farmaco e del principio attivo.
Nel caso dei Depot, poi, in cui la somministrazione avviene per via endovenosa, in caso di reazioni al farmaco la terapia non può nemmeno essere sospesa data la capacità di rilasciare il principio attivo fino a 30 giorni consecutivi. Gli effetti negativi degli psicofarmaci, banalmente chiamati “controindicazioni”, sono innumerevoli. Dalla sclerosi multipla al cancro, dall’asma cronica al soffocamento, dall’arresto cardiaco alle difficoltà cognitive e alla soppressione delle emozioni, dai problemi al midollo spinale alle allergie, dall’invecchiamento cellulare alla distruzione della memoria, dai disturbi anche gravi del movimento ai gravi danni a carico delle cellule del sangue, dall’intossicazione del fegato a quella dei reni, dalla dipendenza alla modificazione fisica del proprio corpo e all’obesità. Fino anche alla morte (il Zyprexa, uno dei neurolettici più diffusi, ha causato parecchi decessi).
Qui abbiamo solamente descritto alcune delle più comuni reazioni dell’organismo all’indebita introduzione di psicofarmaci ma queste, è bene saperlo, variano da farmaco a farmaco e da persona a persona. Gli psichiatri credono di aver dimostrato che, poiché gli psicofarmaci inducono una modificazione dell’umore e dello stato di coscienza, questa sarebbe la prova che la “cura” funziona. In pratica, per dimostrare che la malattia mentale è una malattia del cervello, portano come esempio i risultati delle terapie con i Neurolettici, come in passato succedeva per l’elettroshock e la lobotomia. Ma è ovvio e scontato che, dato che i Neurolettici (detti anche Neuroplegici, Psicotici o tranquillanti maggiori) sono farmaci paralizzanti delle funzioni del sistema nervoso centrale, in passato usati addirittura come insetticidi e coloranti, producano degli effetti sull’organismo. Se si accetta che questa sia una “cura”, allora anche gli effetti della lobotomia, che causava danni volontari con l’asportazione di parti del cervello per causare alterazioni del comportamento, vanno visti come prova di un’avvenuta guarigione. Ed infatti alcuni psichiatri ne sono convinti ancor’oggi. Al contrario noi vediamo, in questi atti, solo prevaricazione ed ignoranza. Come se non bastasse la psichiatria, in questi ultimi anni, ha cominciato la somministrazione di psicofarmaci anche ai bambini. È stata inventata una nuova malattia, l’ADHD, Disturbo di Attenzione ed Iperattività. Questa (presunta) sindrome viene diagnosticata a bambini con problemi di rendimento scolastico dovuti alla loro vivacità, alla loro difficoltà nello stare buoni, attenti, ubbidienti ecc… In pratica è la descrizione di qualsiasi bambino medio con energie e voglia di vivere. I questionari con cui si “attesta” l’ADHD prevedono domande del tipo: “spesso parla eccessivamente?”, “marina spesso la scuola?”, “si rifiuta di rispettare le regole degli adulti?”, “è in continuo movimento o agisce come se avesse l’argento vivo addosso?”, “spesso corre o si arrampica in situazioni in cui è inappropriato?”, “ha difficoltà ad organizzare i propri compiti?”, ed altre dello stesso tenore. È chiaro che se queste espressioni dell’adolescenza sono i sintomi di una malattia allora sono tutti i bambini ad essere malati! Chi non trova una corrispondenza con quando era piccolo? Il nuovo mercato in cui le aziende farmaceutiche possono inserirsi è grande. In America più del 2% dei bambini in età scolare (4 milioni di bambini, in pratica circa due alunni per classe) è stato trattato con psicostimolanti e ci sono stati incrementi fortissimi anche nelle prescrizioni a bambini in età prescolare. Uno degli psicofarmaci adoperati è il temibile Ritalin, un farmaco a base di metilfenidato, un principio attivo stimolante associabile alle anfetamine o alla cocaina, spacciato al mercato nero ai tossicodipendenti. Essendo uno stimolante centrale, il metilfenidato appartiene ai farmaci d’abuso ed è incluso nella Tabella I degli stupefacenti. La sua commercializzazione venne sospesa in Italia nel 1989, su iniziativa dell’azienda che allora lo produceva. Eppure la Commissione Unica del Farmaco e il Dipartimento del Farmaco del Ministero della Sanità, in un incontro, hanno invitato la multinazionale NOVARTIS, attuale titolare del Ritalin, a presentare richiesta per la sua registrazione e commercializzazione in Italia. In data 18/10/2000 la Novartis ha comunicato al Dipartimento Valutazione Medicinali e Farmacovigilanza la sua disponibilità. Funzionale ad una scuola-azienda che fa della produttività e della meritocrazia i suoi unici fini perseguiti, il Ritalin sta incontrando in Italia un rapido favore ed è capitato che si facesse una sua propaganda nelle cliniche pubbliche ed anche all’interno delle scuole. Queste intromissioni sono sempre più presenti e nascono da associazioni di genitori e psichiatri, alleati con l’obbiettivo di avere figli e cittadini docili ed ubbidienti già dalla tenera età, disciplinati proprio come vogliono i loro genitori e lo Stato. Il ricorso ossessivo al farmaco – interpretato erroneamente come cura – è funzionale ad un contesto sociale che crea esso stesso i motivi del disagio percepito. Il Tavor, un ansiolitico, è in assoluto il farmaco più venduto in Italia, addirittura più dell’Aspirina e la vendita di psicofarmaci è destinata ad aumentare anche nelle proiezioni dell’OMS, che dà la “depressione” come la seconda causa di “disabilità sociale ed economica” nel 2020, dopo le malattie cardiovascolari. Che siano antidepressivi, neurolettici, eccitanti od ansiolitici – la pillola per ogni occasione, insomma – la farmacologia psichiatrica agisce come repressione preventiva nei confronti di una possibile presa di coscienza delle cause sociali del proprio disagio e sulla possibilità di disfarsene per il proprio benessere. In futuro il controllo sociale passerà sempre più attraverso le neuroscienze, strettamente collegate alle nuove tecnologie che giocheranno un ruolo di primo piano nella medicalizzazione forzata dell’intera società. L’uso dei farmaci come forma di controllo sociale è da sempre prerogativa dei regimi fortemente dittatoriali. Una cultura in cui il diverso, l’eccentrico, chi non si uniforma ai comportamenti dettati dalla società è da considerarsi malato rischia di prendere sempre più campo e a partire dai primi anni di vita. In questi anni, per finire, ci sono state proposte di aprire il settore della psichiatria civile anche a privati ed aziende. La volontà è quella di mettere mano alla L. 180, aprendo le porte dei nuovi manicomi anche alle categorie degli immigrati e dei consumatori di droghe. In più, si sta studiando la possibilità di nuove strutture detentive, in gran parte private, per rinchiudere i “disturbati della società” (o DALLA società?) dopo il TSO, dato che le strutture psichiatriche, è la scusa, riescono a seguire “appena” il 10% dei potenziali “malati”. La fase post-TSO, in questo caso, potrebbe durare per un periodo indeterminato e sarebbe soggetta agli interessi delle strutture private, modellate sulla falsariga dei centri di permanenza per immigrati. Se dovesse accadere, l’impiego degli psicofarmaci, dato l’enorme mercato che smuovono, aumenterebbe ancor più. Alcune grosse società, come HSS (Holding Sanità e Servizi), controllata dal Gruppo Cir (Compagnia Industrie Riunite) di Carlo De Benedetti, già si occupano della gestione di ospedali e strutture psichiatriche e anche di residenze per anziani.

La Psichiatria si basa su un pregiudizio morale/culturale.
Esiste la malattia mentale? Esiste qualcuno che, in buona fede, possa affermare di aver scoperto in un difetto del cervello le cause della diversificazione di costumi, culture, moralità, sessualità, sensibilità, comportamento umani? Non è, questa, una argomentazione con la quale tutte le più spregevoli dittature hanno giustificato le loro azioni? Non a caso, proprio durante il nazismo si compirono le “scoperte” che influenzarono la psichiatria moderna. La malattia mentale, che ne dicano gli psichiatri, non esiste! Esistono i danni cerebrali al cervello, questi sì, ma nulla hanno a che vedere con il campo della psichiatria (per quel tipo di danni organici, infatti, c’è un’altra scienza: la neurologia, anche se a volte i portatori di handicap cerebrale finiscono comunque nei reparti psichiatrici ed i confini tra i due settori hanno contorni sfumati). La psichiatria pretende di dimostrare l’esistenza della malattia mentale asserendo che le varie tipologie di comportamento e la scale di valori e le idee di un determinato individuo, se dimostrate devianti dal codice morale e comportamentale dell’ordinamento socio-culturale attuale, nonché quando magari in contrapposizione con i rigori della legge, proprio perché devianti vanno ricondotte ad un sistema mentale ammalato, ad una forma patologica che si esplicherebbe nell’allontanamento dalla normalità (da UNA normalità, diciamo noi!). Nel corso del tempo la categoria della devianza ha contemplato, ad esempio, l’omosessualità, che fino a non troppo tempo fa, viste le premesse ideologiche, era considerata come una forma di grave turba mentale. Seguendo la stessa logica, cosa dovremmo dire, allora, di quei religiosi che affermano l’esistenza di un Dio supremo senza averlo mai visto? La società si guarda bene dal dare del pazzo al Papa o al Dalai lama, eppure la differenza con chi afferma di sentire le voci o crede in una sua interiore metafisica è solo questione di costume (e di potere). Basterebbero questi pochi esempi per dire della psichiatria che non rappresenta una vera disciplina scientifica, poiché non si basa né sulle categorie classiche che analizzano lo sviluppo di una malattia ma nemmeno sulla dimostrazione incontrovertibile che questa esiste. Al contrario, la psichiatria basa ogni sua convinzione sul concetto che chi non segue perfettamente i principi delle convenzioni sociali debba essere un soggetto da curare e a cui restituire una forma di coscienza sana. La realtà è piuttosto diversa. È l’impianto psichiatrico, retto sulla coercizione e l’umiliazione dell’individuo, a creare i presupposti per un’asportazione forzata della coscienza dell’individuo. Negando all’individuo ogni sua prerogativa, gli psichiatri si liberano della loro falsa coscienza potendo tranquillamente commettere ogni abuso su non-persone a cui ogni libertà viene tolta con atti arbitrari e con la forza. Lo psichiatra è quindi giudice, giuria, accusatore e difesa. Non v’è scampo dal suo pregiudizio. Esso solo sembra sapere cos’è bene e cosa male, cosa giusto o sbagliato. Dato che si basa su concetti razzisti secondo i quali alcuni individui sarebbero superiori ad altri, legittimati perciò nel disporre della vita degli esseri inferiori la cui volontà è da considerarsi ovviamente anch’essa inferiore a quella degli eletti, in questo caso degli psichiatri, l’ideologia psichiatrica non può che portare alla segregazione e ai campi di concentramento. La psichiatria non si propone di creare una società migliore ma una società di massa dove non esistano eccezioni alla regola. Inoltre, puntando l’indice verso l’individuo, presunto portatore di patologia mentale, la psichiatria cerca di distogliere l’attenzione sulle vere cause del disagio sociale, frutto dell’organizzazione con la quale è strutturata la società attuale, che prevede per i suoi abitanti solo due cose: produrre e consumare senza sosta. Volontariamente la psichiatria scorda che l’individuo è il frutto dell’influenza dell’ambiente sociale e che quindi fenomeni come depressione, ansia, frustrazione non sono altro che il riflesso della vita in società.
Con la psichiatria la società, invece di ammettere i propri difetti e modificarsi, nasconde i propri difetti e li attribuisce alle debolezze individuali. La psichiatria, quindi, è per sua essenza contro qualsiasi tipo di cambiamento della società.

Conclusioni. La psichiatria è un pericolo per tutti!
Naturalmente è un pericolo maggiore per chi ha poco potere, e cioè gli strati sociali più poveri, minore per chi ne ha molto. Pericolosissima è la costituzione di una società che fonda le sue basi sulla perseguibilità degli atteggiamenti solo perché giudicati diversi o devianti. La psichiatria è uno strumento di violenza e sopraffazione che come tale non può essere accettata. Abbiamo raccontato quella che è la prassi d’intervento del dispositivo psichiatrico, dove famigliari, operatori sociali, forze dell’ordine, polizia municipale, sindaci, infermieri, medici e psichiatri concorrono assieme alla barbarie. Ammantate da un velo di ipocrisia e dalla propaganda favorevole (convegni, eventi pubblici, spettacoli…), le strutture psichiatriche vengono scambiate per “case di cura” quando sono solo prigioni. Carcere e strutture psichiatriche vengono spesso accostati, indicati come esempi di istituzioni totali, strutture dove l’individuo perde ogni libertà residua. Sia il carcere che la psichiatria si ripromettono di “rieducare e reinserire” i detenuti (o i “pazienti”), già di per sé un concetto odioso ma in sostanza quello che accade è che queste persone, una volta entrate nel campo di influenza di questi impianti, difficilmente ne potranno uscire. Molto più realisticamente verranno perseguitate per tutta la vita. Chi esce dai reparti, come se non bastasse, si ritrova a fare i conti con l’ignoranza e la ristrettezza culturale dei “normali”. Una sosta in un reparto di salute mentale per molti diviene una sentenza inappellabile, un verdetto di colpevolezza che li accompagnerà a vita. L’umanità rifugge la follia! È un pericolo per la sua ortodossia verso le regole; è quindi comprensibile (ma non giustificabile) che, in questo senso, le persone che si considerano normali guardino con sospetto chi è accusato di non esserlo.
A noi piacerebbe che la follia potesse servire agli individui come stimolo per provare a liberarsi dalle chiusure mentali e dalle camicie di forza che hanno dentro di loro. Perché la libertà di essere sé stessi divenga aspirazione collettiva e non fenomeno di esclusione immotivata o autoesclusione.
Per fare a meno della psichiatria dobbiamo innanzitutto imparare a comprendere che l’insofferenza verso questa società è indice di sanità mentale, non di malattia!
Viviamo una vita che non è più nostra, che non è libera ma normata da una quantità gigantesca di regole morali e giuridiche. La “normalità” è, in questa società, farsi sfruttare per due soldi, delegare i propri desideri a politici che sappiamo già in partenza ci scontenteranno, adeguare il nostro comportamento a compromessi continui. Normalità è unicamente adattarsi senza ribellarsi o dare segni di insofferenza percepibili perché la consuetudine non ammette incrinature, né tantomeno ribellioni.

“Se si vede nell’adeguamento all’ordine esistente un segno di normalità, allora si potrà considerare l’insoddisfazione nei confronti di questo ordine un sintomo di squilibrio psichico. Ma se si considera come norma l’estrinsecazione di tutte le possibilità innate dell’uomo, ben sapendo per intuizione e per esperienza che l’ordine sociale esistente rende impossibile la massima realizzazione dell’individuo e dell’umanità, solo chi è soddisfatto dell’ordine esistente può essere ritenuto malato”. ( Otto Gross )

Qualche dato sulla psichiatrizzazione sociale in Italia:
211 Dipartimenti di Salute Mentale
707 Centri di Salute Mentale
1107 ambulatori
520 centri diurni
912 strutture residenziali
10 % (secondo gli psichiatri) gli italiani che soffronodi disturbi mentali (più di 4 milioni)
8 % (secondo gli psichiatri) i bambini disadattati, percentuale in aumento

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“Il Grido delle Ninfee” num. 9 – Autostrada Regionale Cispadana

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N°9-GENNAIO 2009

In questo numero: LE INFRASTRUTTURE DEI PADRONI: l’Autostrada Regionale Cispadana

È in corso la progettazione di una nuova autostrada che diverrà una delle principali arterie a pagamento dell’ Emilia-Romagna, con il passaggio fino oltre 50.000 veicoli al giorno! (i dati di flusso del traffico previsti confermano che il “corridoio” cispadano diventerà di fatto di valenza europea, con tutte le implicazioni ambientali connesse).
La nuova autostrada, denominata “Cispadana”, sarebbe la prima in Italia realizzata autonomamente da una regione. La Legge Regionale 3/1999 e successive modifiche e quella Costituzionale n°3 del 18/10/2001 assegnano alle regioni rilevanti funzioni nei settori delle infrastrutture e dei trasporti e prevedono la possibilità di programmare, come autostrade regionali, alcune infrastrutture previste dal PRIT – Piano Regionale Integrato dei Trasporti, sulla base di uno studio di fattibilità. Su questa base anche la Cispadana è stata considerata un’ “opera infrastrutturale strategica di interesse regionale”.
Attraverserà le province di Reggio Emilia, Modena e Ferrara, connettendo direttamente l’autostrada A22 del Brennero, in corrispondenza dello svincolo di Reggiolo Rolo (RE), con l’autostrada A13 Bologna-Padova in corrispondenza del casello di Ferrara Sud, per una lunghezza complessiva di circa 67 km, costituendo un’alternativa (così viene spacciata!) per le percorrenze che impegnano le tratte autostradali dell’A14 fra Bologna e le città della costa adriatica e dell’A1 fra Modena e Bologna, tratta quest’ultima che dista solo 30 Km dalla futura Cispadana e su cui sono stati comunque eseguiti i lavori per la realizzazione della 4° corsia.

Secondo il primo progetto, risalente al 1963, e successivamente ripreso dai PRIT del 1986, del 1998 e del 1998/2010 ancora in vigore, la Cispadana avrebbe dovuto essere una normale strada “di servizio e collegamento” tra i vari paesi dell’alto ferrarese e della bassa modenese e ad una sola corsia per senso di marcia ma, ancor prima che questa venga terminata, il 5 luglio 2006 l’assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna decide che verrà trasformata in una autostrada, senza però interrompere la costruzione del primo progetto, tutt’ora in corso, che dovrà essere quasi interamente rifatto, vista l’incompatibilità con la nuova infrastruttura a due corsie per senso di marcia, con la possibilità più che probabile di ampliamento per la terza corsia. Sull’autostrada A22 del Brennero sta per essere costruita la terza corsia, cosa che ci fa propendere per un futuro ampliamento anche della Cispadana. Inoltre, gli studi volti a stimare una previsione per la domanda di traffico hanno evidenziato la necessità di prevedere l’ampliamento della carreggiata autostradale e per questo è stato previsto di costruire l’opera già con gli spazi necessari per la terza corsia.
La modifica del progetto comporterà la radicale variazione degli assetti e di tutte le opere nel frattempo costruite (ponti, cavalcavia, cavalca ferrovia, svincoli…), con un notevole incremento di spesa. Se questo è un dato certo per tutti, non sembra esserlo però per gli amministratori pubblici, che non hanno preso minimamente in considerazione la sospensione del vecchio progetto. Lo studio di fattibilità realizzato dalla Regione nel 2006 dichiarava di voler assicurare “quanto più possibile” il tracciato originario già previsto o realizzato. Questa formula del “quanto più possibile”, già da sola, ci dice che sarà impossibile mantenere l’assetto originario e che quindi la nuova autostrada verrà costruita sopra al vecchio tracciato (per la gioia delle ditte costruttrici che guadagneranno il doppio per la stessa tratta!). Di fronte all’evidente assurdità di questa situazione sembra chiaro che l’importante non è l’utilità di un’infrastruttura ma il fatto che si continui a costruire e “far girare” l’economia.

Nel frattempo la Regione ha già ottenuto il via libera del Cral (la Conferenza Regione-Autonomie locali), ed ha individuato il raggruppamento di imprese che gestiranno le fasi della progettazione preliminare e della successiva gestione dell’opera (la proposta di Autostrada del Brennero Spa, e cioè il promotore finanziario, è stata dichiarata di pubblico interesse il 27 luglio 2007 mentre il progetto preliminare è stato adottato solo da poco: il 27 marzo 2008) ed ora si aspetta solo l’esito del bando per il progetto definitivo che sarà sottoposto alla VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale che, nel caso della Cispadana, dovrà passare per la Commissione di VIA Nazionale) e per iniziare le fasi della procedura espropriativa.
Successivamente all’approvazione del progetto definitivo, le imprese vincitrici dell’appalto dovranno provvedere allo sviluppo del progetto esecutivo che verrà sottoposto all’approvazione della Regione, poi le stesse potranno iniziare a costruire.
La Regione, per la costruzione e gestione della Cispadana, ha deciso di attuare il metodo del ‘project financing’ che non fa che dare carta bianca agli industriali, ben lieti di accollarsi l’esecuzione e gestione dell’opera, in cambio del diritto di sfruttamento economico sull’autostrada. I costi di quest’opera sono 1,1 miliardi a prezzi 2006 (e cioè 17 milioni di euro per chilometro!!!). La Regione contribuirà comunque per il 30% al costo complessivo (330 milioni di euro, soldi pubblici a cui vanno comunque aggiunti quelli già spesi dalla Provincia di Ferrara per i lavori della vecchia strada), il restante 70% e’ invece a carico di privati, un Raggruppamento Temporaneo d’Impresa con capofila appunto la società Autostrada del Brennero Spa (chiamata in causa per turbativa d’asta dalla Società Autostrada Estense, che ha fatto ricorso per l’esclusione dalla gara d’appalto per la Cispadana), che gestirà l’infrastruttura per quasi 50 anni (49 e 6 mesi, per l’esattezza).

La motivazione con cui viene giustificato il progetto dell’autostrada è la risoluzione dei problemi di isolamento viario dei territori coinvolti. Questo è falso!
L’autostrada non favorirà una maggior fruibilità da parte dei residenti delle aree attraversate ma servirà a scaricare sull’infrastruttura, oltre ad una grossa mole d’inquinamento, i grossi volumi di traffico nazionale che attraverseranno il territorio senza fermarsi, di provenienza o in direzione delle grandi città del nord Italia e nord Europa.
Le forti spinte delle associazioni di categoria imprenditoriali, che vedono i loro interessi legati a questa infrastruttura, sono il vero motivo per cui la Regione ha deciso di realizzare una nuova autostrada.
La Cispadana, come detto, non è pensata per collegare tra loro i vari paesi (il progetto prevede solo 4 caselli) ma solo per spostare più velocemente le merci in transito. È facilmente pronosticabile che le strade secondarie si riempiranno di traffico di passaggio, parecchio del quale costituito da mezzi pesanti e richiamato dalla presenza dei caselli, e necessiteranno quindi di una continua manutenzione. La previsione di una congestione della viabilità minore dei paesi è così evidente che perfino il Sindaco di Reggiolo, dove è in progetto il casello sulla A22, si è detto preoccupato di questa più che probabile circostanza, temendo che nelle sue adiacenze possano verificarsi intasamenti e ingorghi.

L’area interessata dal passaggio della Cispadana coinvolge oltre 100.000 abitanti e comprende complessivamente 13 comuni: Reggiolo e Rolo in Provincia di Reggio Emilia; Novi, Concordia sul Secchia, S.Possidonio, Mirandola, Medolla, S.Felice sul Panaro e Finale Emilia in Provincia di Modena; Cento, Sant’Agostino, Poggio Renatico e Ferrara in provincia di Ferrara. L’unica cosa che ci guadagneranno gli abitanti di questi luoghi è un maggior inquinamento ed una perdita paesaggistica e di territorio, con una autostrada che passerà anche a 150/200 metri dai centri abitati di molti paesi e di molte frazioni delle tre provincie (come San Carlo, Alberone, Dodici Morelli, Molino Albergati, Torre del Cocenno, Pilastrello e Buonacompra nel Ferrarese; Camurana, Massa Finalese, Rivara, San Giacomo Roncole, Villa Gardè, Confine e S. Biagio nel modenese).
Dal canto loro, gli amministratori di questi paesi si sono guardati bene dall’informare i residenti sui tanti aspetti negativi che la costruzione di questa infrastruttura avrà sulle loro vite (soprattutto nel ferrarese, dove il progetto della Cispadana non è mai stato presentato pubblicamente), preferendosi litigare la posizione dei futuri caselli autostradali, che vorrebbero ognuno più vicino ai propri paesi per intercettare i flussi di traffico, in vista di nuovi e succulenti guadagni per le aziende dei loro amici imprenditori.
In termini economici e funzionali, quello che ci guadagneranno i singoli comuni di parte ferrarese attraversati dalla Cispadana è questo: Cento prevede una zona di espansione nelle vicinanze di Casumaro a nord della Cispadana, mentre le frazioni di Buonacompra e Pilastrello verranno attraversate in pieno dall’autostrada (150 metri dalle abitazioni!),al pari della frazione di San Carlo nel comune di Sant’Agostino; Poggio Renatico vedrà crescere un area produttiva in confine e in sinergia con il comune di Sant’Agostino; i comuni di Bondeno, Mirabello e Vigarano Mainarda avranno infrastrutture di collegamento con la Cispadana, immaginiamo sature di traffico. Nel territorio mirandolese (Modena) vi è invece un grosso polo biomedico che vede i suoi interessi collegati alla Cispadana, cosiccome altri imprenditori modenesi che stanno facendo carte false perché la Cispadana divenga presto realtà.

Questo per quanto riguarda l’aspetto economico ma l’altra faccia della medaglia non è certo confortante.
L’area individuata come “corridoio” Cispadano è, già oggi, una delle aree più inquinate dell’intera Europa. I territori di Modena e Ferrara (ma un po’ tutta la regione) sono, ormai da anni, colpiti dalle più svariate nocività: triplicazione dell’inceneritore, centrale Turbogas da 800 Mgw, impianti a biomasse e la porcilaia più grande d’Italia per quanto riguarda Ferrara e l’inceneritore di Massa, discariche e impianti di compostaggio di Finale Emilia, nuovo autodromo e deposito di stoccaggio Gas di Rivara (per ora bloccato!) per il territorio di Modena. Ora aggiungiamoci pure questa! Ricordiamo che il traffico che percorrerà l’autostrada causerà la formazione di Monossido di Carbonio, ossidi di azoto e polveri sottili (che provocano asma, bronchiti, allergie), di idrocarburi e benzene (provocano comparsa di tumori, linfomi, malattie ai polmoni), di anidride solforosa (provoca le piogge acide) e di CO2 (e cioè l’anidride carbonica, una delle principali responsabili dell’innalzamento della temperatura o effetto-serra).
La nuova autostrada troncherà in due non solo i paesi ma anche colture, campagne, zone di interesse faunistico, oasi protette (nel comune di Cento l’autostrada passerà nel bel mezzo della Partecipanza Agraria, territorio tutelato per il suo alto profilo naturalistico). Inoltre comporterà la costruzione di ulteriori tangenziali e strade secondarie per collegare i centri abitati e soprattutto le zone industriali dei territori attraversati dal tracciato, nuovi poli aziendali adiacenti ai caselli, autogrill, centri commerciali, pompe di benzina in concorrenza tra loro e chissà che altro. La sottrazione di superfici da parte della Cispadana renderà un territorio già cementificato all’eccesso, e che presenta già un’espansione edilizia e viaria prossima alla saturazione, ancora più antropizzato ed intollerabile ed anche le campagne diventeranno immense periferie urbane delle città, dove tutto ciò che saprà di naturale sarà messo definitivamente al bando. Non si può quindi giustificare la costruzione di simili scempiaggini con il rilancio del territorio: la valorizzazione di un territorio non passa per la sua devastazione e gli interessi di qualche industriale non sono certamente quelli dei suoi abitanti! Non basta quindi, come richiesto da alcuni comitati di cittadini, spostare la Cispadana fuori dai centri abitati ma bisogna avere ben chiaro cosa comporterà una nuova autostrada per l’ambiente nella sua interezza ed il perché essa viene costruita, con quali finalità e che potenziale, che sviluppi, che implicazioni avrà sulla determinazione delle scelte personali di ognuno. Se non si colgono questi aspetti si possono anche raccogliere un milione di firme, tanto non conterà nulla! Ai comitati che si battono soltanto per spostare di qualche chilometro l’autostrada, consigliamo di essere meno ingenui (o meno opportunisti!).

Per dirne una fra le tante, anche se il tracciato della Cispadana fosse distante dai centri abitati, chi credono che mangerà i prodotti della terra inquinati dal passaggio continuo di auto e camion? La diossina, nota sostanza cancerogena molto persistente generata dalla combustione che avviene nei motori, si lega facilmente al materiale organico presente nel terreno e sono necessari perfino anni prima che venga degradata. Se ingerita dall’uomo, la diossina può provocare lesioni della pelle, calo della fertilità, ritardo della crescita, tumori. Nella donna la diossina si accumula nel latte materno, che così passa al lattante. Non si capisce perché, quindi, dovremmo sentirci sollevati dall’ipotesi di un tracciato “alternativo”. Se le associazioni dei produttori agricoli, soprattutto biologici, non hanno incredibilmente protestato contro l’attraversamento della Cispadana vicino ai terreni coltivati, non ci pare un buon motivo per restarsene zitti, poiché vogliamo ricordare che i prodotti avvelenati finiranno sulla tavola di tutti quanti noi. Un motivo in più, se ce ne fosse bisogno, per alzarsi dal divano e dare battaglia.

I comitati dicendosi non aprioristicamente contrari alla realizzazione dell’opera hanno espresso tutti i loro limiti. È, invece, ora di riflettere su una società orientata verso il continuo crescendo consumistico, proprio di un sistema capitalista, che ha bisogno di allargare la propria rete di trasporti a dismisura per continuare a sostenere il proprio modello economico. Dire No alla Cispadana significa dire NO ad ogni abuso speculativo di tipo capitalista. Per l’ideologia capitalista, infatti, le infrastrutture non sono soltanto IL MEZZO, con cui movimentare e distribuire le proprie merci, ma anche IL FINE. Non a caso lo ha confermato anche un recente intervento del Ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, quando, a proposito dello stanziamento di nuovi fondi per le grandi opere, ha detto: “assicurare la cantierabilità di miliardi di euro significa ottenere un risultato essenziale in questa delicata fase di stagnazione economica: una crescita del PIL generata solo dagli investimenti infrastrutturali per una quota calcolata dello 0,7%”. Chiarissimo, no? Costruire per costruire, far girare più soldi possibile! È questa l’unica morale del capitale.

Anche se le grandi opere vengono spacciate per servizi indispensabili, quella dell’interesse economico è l’unica loro ragion d’essere.
Sia a destra che a sinistra non si fa altro che aspergere incenso e lodi a favore dell’attuale modello di sviluppo. Nessuno che pensi alle conseguenze.
E le conseguenze non sono assenti nemmeno nel caso delle autostrade. Ogni anno, sulle strade italiane, si registrano almeno 6.000 morti per incidenti (senza contare gli 8.000 pedoni falciati), 250.000 feriti ed oltre 20.000 disabilità gravi, tutte statistiche messe ampliamente in conto dagli specialisti che studiano la progettazione di una nuova opera ma che evidentemente vengono considerate ampliamente accettabili dai decisori politici e dalle aziende (non solo edili ma anche automobilistiche, dei trasporti e logistica, della ristorazione, dei sistemi di sorveglianza ai varchi autostradali, ecc…) a fronte del raggiungimento economico che li interessa. Si parla tanto di incidenti causati da ubriachi al volante ma non si accenna mai al fatto che la costruzione di un’autostrada ne causerà immensamente di più. Senza contare l’intollerabile inquinamento acustico, quello atmosferico (il 20% di tutte le emissioni gassose sono da imputare al trasporto su gomma), la diossina che ricadrà sui terreni, lo sconvolgimento ed il consumo del territorio, le code, gli ingorghi, ecc…
Parlavamo, non a caso, degli interessi delle case automobilistiche, come la Fiat per esempio. Nel 1956, per favorire gli interessi dell’imprenditoria del settore, strettamente legati alla promozione di nuove arterie, venne soppressa la ferrovia Ferrara – Modena. Abbiamo capito quale potere ha il capitale privato rispetto alle scelte politiche!? In Italia abbiamo 2 auto ogni 3 abitanti, più di 30 milioni di veicoli circolanti ed 1 km di strada ogni Kmq di territorio, ormai le strade si accumulano una sull’altra e poi ci vengono a parlare di crisi del settore dell’automobile (a proposito, quest’anno c’è stato un incremento delle auto sulle autostrade, + 4%, alla faccia della crisi!).

D’altronde sono gli stessi politici che vogliono fare la Cispadana a dirci che “l’area regionale sostiene un carico di traffico eccezionale, anche sotto il profilo ambientale” (Intesa Generale Quadro del novembre 2003 tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, presieduto allora da Pietro Lunardi, e la regione Emilia Romagna, rappresentata da Vasco Errani). E allora perché aggiungerci pure questa nuova autostrada, che di fatto non potrà che aumentare traffico ed inquinamento? Ecco perché: “considerato che l’economia della regione risulta proiettata verso l’esportazione nei mercati nazionali, europei e mondiali, e che la competitività di questo sistema si basa significativamente sull’efficienza e sui costi delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto” […] “le parti convengono che le infrastrutture interessanti il territorio emiliano-romagnolo […] rivestono carattere di preminente interesse strategico” (IGQ). E per questo, il 21 dicembre del 2001, quasi 5 anni prima che la Regione decidesse di trasformare la Cispadana in autostrada, il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) l’aveva già compresa nelle opere strategiche. Non solo, ma nella stessa IGQ del 2003 il Ministero delle infrastrutture si impegnava, attraverso l’ANAS, perché nei piani di investimento della società Autobrennero fossero comprese le opere collaterali funzionali all’incremento del flusso trasportistico e cioè le tratte della Cispadana e questo ben prima che la regione Emilia Romagna pubblicasse l’avviso pubblico per ricercare il soggetto privato in grado di finanziare l’opera (l’avviso è avvenuto solo il 1 agosto 2006). Cosa dobbiamo pensare? Non è un caso se, per un giro di appalti truccati, il presidente di Autobrennero Silvano Grisenti ha dovuto rassegnare le dimissioni e l’imprenditore Fabrizio Collini (proprietario dell’impresa Collini Spa,una delle società aggiudicataria della progettazione della Cispadana) sono finiti in carcere, trascinando con sé nello scandalo anche il direttore tecnico di
Autobrennero Carlo Costa, l’avvocato Giuseppe Todesca (ex presidente di Tecnofil) ed il governatore di centro-sinistra del Trentino Lorenzo Dellai, che avrebbe percepito finanziamenti e mazzette dietro favori per la concessione di opere pubbliche, nonché altri politici di destra e di sinistra ma anche rappresentanti delle forze dell’ordine, un colonnello dei carabinieri, un giudice del Tar ed un prete.
Ritornando alla Cispadana, la società Autobrennero, come ci si attendeva, si è nel frattempo interessata al prolungamento della Cispadana ad est fino al mare. Il Consiglio di amministrazione dell’Anas nel dicembre di quest’anno ha approvato il Progetto di Finanza (Projec financing) presentato dalla cordata con capofila Autostrada del Brennero, per la trasformazione dell’attuale superstrada Ferrara-Porto Garibaldi in autostrada a pedaggio; progetto che sarà messo a gara nei primi mesi del 2009 (quasi certamente sarà la stessa cordata ad aggiudicarsela). L’opera costerà 695 milioni di euro e non prevede l’attuale svincolo di Cona, cosa abbastanza strana, dato che il nuovo Polo ospedaliero è stato costruito a due passi.Questo progetto permetterà alla Cispadana di collegarsi all’Adriatico, dove la Regione (assieme a quella veneta) prevede la costruzione di un’ulteriore autostrada E55 Mestre-Ravenna-Cesena (la cosiddetta “Nuova Romea commerciale”, costo: più di 3miliardi ed affidata anch’essa a privati. Per maggiori informazioni su quest’opera consultate la sezione Cispadana del nostro forum) che permetterà di raggiungere il porto di Ravenna (“anello fondamentale per lo sviluppo del sistema produttivo e logistico nazionale e regionale”, secondo l’IGQ) e più in generale di dar vita alla faraonica Dorsale autostradale Mestre-Orte-Civitavecchia (E55 + E45 trasformata in autostrada) da cui partiranno le merci provenienti dal o dirette al nord Italia e nord Europa.
L’allacciamento con il Corridoio Adriatico attraverso la Cispadana è considerato di “rilievo strategico”, alla luce della programmazione europea dei Corridoi plurimodali autostradali e ferroviari TEN (Rete Trans-europea dei Trasporti) n° 1 (Berlino-Monaco-Brennero-Verona-Bologna-Roma-Napoli-Palermo) e n° 5 (Lisbona-Barcellona-Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste-Kiev). È prevista inoltre la possibile prosecuzione dell’autostrada Cispadana anche verso ovest, in direzione Reggiolo-Tagliata verso Parma (San Secondo Parmense, raccordo A15/A22 TI.BRE). Quest’altro prolungamento verso ovest viene spiegato dall’Intesa Generale Quadro poiché il corridoio intermodale TI.BRE (Tirreno-Brennero), al quale la Cispadana dovrebbe connettersi a Parma, è “inscindibilmente legato, nella sua tratta emiliana, al collegamento con il porto di Ravenna e con il Corridoio Adriatico, sia per rafforzare le relazione tra i corridoi, sia per sostenere adeguatamente la mobilità est-ovest, con riferimento al trasporto delle merci”.

I progetti di autostrade e nuove linee ferroviarie (aggiungiamoci pure le Idrovie fluviali, come l’Idrovia ferrarese, anch’essa inserita dall’IGQ nelle opere strategiche da finanziare), come si può vedere, vanno di pari passo e sono indissolubilmente legati tra loro in un guazzabuglio inestricabile. D’altronde il capitale non ha mai fatto mistero di volersi inserire in tutti gli interventi infrastrutturali possibili, con il dichiarato intento di continuare sì a costruire autostrade ma intanto intascarsi pure i finanziamenti per le ferrovie e per le Idrovie. Il mercato è un mostro che fagocita tutto quello che può creare guadagno. Lo stratagemma di presentare autostrada e ferrovia come alternative è ormai smascherato. Si è parlato spesso del TAV come l’alternativa all’autostrada, pure quando è palese la menzogna di questo assunto. Tra l’altro la società Autobrennero è anche una delle responsabili del finanziamento del collegamento ferroviario ad Alta Velocità dell’asse Brennero Monaco – Verona e del Tunnel del Brennero, facente parte del Corridoio n°1 che servirà anche’esso per le rotte commerciali da e verso il nord Europa, al pari della Cispadana e dell’autostrada A22 del Brennero, dimostrazione che per i piani delle società e del capitale non fa alcuna differenza realizzare autostrade o ferrovie (o qualsiasi altra infrastruttura), visto che possono benissimo ingrassarsi con tutte.

E a proposito di profitti, con la Cispadana Autobrennero intascherà più di 100milioni di euro all’anno dai ricavi dei pedaggi (dopo il primo quinquennio questi saranno inoltre aumentati), senza contare i guadagni connessi alle attività funzionali (aree di sosta, servizi, ecc…) mentre il canone medio annuo che dovrà corrispondere all’amministrazione regionale sarà soltanto poco più di 5milioni (239milioni per tutta la durata della concessione e cioè meno della quota che la Regione avrà stanziato per la Cispadana, se verrà onorato il parametro massimo dei 330milioni). In poco più di sette anni, quindi, Autobrennero rientrerà delle spese sostenute per la costruzione, i restanti 42 anni saranno tutti di utile! Per di più i dati di flusso ipotizzati dallo “studio di traffico” sono stati forniti dalla stessa Autobrennero, quindi è probabile che i guadagni siano anche superiori a quelli calcolati.

Riguardo ai tempi di realizzazione della Cispadana, l’assessore regionale ai Trasporti e alla Mobilità Alfredo Peri ha affermato che i cantieri apriranno entro la fine del 2009 mentre secondo i calcoli fatti la tratta Ferrara Sud – Reggiolo dovrebbe essere pronta per il 2014 (il tempo di esecuzione dei lavori è stato previsto in 54 mesi, decorrenti dalla data di approvazione del progetto esecutivo).
Le persone, i residenti, non conoscono ancora bene il progetto in corso ed è stato detto che i rari momenti di opposizione sono giunti come sempre in ritardo sugli eventi. Strano, se ancora mentre scriviamo perfino gli amministratori di Sant’Agostino (FE), uno dei comuni su cui passerà la Cispadana, richiedono di prendere visione del progetto preliminare, che evidentemente ancora non conoscono! E poi sarebbero gli amministratori a dover informare la gente? Se gli individui lasciano fare i loro comodi ai decisori politici si ritroveranno ad essere informati solamente a cose fatte, quando tutto sarà già stato deciso e siglato da strette di mano e chissà cos’altro (in Italia, ma potremmo ben dire nel mondo, non passa giorno che non scoppi uno scandalo legato agli appalti tra dipendenti pubblici ed imprenditori…è la prassi!).

Fra quanto ci diranno che anche la Cispadana non basterà più a sopportare il flusso di traffico e che servirà costruire un’altra autostrada? Con la logica attuale, che insegue la spirale senza fine dello sviluppo economico, si può sostenere la costruzione di qualsiasi opera, quando invece il processo da fare sarebbe quello inverso e cioè mettere in discussione i valori sociali ed economici per cui è necessaria la realizzazione senza posa di sempre nuove concretizzazioni infrastrutturali.
Gli individui dovranno capire che non è richiedendo l’inserimento di strutture di mitigazione o di protezione acustica o anche siepi e filari per “ricucire il mosaico ambientale” (che cos’è, un puzzle?) che si eviteranno le ricadute negative di opere di questo genere; le cose possono essere combattute efficacemente soltanto se le si comprende, solamente, cioè, dopo avere affrontato le cause della realizzazione di sempre nuove installazioni: il principio dello sviluppo economico sopra ogni altra cosa.
Se poi qualcuno è contento della costruzione della Cispadana perché, come abbiamo sentito dire durante un incontro pubblico, d’estate può andare al mare più in fretta, allora abbiamo a che fare con degli idioti e non vale la pena averci a che fare. Ma se non siete degli idioti, attrezzatevi. C’è un’autostrada da bloccare!

Alcuni dati tecnici:

La Cispadana si configura per la maggior parte della sua estensione (il 57%) con altezza inferiore a 2,5 metri rispetto al terreno, per il 33% con altezze superiori ai 2,5 m, per il 5% in viadotto e per il restante 4% in galleria o in trincea.
Il progetto prevede 4 autostazioni (San Possidonio – Concordia – Mirandola; San Felice sul Panaro – Finale Emilia; Cento; Poggio Renatico) e due aree di servizio (Mirandola e Poggio Renatico). Il casello di Ferrara Sud verrà modificato, per consentire la futura trasformazione della Ferrara-Mare al rango di autostrada a pagamento. La cantierizzazione dell’opera prevede 4 campi base e ben 18 cantieri operativi.

AMMINISTRAZIONE RESPONSABILE:
Regione Emilia-Romagna, Direzione Generale Programmazione Territoriale e Sistemi di Mobilità, Servizio Viabilità – Infrastrutture viarie ed intermodalità.
Indirizzo postale: Viale Aldo Moro 38, 40127Bologna
Direttore generale:
Arch. Giovanni De Marchi
Responsabile del Procedimento:
Ing. Maria Cristina Baldazzi
Tel. (+039) 051 283471/283758/283804
Posta elettronica:
cispadana@regione.emilia-romagna.it
Fax: (+039) 051283459
Indirizzo internet (al file “corografia generale.jpg” c’è il tracciato completo della Cispadana): http://www.regione.emilia-romagna.it/ wcm/ERMES/Canali/trasporti/strade/autostrade.htm

Alle spese di finanziamento per la progettazione concorrono, oltre agli enti locali, alle provincie e alla Regione, la Camera di Commercio di Modena e quella di Ferrara ed un nutrito gruppo di istituti bancari (Banca Popolare dell’Emilia Romagna; Rolo Banca 1473; Banca Popolare di Verona – Banco S. Geminiano e S. Prospero; Banca Popolare di S. Felice; Cassa di Risparmio di Carpi; Cassa di Risparmio di Mirandola ed altre).

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“Il Grido delle Ninfee” num. 8 – Estinzione nel delta del Po

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N°8-MAGGIO 2008

In questo numero: SPECIE IN VIA D’ESTINZIONE nel Delta del Po

Giorno dopo giorno ci rendiamo sempre più conto di quanto il lato più spietato dell’azione antropica, manifestato attraverso il delirante progresso industriale e l’onnipresente scalata economica, vada di pari passo con la rovina di tutto ciò che ci circonda che non siano freddi blocchi di cemento e ferro. In altre parole, CI STIAMO SCAVANDO LA FOSSA. E questa tomba ospita già un’infinità di specie animali e vegetali. La possiamo decorare e abbellire quanto vogliamo, magari contornandola di fiori di plastica, possiamo convincerci che sia qualcos’altro, ma tomba rimane.
Al suo interno, la morte. Fuori, chi cammina ai suoi bordi sperando di non cadervi.
Ci occuperemo di seguito del degradante ruolo di discarica assegnato al fiume Po (e pertanto della situazione dell’area del Delta) da una società che s’illude di poter stuprare il pianeta all’infinito, senza che il frutto dei semi che ha sparso le si ritorca contro, rimandando in continuazione un eventuale “cambio di rotta” che possa metter freno alle ripercussioni che questo ritardo produce: sfruttamento, inquinamento, estinzione.

Gruppo di Studio Contro Ogni Nocività

Un fiume in agonia!
Il fiume Po è, con i suoi 652 km, il più lungo della penisola. Nasce dal monte Monviso e attraversa la pianura padana, “raccogliendo” i rifiuti delle città più industrializzate d’Italia. Tra queste ve ne sono ancora molte sprovviste di un depuratore. L’antico Eridano è quotidianamente avvelenato, infatti, da ogni sorta di scarti civili e industriali (non dimentichiamo che la nostra zona ha il primato nel settore zootecnico).
Il fiume è inoltre degradato a causa degli invasivi lavori di cementificazione degli argini, costruzioni di dighe, canalizzazione e continue opere di urbanizzazione. Inoltre la sua portata diminuisce da decenni a causa delle cave che lo privano della sua sabbia, dell’agricoltura intensiva che preleva ed assorbe una quantità abnorme di acqua e dei lavori di realizzazione delle dighe. In aggiunta, si registra annualmente un abbassamento del suolo di 7-8 mm l’anno.
Una volta (non troppo tempo fa, chi ha più di 40 – 50 anni lo ricorda!) chi abitava nella zona era solito fare il bagno nel Po e nei suoi affluenti; oggi, al contrario, a causa dell’inquinamento essi non sono più balneabili. Nel tratto iniziale del Po le sue acque sono considerate poco inquinate, procedendo verso valle, invece, la concentrazione di inquinanti si fa sempre più alta, raggiungendo livelli allarmanti fin dalla provincia piacentina.
Per coloro che dall’antichità fino a tempi non molto lontani abitava le sue rive, le acque del Po potevano essere viste come fonte di vita e prosperità ma anche, durante gli straripamenti, una forza naturale indomabile e pericolosa, alla quale dovere rispetto.
Oggi l’unica fonte di vita sembra essere l’urbe con le sue panchine verdi nei suoi (minuscoli) spazi verdi…circondati da palazzi e supermercati.
La città è sacra in ogni suo centimetro di cemento e persino la più piccola scritta che possa portare un po’ di colore, osando spezzare quella conformità visiva e quel malessere che solo il grigio può dare, viene condannata e debitamente punita.
E il fiume? Dona acqua alle nostre colture e rappresenta un’importante fonte energetica, ricevendo in cambio i nostri scarti. I muri della città non vanno “sporcati” ma il fiume lo si avvelena quotidianamente, causando danni ben maggiori che vanno al di là di una mera questione estetica.
Fertilizzanti, pesticidi, nitrati (temutissimi scarti legati all’agricoltura), fosfati, detersivi, scarichi industriali (52 % del totale) ma anche i rifiuti quotidiani che produciamo nelle nostre case (rappresentano il 15 %): questo è ciò che riversiamo nelle acque del fiume, avendo il pensiero e il disprezzo rivolto invece a quei vandali che deturpano i bellissimi muri di cemento della città.
Versati nel fiume senza riguardo alcuno, questi reflui contengono svariate sostanze non biodegradabili che impediscono all’acqua il naturale processo di autodepurazione. Questo, infatti, succederebbe grazie alla presenza di batteri e microrganismi decompositori che, assorbendo ossigeno e rilasciando anidride carbonica, distruggerebbero gli inquinanti organici che a loro volta diventerebbero nutrimento per le specie vegetali. In più, bisogna che nell’acqua sia presente ossigeno in buone quantità affinché questo naturale processo abbia luogo, perché esso consente la vita ai microrganismi decompositori e favorisce l’ossidazione delle sostanze.
Ma la concentrazione di inquinanti nelle acque di fiumi e canali impedisce la riossigenazione, ossia quello scambio tra acqua e aria che permette alla prima di rifornirsi di ossigeno. Vogliamo chiarire che per sostanze inquinanti non intendiamo solamente i prodotti dell’industria chimica bensì anche scarti naturali concentrati in elevata quantità, ad esempio gli escrementi degli animali allevati che apportano alle acque un’eccessiva quantità di metano.
Si assiste così a un’alterazione degli equilibri naturali – gli ecosistemi – che ha come effetto una progressiva distruzione di flora e fauna autoctone. Specie che hanno sempre abitato questa zona scompaiono – chi più velocemente e chi meno – e l’ambiente si impoverisce. L’ecosistema è un meccanismo di autoregolazione della natura di cui fanno parte numerose specie (animali e vegetali) e quando una sua parte viene a mancare, tutto l’insieme ne risulta profondamente compromesso.
Ma la questione della perdita della biodiversità non va assolutamente letta come un problema estetico agli occhi dell’uomo ma come il fatto di non potersi arrogare il diritto di minacciare la vita in ogni sua forma, in nome di un progresso assurdamente e ciecamente ritenuto più importante della vita stessa. Nelle acque inquinate gli unici a beneficiare della situazione sono organismi come le alghe microscopiche che, non rientrando nella catena alimentare di nessun altro organismo, proliferano eccessivamente e consumano tutto l’ossigeno presente, che non resta per pesci ed altri animali, portandoli inevitabilmente alla morte. A causa degli scarti delle attività umane gettati nei corsi d’acqua, la biodiversità diminuisce drasticamente, portando all’estinzione svariate specie animali e vegetali. Abituiamoci sin da ora ad immaginare – solo immaginare? – un mondo popolato dall’uomo e poche altre specie, magari selezionate e modificate secondo l’utilità che possono offrire al sapiens, in cui alla ricchezza della vegetazione si sostituisca la varietà delle forme degli edifici e delle macchine.
La varietà di vita che popola la Terra – la biodiversità – è una ricchezza (non in termini economici ma vitali) e tale dovrebbe rimanere. Grazie ad essa gli ecosistemi mantengono il loro equilibrio. Romperlo significa portare alla scomparsa svariate specie e quella umana è soggetta né più né meno delle altre a queste leggi naturali. Non ne è immune e questo non dimentichiamolo.
Spesso si viene a conoscenza (e chissà di quanti casi non sappiamo) di episodi di morie di pesci e devastazioni varie. Riportiamo qui di seguito un fatto accaduto circa un anno fa nella zona di Denore, paesuncolo del ferrarese presso la chiusa Valpagliaro. Qui erano stati avvistati da alcuni residenti e ritrovati a galleggiare sulle acque numerosi pesci morti. Ad uccidere i pesci una densa schiuma bianca, che ha messo in evidenza la presenza di un agente inquinante. E questo è soltanto uno dei tanti casi, non certo l’ultimo e più recente, in cui residenti preoccupati hanno dato l’allarme. Rischiamo un ennesimo disastro ambientale a causa di un termo-distruttore che si pensa di installare nella zona del comune emiliano di Caorso, proprio sotto l’argine maestro del Po: pensiamo a cosa potrebbe accadere se il fiume straripasse e le sue acque trasportassero per chilometri le scorie nucleari qui depositate. Ancora, lungo il fiume verrà costruita una discarica industriale, l’Arvedi Ecodeco, di ben 250 mila metri cubi. Dovrà prevedere ripari e idrovore (grosse pompe che succhiano acqua dal fiume in enorme quantità attraverso tubi del diametro di 1,30 metri per rigettarla in mare) contro le piene, in sostanza tonnellate di cemento coleranno sugli argini e in questa discarica finiranno le polveri di abbattimento dei fumi di acciaieria, i fanghi da depuratore chimico fisico ed altra merda di questo tipo. Questi sono soltanto alcuni esempi, che mostrano piuttosto bene in che considerazione venga tenuto il fiume.

Elenchiamo, di seguito, alcuni tempi di decomposizione in ordine crescente dei rifiuti tra i più comuni: fazzoletti di carta: 4 settimane; mozzicone di sigaretta: più di 1 anno; chewing gum: 5 anni; lattina in alluminio: 10 anni; assorbenti e pannolini: 200 anni; sacchetti di plastica: più di 500 anni. Per quanto riguarda le sostanze chimiche, ampiamente usate in agricoltura ed industria, i tempi sono ancora più lunghi!

Specie in via d’estinzione
E’ necessario ricordare, in primis, che in passato la zona era paludosa e a seguito delle opere di bonifica susseguitesi nel corso dei decenni (cominciate molto prima del ventennio fascista), molte zone verdi sono scomparse e con esse anche le specie che vi abitavano.
Conoscere con certezza il numero delle specie estinte o scomparse da una determinata area a causa dell’inquinamento e di altre attività umane, quali ad esempio caccia e pesca, è sempre difficile, visto che non ci sono note nemmeno tutte quelle che abitano attualmente la zona del Delta del Po. Ma tratteremo qui delle più conosciute. Una delle specie animali che sta scomparendo dalle sponde del Po è sicuramente il fenicottero rosa. Nell’ultimo periodo sono stati ritrovati nelle acque delle valli del Delta – più precisamente in Valle Pozzatini – decine di fenicotteri morti. Le radiografie hanno dimostrato che nell’organismo era presente un altissimo numero di pallini di piombo. Più specificatamente sono morti di saturnismo, ovvero un avvelenamento da piombo che può avvenire per via cutanea, attraverso le mucose o tramite l’apparato digerente e causa convulsioni, ipertensione ed edema cerebrale. L’avvelenamento è stato provocato dall’assorbimento, attraverso l’apparato digerente, di piombo che ha causato occlusione intestinale e picacismo, un disturbo alimentare che concerne l’ingestione di materiali non commestibili.
Nella zona, stando ai dati, si verifica ogni anno un’intensa attività venatoria che uccide quel poco di vita che potrebbe sopravvivere in un ambiente già fortemente reso inabitabile dall’attività umana e ad ogni colpo sparato da coloro che fanno della morte uno sport, cade nelle acque dei laghi un pallino di piombo che va a depositarsi sul fondo, dove i volatili cercano cibo, filtrando alghe e molluschi, ma non – ovviamente! – i piccoli pallini metallici che vengono ingeriti e provocano un lento avvelenamento.
Un’altra specie in via di estinzione è quella dei fraticelli, piccoli uccelli simili ai gabbiani ma più piccoli e agili. Il rischio di estinzione è dovuto alla massiccia presenza dell’uomo nella zona dello Scannone.
Il fraticello nidifica principalmente nei mesi di giugno e luglio per poi migrare; il nido consiste in una piccola buca nel terreno riempita di sabbia e sassolini, dove vengono deposte due o tre uova.
In genere questi nidi si trovano in aree aperte molto vaste come ad esempio le spiagge. La presenza di questi animali nel nostro territorio è minacciata dall’invasione dell’uomo e da ogni sua attività. Altre specie aggiunte recentemente al catalogo di quelle in via d’estinzione per cause umane sono la testuggine terrestre, il rospo bruno di Cornalia (visto l’ultima volta nella zona del Delta ben 20 anni fa), il rospo notturno, la lampreda di mare, lo storione cobice, la faina, il tasso, il porcospino, la rondine, la volpe, il cervo (oggi ve ne sono solo circa 80 esemplari), il daino (500 esemplari circa), il nibbio bruno, la lontra, il lupo, l’albanella minore, l’avocetta, il falco di palude, il tarabusino, la beccaccia, il fratino – da non confondere col fraticello di cui sopra! – e la volpoca. Utile aggiungere che nel parco del Delta del Po, in Sacca Scardovari, il campionato italiano di fuochi d’artificio (!!) qui tenutosi fino al 2006, ha provocato la morte di moltissimi di questi animali venuti a contatto con i cavi elettrici, oppure i fuochi fatti esplodere nelle vicinanze dei nidi con i loro rumori e bagliori hanno provocato la morte dovuta a spavento o caduta di molti pulcini. (Anche i fuochi d’artificio, come il progresso, sono inevitabili e al di sopra di ogni vita?).
Gli animali più piccoli, come gli insetti, sono molto meno “monitorabili” per ovvie ragioni!
L’impoverimento della vegetazione ha causato la progressiva diminuzione delle anatre. Il predatore storicamente più diffuso nella nostra zona era fino a poco tempo fa il luccio, oggi rarissimo se non del tutto scomparso. per concludere parliamo del problema della specie autoctona più tristemente famosa perché protagonista di molte ricette locali: le anguille delle valli comacchiesi. Il numero è nettamente diminuito e la causa primaria – oltre alla pesca – va cercata nella temperatura che supera di sei gradi la media stagionale (conseguenza dell’effetto serra) e che non invita il pesce ad andare verso il mare, dove avverrebbe la riproduzione. Il surriscaldamento altera anche la crescita dei molluschi bivalvi presenti nei fondali che raggiungono dimensioni eccessive e permette l’inserimento di specie esotiche quali il pesce persico trota, il persico sole, il pesce gatto e il siluro. Quest’ultimo più degli altri causa alterazioni gravissime e la drastica diminuzione di alcune specie autoctone.
Per quanto riguarda la flora, invece, basti pensare al titolo di questo bollettino: le ninfee.
Di questi fiori se ne trovavano ovunque lungo il fiume, in gran quantità sino a non troppo tempo fa, mentre ora stanno via via decimandosi e non è l’unica specie vegetale che rischia l’estinzione. Menzioniamo infatti l’alaterno (presente nei boschi termofili, a temperature relativamente elevate), le campanelline maggiori (boschi idrofili, quelli più legati alla presenza di acqua), l’orchidea, in particolare la cimicina (paludi e prati umidi), il limonio comune (suoli salmastri umidi), l’ibisco litorale, il cisto rosso (dune consolidate, in cui la vegetazione è costituita maggiormente da cespugli bassi e compatti e l’azione del vento non è forte abbastanza da spostare la sabbia), la salicornia veneta (fanghi salmastri, zone in cui vi è maggior salinità), il pungitopo, l’elleborina palustre.

Il “cuneo salino”
“L’area del Delta del Po è già da considerarsi in situazione critica per la risalita del cuneo salino” (Autorità di bacino del fiume Po. Parma, 2006).

La scarsa portata del fiume più massacrato d’Italia, dovuta soprattutto all’eccessivo prelievo di acqua per usi irrigui, fa sì che le acque salate, in condizione di alta marea, “risalgano” dal mare per decine di chilometri lungo il Po, rendendo impossibili altri prelievi per l’agricoltura, ostacolando l’uso umano e inserendosi nelle falde, talvolta formando sacche isolate dal mare tramite l’argilla, ma nella maggior parte dei casi mescolandosi direttamente alle acque dolci. Questo processo è dovuto anche all’abbassamento dei fondali tramite prelievi di sabbia o per le modificazioni dei corsi d’acqua, come prevede il progetto dell’Idrovia ferrarese. La denominazione “cuneo salino” deriva dal fatto che l’acqua salata è più pesante di quella dolce e quindi la sua risalita avviene in profondità con uno spostamento cuneiforme. La parte superiore del cuneo vede separati i due tipi d’acqua (interfaccia dolce/salmastro). Pesanti sono le conseguenze per le specie (animali e vegetali) abituate all’acqua dolce, che vengono improvvisamente in contatto con l’acqua salata.

Cosa fare dunque?
Il problema della distruzione ambientale necessita di entrare nelle coscienze e priorità di ognuno di noi, oggi più che mai. Il consumismo sfrenato e l’idolatria delle merci buttano legna sul fuoco devastatore delle industrie di ogni genere che – perennemente inseguitrici del profitto – sacrificano la salute del pianeta che ci ospita e quindi anche la nostra. Ci stiamo abituando a vivere in un mondo sempre più fittizio, che erroneamente crediamo “a nostra immagine e somiglianza”. Siamo invece noi ad adattarci sempre più al contesto che ci circonda – la città. Modifichiamo i nostri istinti, soffriamo di malattie derivanti dallo stile di vita totalmente alienato e alienante, e siamo stati abituati a pensare che la felicità sia poter comprare la maggior quantità di merci possibili. Che siano utili, poco importa oramai. Basta AVERE. Giungiamo spesso al punto di respirare a fatica, dovendo fuggire dalla città per sentire l’aria pulita e fresca della montagna e riempircene i polmoni (ma esiste luogo che non sia stato ormai raggiunto dalle Nocività dell’uomo?). Mentre si continua a morire di cancro e a distruggere ogni altra forma di vita –animale, vegetale – e devastare zone sempre più estese di territorio, si continua a pensare che il progresso sia amico, necessario, giusto. Progresso inteso come produzione smodata di “beni” e il conseguente consumo. Se per progresso intendessimo invece la consapevolezza dei danni che creiamo quotidianamente e l’impegno a cambiare il nostro stile di vita, buttando nel cesso l’egoismo e guadagnandoci TUTTI, vivremmo sicuramente in un mondo più ospitale e sano. Nello specifico, è noto che gli allevamenti intensivi sono tra i maggiori responsabili dell’inquinamento e quindi un grande passo verso un vero cambiamento sarebbe smettere di finanziarli: non mangiare carne e derivati animali, quali uova, latte eccetera. Se poi c’è chi continua a credere che senza prodotti animali si crepa, altro non possiamo fare che suggerire di confrontare le popolazioni più longeve e sane con quelle più malate e bisognose di integratori, farmaci, interventi e prendere in esame le rispettive diete.
Per quanto riguarda il pesce, basti sapere che i metodi di pesca intensiva causano la distruzione di una buona percentuale dei fondali marini, con conseguente alterazione degli ecosistemi. La questione ecologista è strettamente connessa al veganismo (l’esclusione di ogni prodotto di origine animale sia dall’alimentazione che per quanto riguarda vestiti, ecc…) perché è evidente l’incoerenza e l’assurdità del lottare contro gli impianti di morte, buoni solo per arricchire le tasche di pochi bastardi, e nel frattempo continuare a finanziare un’industria che in quanto ad inquinamento non è certo inferiore: quella zootecnica. Fare la raccolta differenziata non è sufficiente, bisogna autoprodurre il più possibile, riscoprire il piacere della lentezza e della soddisfazione di aver fatto qualcosa con le proprie mani, senza averlo comprato avvolto da tremila carte, pacchetti, involucri, scatole..ridurre al minimo la quantità di rifiuti prodotti e costringere le industrie a produrne di meno e cambiare materiali (ad esempio abolizione della plastica) attraverso l’unico metodo efficace: ridurre al minimo gli acquisti. Dobbiamo diventare i bastoni che bloccheranno le ruote di questo sistema economico – sviluppo,progresso o con quali altri eufemismi lo si voglia chiamare – , gli ingranaggi impazziti di un meccanismo malato che non si fa scrupoli a passare sul numero di cadaveri necessario a raggiungere il suo scopo: l’accumulazione di denaro.
Beh, se questi sono i valori della civiltà moderna, siamo contenti di esserne il più possibile distanti, di essere considerati anacronistici e idealisti. Ma siamo consapevoli delle nostre potenzialità e continueremo sempre a lottare contro tutto ciò. Non illudiamoci che politici e industrie abbiano interessi comuni ai nostri, perché a loro interessa solo il profitto e non certamente la nostra salute (strettamente connessa a quella dell’ambiente in cui viviamo). E chi fa le leggi stabilisce arbitrariamente – quanto assurdamente – il livello di sostanze tossiche che possono annerirci i polmoni, decide dove buttare tonnellate di rifiuti, nasconde l’evidenza quando necessario e crea falsi allarmi per spostare la nostra attenzione su altre questioni, per distrarci e continuare (quasi) indisturbato nei suoi squallidi sporchi affari.

I ritmi forsennati di produzione e consumo ai quali siamo stati abituati devono assolutamente retrocedere per lasciare che la vita si rigeneri.

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“Il Grido delle Ninfee” num. 7 – Sul piano rifiuti di Ferrara

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N°7-APRILE 2008

Osservazione isul PIANO RIFIUTI della provincia di Ferrara.

Questo numero de “il Grido delle Ninfee” potrebbe risultare di natura abbastanza “tecnica” ovvero indigesto a molti o ad alcuni, poiché riporta numeri e percentuali, solitamente forniti da fonti terze. Se questo, apparentemente, potrà sembrare cozzare con propositi espressi da noi più volte e cioè con la volontà dichiarata di spingerci oltre i numeri, che possono tra l’altro adattarsi a varie interpretazioni a seconda delle posizioni di partenza dei lettori, è invece frutto di una scelta naturale che ci siamo trovati ad affrontare. Per la nostra comprensione degli eventi ci siamo trovati ad analizzare anche dati diffusi pubblicamente in questi anni sia da parte istituzionale che non, molti dei quali non combaciavano affatto. Nel corso dei mesi, per nostre esi-genze, abbiamo spulciato, analizzato e rimestato, arrivando a farci un’idea precisa in merito. Abbiamo voluto divulgare ciò a cui siamo pervenuti, affinché questi dati siano disponibili per tutti, pur coscienti che agli oppositori di questo mondo imbrigliato e fondato sulle Nocività non servono percentuali per essere spronati nella loro lotta. I dati qui presenti, più semplicemente, si integrano con quanto pubblicato e con quanto pubbli-cheremo poi; con un avvertenza: di non prenderli come scontati (sarebbe bello se ognuno avesse il modo di verificare di persona ogni notizia). Aldilà di questo, nel presente numero viene chiarificato il percorso di gestione dell’intero ciclo rifiuti urbani della provincia di Ferrara, riferendoci specialmente agli aspetti legati allo smaltimento e ribaltati alcuni fraintendimenti o vere e proprie falsità che hanno accompagnato la diatriba sull’ampliamento/triplicazione dell’inceneritore di Fer-rara di proprietà Hera, un’azienda quotata in borsa che in Emilia-Romagna ha provocato solo danni e disagi.

Osservazioni sul Piano Provinciale Rifiuti:
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti della provincia di Ferrara, prima dell’entrata in funzione delle due nuove linee dell’inceneritore Hera di via Diana a Cassana, la situazione era questa: a fronte di una produzione annua di 221.000 tonnellate di Rifiuti Solidi Urbani (RSU) i dati ci dicono che nelle discariche ferraresi erano conferite circa 75.000 ton/anno di rifiuti mentre altre 20.000 venivano conferite nelle discariche di Bologna (dopo la chiusura dell’inc di via Conchetta a Fe). Altre 40.000 ton/anno venivano bruciate dalla vecchia linea 1 dell’inc di Cassana. I dati della differenziata si aggirerebbero sulle 87.000 ton/anno che rappresentano il 39% sul totale degli RSU complessivamente prodotti dalla provincia di Ferrara (221.000 t/anno, come detto, e non 250.000 come pretende Hera e ora anche la Provincia).
Bisogna comunque spiegare che il dato della differenziata contiene 30.000 tonnellate di verde e sfalci (che è la voce che ha la percentuale maggiore in capitolo), quindi la “vera” differenziata non smaltita in discarica o nell’inceneritore si aggira verosimilmente attorno al 23/24% e cioè tra le 50.000 e le 53.000 ton/anno sul totale dei rifiuti urbani. A questo numero dobbiamo inoltre sottrarre una grossa fetta (il 20% pari a 10.000 ton/anno) che, dopo la separazione, risulta non riciclabile e viene dunque smaltita in discarica o nell’inceneritore. il dato che ne risulta è francamente sconfortante! Un po’ più di 40.000 ton/anno di differenziata reale, ovvero meno del 20% sul totale della produzione di rifiuti urbani!
Se invece fossero veri i dati del Piano provinciale rifiuti, che comunque quantifica anch’esso in 221.000 tonnellate/anno la quantità di rifiuti prodotta nel 2007, dovremmo dare per buona la notizia che a breve la raccolta differenziata arriverà al 50% (anche se ci pare difficile crederlo, visto che gli amministratori ci hanno già detto che anche quando si raggiungerà, ben 30.000 ton/anno di questa percentuale dovranno essere comunque incenerite perché non riciclabili!). Infatti, non tutto quello che viene raccolto in maniera differenziata poi effettivamente può essere recuperato e riciclato. Tra l’altro Hera già ipotizza che superata la soglia del 50% di differenziata la Tia (la tassa sul pattume) subirà un ulteriore incremento dei costi. Questo perché più rifiuti vengono recuperati meno l’inceneritore lavora e di conseguenza genera utile per Hera, che si rivarrà sulle bollette. Chiaro, no?
Ritornando ai dati che fornisce il Piano Provinciale, i rifiuti rimanenti, tolta la quota del 50% di differenziata, sarebbero dunque 110.000 ton/anno. Se poi guardiamo al 2012, quando per legge la differenziata dovrà essere del 65%, allora il dato finale dei rifiuti urbani rimanenti è di 77.350 ton, quasi la metà di quanti ne vorrebbe bruciare Hera. E se si spingesse ancor di più la differenziata avremmo ancora meno rifiuti.

Allora perché ampliare l’inceneritore? Tre ipotesi:
1 – i dati forniti sulla differenziata non sono reali;
2 – si dà per certo il non rispetto delle leggi europee sulla differenziata per il 2012;
3 – intanto che si attua la raccolta differenziata sui rifiuti urbani si aumenta parallelamente il conferimento dei rifiuti speciali o di quelli assimilati agli urbani.

Gli imbrogli, come si può vedere, sono tanti e tutti perseguibili.
La denominazione “Rifiuti Solidi Urbani” o RSU comprende, infatti, sia i rifiuti prodotti dalle abitazioni civili sia quelli assimilati agli urbani, ad esempio i rifiuti provenienti dalle piccole imprese e gestiti dal Servizio Pubblico Locale. In Emilia – Romagna la quantità di rifiuti classificati come urbani, pur non di provenienza domestica, è molto più alta che in altre regioni mentre i rifiuti speciali prodotti in provincia di Ferrara (di cui ben 30.000 ton/anno sono destinate all’inceneritore) sono il doppio di quelli classificati come RSU. Ne consegue che non basta aumentare la differenziata per diminuire la quantità di rifiuti da smaltire perché, parallelamente, per continuare a “far rendere” l’inceneritore e perché questo non rimanga senza materia prima, verrà di sicuro aumentata (dato che su questo punto i regolamenti variano da Comune e Comune e questi possono fare come credono) la quota di assimilazione dei rifiuti non domestici agli urbani.
Negli ultimi anni lo smaltimento in discarica avrebbe dovuto calare invece è aumentato (dal 42,5% del 2004 al 74% del 2006), mentre il conferimento all’impianto “recupera” di Ostellato è calato. Quest’impianto dovrebbe servire per produrre compost di qualità riciclando l’umido e per il trattamento biomeccanico del residuo indifferenziato ma viene invece utilizzato, per la maggior parte, per i rifiuti speciali provenienti da fuori provincia, selezionandoli e trasportandoli all’inceneritore.
Il Piano Rifiuti prevede di chiudere le discariche ferraresi perché tutte hanno creato problemi di contaminazione delle falde. Ci viene detto che nel 2012 avremo soltanto una discarica, quella di Sant’Agostino, che verrà ampliata e dove finiranno i rifiuti che non potranno essere inceneriti, né riciclati. Le discariche di Argenta e Comacchio, però, resteranno tutt’altro che inattive, dato che continueranno a ricevere rifiuti speciali. L’unica disc che quindi dovrebbe chiudere è la Crispa di Jolanda di Savoia (alla fine del 2008) ma anche questa risulta sia stata ampliata di recente.
Questo mostra come in realtà le discariche provinciali non chiuderanno affatto con l’ingresso a pieno regime dell’inceneritore di Cassana, come invece quei furboni degli amministratori vogliono farci credere.
Per farci una idea del ciclo della gestione dei rifiuti nel ferrarese e della situazione presente e futura delle sue discariche ora andiamo a vedere direttamente le aziende che se ne occupano e come lo fanno.

Aziende ferraresi coinvolte nella gestione dei rifiuti:
– le aziende che si occupano della gestione dei rifiuti nella provincia ferrarese sono 4 (tutte le realtà sono partecipate dai Comuni dove si svolge il servizio):
1) Hera spa – nella città di Ferrara, frazioni e paesi vicini
2) CMV Servizi srl – nel territorio dell’Alto Ferrarese (più Castello d’Argile e Pieve di Cento in Provincia di Bologna con un accordo di sub-affidamento con Hera Bologna)
3) Area spa – nei territori della bassa ferrarese
4) Soelia – nell’argentano e territori limitrofi

Di Hera sappiamo ormai tutto. Hera spa è un’azienda nata dalla fusione con le ex aziende municipalizzate dei servizi e partecipata da comuni soci dell’Emilia-Romagna (Rimini, Forlì – Cesena, Ravenna, Ferrara, Bologna e Modena), nonché quotata in borsa.
Hera Ferrara nasce dall’assorbimento delle municipalizzate AGEA ed ACOSEA. Come molti altri impianti, anche l’inceneritore di Cassana, nella periferia nord – ovest della città, viene venduto ad Hera che da subito rivela di volerne aumentare la capacità. Il Piano Provinciale Rifiuti riflette questa volontà e la Provincia autorizza la realizzazione di due nuove linee di incenerimento, per ben 130.000 ton/anno a fronte dei circa 40.000 precedenti. L’enorme ampliamento viene legittimato tirando in ballo la chiusura delle discariche del territorio ferrarese, che come abbiamo detto è soltanto una menzogna per permettere di costruire le nuove linee. La raccolta complessiva di rifiuti solidi urbani nella città di Ferrara, nel 2007, ha toccato quota 93.700 tonnellate. I dati ufficiali Hera parlano di un 40,1% di raccolta differenziata e cioè 37.607 tonnellate di cui sappiamo però che non tutta effettivamente avviata a recupero. A Ferrara la Tia di Hera (e cioè la tassa sui rifiuti) è la più alta di tutta la provincia.

Per CMV la principale fonte di guadagno è la distribuzione e vendita del gas, che contribuisce per circa tre quarti al fatturato della multiutility.
Il socio di maggioranza è il Comune di Cento, che detiene l’83% del capitale sociale. I soci di minoranza sono i comuni di Vigarano e Mirabello. Proprio Cento col suo 27% è “maglia nera”in provincia di FE per la raccolta differenziata. CMV utilizza la discarica intercomunale di Molino Boschetti nel comune di Sant’Agostino e gestita dalla società francese Sita (che ha la sua sede italiana a Mestre e che ha un contenzioso aperto con CMV per una questione non risolta di pagamento per la gestione di Molino Boschetti). La discarica dovrà essere ampliata (costo preventivato in 3 milioni di euro), con relativa messa in sicurezza e bonifica della vecchia discarica esausta posta nelle immediate vicinanze (costo di 5 milioni di euro). La vecchia discarica è pericolosamente inquinata con valori di percolato evidenziati in 50mila metri cubi ed una scarsa manutenzione, che ha comportato l’infiltrazione degli inquinanti fin nella nuova discarica e odori nauseabondi avvertiti dagli abitanti. Ma anche in quella nuova i problemi non mancano. A seguito di frane e dell’infiltrazione di percolato nella sesta vasca i rifiuti del Centese per mesi sono stati smaltiti negli spazi della discarica Crispa di Jolanda di proprietà Area spa, circa 20.000 tonnellate, con annesso andirivieni di camion. Ora la disc di Sant’Agostino dovrà ospitarne altrettante, anche speciali, oppure rimborsare Area.
L’azienda si occuperà anche della messa in sicurezza della discarica esaurita (discarica del Morando) gestita nel comune di Cento (spesa prevista 2 milioni di euro). Per le spese di monitoraggio e per la messa in sicurezza delle vecchie disc i Comuni continuano a spendere cifre incredibili.
Nell’area Riminalda di Bondeno esiste un centro di raccolta comunale di rifiuti gestito da CMV Servizi. CMV è interessata ad un’operazione di fusione con l’azienda Sorgea di Finale Emilia (MO), per creare una nuova società. Questa si occuperà di gas, telefonia, energia elettrica ed altro.
Curiosità: Il conferimento dei rifiuti indifferenziati centesi all’inceneritore di Hera a Cassana costano all’utente di CMV ben 120 euro a tonnellata contro i 60 euro che spendono con il conferimento in discarica.

Area è il consorzio che gestisce la discarica Crispa di Jolanda di Savoia. In questa discarica nel 2006 sono entrate 181.000 tonnellate di rifiuti totali (di questi rifiuti sono stati avviati all’impianto di selezione 10.750) , di cui 74.700 di rifiuti urbani (57.100 provenienti dai 18 comuni soci di Area e 17.600 da altro bacino del ferrarese, conferiti da Hera e CMV) e 106.000 rifiuti speciali (di cui ben 51.800 arrivati da altri territori non ferraresi, rientranti nelle quote del Piano Rifiuti della Provincia).
Alla Crispa è presente anche un impianto di recupero del biogas, ovvero il metano che viene prodotto dalla putrescenza dei rifiuti. Il metano viene convogliato alla centrale di produzione di energia elettrica, che a sua volta viene venduta alla rete nazionale. La ditta privata che ha in appalto questo impianto è la Marco Polo di Cuneo (che vuole costruire altri impianti simili nel ferrarese), che certifica in 1.710.433 i metri cubi di biogas captati. I dati della differenziata di Area sono 62.520 ton/anno a cui si devono aggiungere le 38.700 ton/anno del solo Comune di Comacchio, che formalmente non è ancora socio di Area. I dati riferiti al 2006 mostrano come la raccolta differenziata raccolta si attesti attorno a poco meno del 50% ma effettivamente avviata al recupero al 35-40% massimo (le prime 5 città italiane in termini di raccolta differenziata sono Novara, Verbania, Asti, Belluno e Rovigo, con oltre il 50% ma poi sappiamo che effettivamente il recuperato è molto meno!!). La discarica Crispa dovrebbe chiudere entro il 2008, come convenuto nel Piano Provinciale Rifiuti ma risulta che Area spa ha provveduto all’acquisto di circa dieci ettari di terreno per ricavarne altri lotti e presentato un progetto che prevede la ricezione di ulteriori 200mila tonnellate di rifiuti. Questo progetto è risaputo da tempo ma la Provincia e l’assessore all’Ambiente Golinelli (sempre della Provincia) – e cioè chi ha voluto fortemente l’inceneritore – sembrano accorgersene soltanto adesso, fingendo indignazione per una notizia che sapevano da tempo. Comacchio, comune non ancora socio di Area, possiede la discarica comunale di Valle Isola, gestita dalla società “Sicura”, che è stata ampliata poco fa e dove entrerebbero tonnellate di rifiuti speciali all’anno da fuori provincia.

Soelia: l’azienda di Argenta gestisce la discarica comunale di “Bandisolo” che dal 2012 diverrà, secondo il Piano Rifiuti Provinciale, un sito per soli rifiuti speciali. Già oggi arrivano tonnellate di fanghi di lavorazione dal bacino ferrarese e non solo. Questi fanghi verranno utilizzati anche per “nutrire” la centrale a biogas per la produzione di energia elettrica (della durata di 15 anni con due generatori per una potenza di 400 kW a regime ed una produzione annua di un milione e 110mila kW/h, quanto ne consumano 350 famiglie) che Soelia ha realizzato a ridosso della discarica. Come dice l’assessore all’ambiente del Comune di Argenta, Filippo Mazzanti, “le discariche sono un business”. Nella discarica nel 2007 sono entrate quasi 8.000 tonnellate di rifiuti a fronte di 13.217 tonnellate di rifiuti solidi urbani complessivamente raccolti da Soelia, che è l’azienda ferrarese dal bacino minore. Su una proposta di raccolta differenziata porta a porta, l’assessore Mazzanti è categorico: non se ne parla neanche! La discarica, come detto, è un business irrinunciabile!

Come si è visto di quattro discariche: tre sono state o saranno ampliate e tutte continueranno a ricevere rifiuti speciali anche da fuori provincia (altra rassicurazione non mantenuta: a Ferrara non saranno mai smaltiti rifiuti provenienti da fuori provincia. Errore! Nel 2006-2007 una buona fetta di rifiuti smaltiti nelle discariche ferraresi sono arrivati da fuori e nella domanda per l’AIA Hera chiede chiaramente di bruciare nell’inceneritore anche rifiuti provenienti da altre province). In più esistono altre grandi e piccole discariche – abusive e legali – disseminate su tutta la provincia. Ricordiamo la discarica di copertoni in zona P.M.I. a Ferrara, dove 15.000 tonnellate di pneumatici usati sono accatastati in un’area privata dell’immobiliare Marconi e gestita dalla fallita ditta Emme 3 ma ceduta al comune che non ha mai smaltito (ci penserà l’inceneritore?). Altra discarica di copertoni ed altri rifiuti completamente abbandonati a se stessi nell’area privata di un ex frigo industriale, a lato di via Nevatica, sulla strada che da Formignana conduce a Tresigallo, accumulati dalla società “Fri-Rec” il cui amministratore (il bondenese Marco Frignani) era finito nei guai per traffico illecito di rifiuti. Il sito è ancora sotto sequestro e l’azienda sta subendo un processo in corso, dopo aver inquinato per anni l’area. L’attività era stata autorizzata proprio dalla Provincia. Altra discarica abbandonata a Lido Spina nel comac-chiese, sulla statale Romea, dove un’impresa che faceva selezione di materiali per cartiere, dopo essere fallita, ha lasciato il deposito in cui operava zeppo di rifiuti. Il percorso di bonifica ha sempre tardato. Discarica abusiva ad Aguscello (frazione di Ferrara), in un’area in via Prato delle Donne utilizzata come deposito per scarti edilizi. L’area era gestita dalla ditta “Ricostruzione Appalti” e faceva capo ai fratelli Lombardo, imputati di illecito ambientale ed edilizio (ma il processo è finito in prescrizione). L’area è tuttora contesa dal Comune e dai Lombardo e le bonifiche non sono mai cominciate. Cumuli di rifiuti, anche pericolosi, come bidoni di oli esausti, eternit, arnesi agricoli, pezzi di autovetture ed altro anche in via Cavo Napoleonico, nei pressi di Ponte Rodoni nel bondenese, all’altezza dell’ex discarica comunale. Questo soltanto per dirne alcune. mentre a Portomaggiore esiste un sito di stoccaggio degli oli da cucina esausti. La falsa alternativa “o inceneritore o discariche” non esiste. Tutte e due le tipologie di impianto sono funzio-nali alla stessa logica: quella di continuare a far soldi con i rifiuti!

Considerazioni sulla produzione di rifiuti:
Evidentemente il problema principale è proprio l’abnorme produzione di rifiuti, urbani e non.
La produzione nazionale di urbani nel 2006 ha subito un ulteriore aumento (+ 2,7 rispetto al 2005), arrivando a raggiungere una quantità complessiva di 32,5 milioni di tonnellate e nel 2007 non siamo stati messi meglio. La produzione annuale di RSU dell’Emilia-Romagna è invece di 2.891.000 tonnellate (2006), con una crescita media annuale del 2,8% (mentre la produzione di rifiuti speciali è addirittura aumentata del 7%).
Per quanto riguarda la produzione nazionale pro capite (la produzione, cioè, di ciascun cittadino) questa è pari a 563 kg e la gestione del pattume costa mediamente ad ogni persona circa 123 euro all’anno. La provincia di Fe ma anche la stessa Regione Emilia-Romagna hanno una produzione di rifiuti annuale pro capite nettamente superiore alla media nazionale. La Toscana, con ben 704 chili di immondizia prodotta, ha il primato negativo ma è subito seguita dall’Emilia Romagna. In un anno ogni emiliano produce 677 chili di rifiuti mentre Ferrara ha un rapporto rifiuti pro capite più alto anche rispetto grandi città come Milano o Venezia, il che fa pensare che i dati sulla produzione di rifiuti di questi anni siano stati “casualmente” ritoccati al rialzo. Gli analisti spiegano questo dato come un effetto del benessere della regione (ad un tenore di vita elevato corrisponde una maggior predisposizione delle famiglie al consumo e pertanto alla produzione di rifiuti) ma dicono anche che il risultato è dovuto alle alte percentuali dei rifiuti prodotti dalle attività commerciali ed artigianali e dalle piccole imprese, i cosiddetti “rifiuti assimilati” agli urbani che rappresenterebbero nientemeno che il 50% dell’intera produzione di RSU.
A fronte di questi dati, la raccolta differenziata dei rifiuti urbani in Emilia-Romagna è attorno al 31%, in Italia si ferma appena al 25%, mentre per Ferrara abbiamo già detto come stanno le cose.
E pensare che l’obiettivo minimo per la raccolta differenziata in Italia indicato dal decreto Ronchi per il 2003 era il 35%, cifra che tuttora non è stata raggiunta dopo ben 11 anni da quando è stato varato!!
Una considerazione che comunque va fatta è che appare quantomeno semplicistico continuare a credere che il riciclaggio dei rifiuti, anche se è vero che si può attuare fino al 90%, possa rappresentare la panacea di tutti i problemi. Produrre una bottiglia di vetro od una cassetta di plastica, per esempio, per poi distruggerla subito dopo il primo impiego e quindi ricostruirla nuovamente è un’idiozia!
L’immondizia nelle strade della Campania, emblematico in tal senso, non sta ad indicare solamente una cattiva gestione del ciclo dei rifiuti – sicuramente vera – ma è anche la dimostrazione di quale mondo sia quello in cui viviamo, sommerso dagli scarti che produce e dai veleni che riversa, inadeguato nel risolvere i problemi che esso stesso concretizza.

Risolvere i problemi:
Da più parti l’incenerimento viene indicato come la risposta all’annosa questione dei rifiuti.
Gli inceneritori sono classificati come “industrie insalubri di classe 1” secondo l’art 216 del testo unico delle leggi sanitarie G.U. N°220 del 20/9/1994. Delle oltre 250 sostanze emesse dagli inceneritori soltanto una ventina vengono tenute normalmente sotto monitoraggio, inoltre diossine, PCB (Policlorobifenili) e Idrocarburi Policlinici Aromatici si accumulano nel tempo nell’organismo, rendendo inutili i limiti di legge per questi inquinanti. Oltre a ciò questi impianti emettono anche polveri ultrafini, che non vengono rilevate dagli attuali sistemi di monitoraggio e nemmeno sono contemplate dai limiti di legge. Se alcuni sintomi tipici e malattie peculiari dell’era industriale, come asma (soprattutto infantile), problemi polmonari e deficit respiratori, sono in continuo aumento, sarebbe più che logico aspettarsi una decrescita a tutti i livelli, una deindustrializzazione anche abbastanza rapida, dato il grado di degenerazione che ci troviamo innanzi. Invece questi impianti non solo continuano ad essere costruiti ma ricevono anche dei finanziamenti pubblici (finanziamenti agli inceneritori = delibera del CIP (Comitato Interministeriale Prezzi) 29/4/92; D.L. Bersani – Ronchi dell’11/11/99; D.L. N° 387 del 29/12/03. Sulla bolletta la voce “costruzione impianti fonti rinnovabili” è la più corposa, circa il 7% dell’importo della bolletta. L’80% viene destinato ad impianti a Biomasse ed Inceneritori che corrisponde a più di 1.100.000 euro all’anno. In Italia, addirittura sostanze classificate come nocive sono state considerate fonti assimilate da combustione e beneficiano anch’esse degli stessi incentivi, che superano i due milioni di euro/anno).
Sappiamo che l’incenerimento non potrà mai essere di aiuto perché i rifiuti bruciati divengono per un terzo ceneri e scorie tossiche che necessitano di apposite e costosissime discariche speciali e quindi spostano sol-tanto il problema (Sembra che le ceneri dell’impianto di Ferrara finiranno a Modena, quindi le scelte ferraresi ricadranno anche su altre province).
“Gli inceneritori producono emissioni ed immissioni nocive per la salute sia a breve che a lungo termine, tramite l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e attraverso quest’ultimo della catena alimentare, degli alimenti e della specie umana”. Lo dice la stessa ASL nel parere per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’impianto ferrarese (e lo abbiamo potuto vedere con il caso delle mozzarelle campane alla Diossi-na) ma le amministrazioni comunale e provinciale non ne hanno minimamente tenuto conto. La stessa Hera, nella richiesta dell’AIA, ammette candidamente che “le sostanze inquinanti emesse (sottoforma di gas e pol-veri) da un impianto di incenerimento si diffondono inevitabilmente nell’ambiente circostante. Il problema non è circoscrivibile all’area attigua all’impianto, in quanto le particelle solide, i composti organici volatili e semivolatili (come Diossine e PCB) possono essere trasportati per mezzo di correnti anche a notevoli distanze dalla fonte di emissione” e continua “occorre considerare che, in questo territorio, il sistema naturale è sottoposto a pesante stress da parte dell’intero sistema industriale e da quello urbano”. È perfettamente vero. Lo sanno ma non gliene frega nulla, tanto il sistema naturale è già compromesso, tanto vale… vGli inceneritori operano costantemente per 24 ore al giorno nell’arco di un intero anno, ad eccezione dei momenti dedicati alle attività di manutenzione. In questo modo ogni inceneritore comporta l’immissione in atmosfera di milioni di metri cubi di fumi tossici al giorno comprendendo composti organici del cloro (diossine, furani, PCB – policlorobifenili), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili), metalli (piombo, cadmio, nichel, mercurio…), acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo ed ossidi di carbonio. Molti di queste sostanze si disperdono nell’aria assieme alle polveri e alle ceneri volatili, perché non trattenute dai sistemi di filtraggio. Per quanto moderni i filtri montati ai camini degli inceneritori, infatti, non possono trattenere tutte le sostanze presenti nelle emissioni. La maggior parte degli inquinanti emessi pone problemi anche a basse concentrazioni, la loro resistenza alla degradazione naturale ne determina un graduale e progressivo accumulo nell’ambiente. Parlare di incenerimento dei rifiuti come una risorsa non ha evidentemente alcun senso. Nonostante i divieti di circolazione e le giornate senz’auto i valori degli inquinanti continuano a salire.
Gli sforamenti nel 2007 hanno raggiunto, in quasi tutte le centraline, quote attorno ai 90 sforamenti, eppure sembra che questi progetti non possano essere messi in discussione, pena l’etichettatura di “retrogradi” e “nemico dello sviluppo”. Dal 2010 l’Italia dovrà attenersi alla normativa europea che pone un tetto limite di 20 microgrammi per metro cubo e non di 50mg come a-desso, per le polveri. Ferrara non riesce già oggi a ri-spettare i limiti, figuriamoci domani, quando inceneritore e turbogas ma anche tutta una serie di altri impianti e strutture che stanno sorgendo in città e in provincia saranno attivi. Noi poi, spingendoci oltre, non ci accontentiamo di qualche forzoso limite di legge, frutto di compromessi tra istituzioni ed industriali ma ci ostiniamo vivacemente a volere un mondo senza più veleni, nemmeno dispensati in piccole dosi. È questo essere “nemici dello sviluppo”? Occorrerebbe prima dichiarare di quale sviluppo si sta parlando!
Con l’inceneritore ampliato le concentrazioni massime aumenteranno: diossina e furani di 100 volte; i metalli pesanti di 66 volte; le polveri totali sostanzialmente invariate ma soltanto perché le polveri minori di Pm10, come detto, non sono contemplate.
Eppure ci avevano assicurato che l’inquinamento non sarebbe aumentato! Allora che facciamo, continuiamo ad indignarci ogni qual volta veniamo presi per i fondelli per poi scordarcene subito dopo quando andiamo a votare, turandoci il naso? Ha ancora senso, se mai ne ha avuto, questo rituale da gregge pronto alla tosa?
Eppure la gente continua ad affidarsi a chi ogni giorno li sfrutta e li avvelena ed in più li cerca di convincere del contrario. A Ferrara l’azienda Hera ha chiesto di togliere i pur minimi vincoli ambientali all’impianto di cui è proprietaria, quantificando i danni che ne deriverebbero in 26 milioni di euro l’anno e la Provincia che fa? An-ticipa i tempi ed accontenta Hera, modificando l’AIA e correggendo i parametri in senso condiscendente ed in base alle autocertificazioni della stessa azienda. E poi c’è chi dice che il potere politico non è funzionale a mantenere il privilegio economico! È questo lo sviluppo sostenibile? Ci pare il caso di non sostenerlo.
È il caso di riflettere su questo atteggiamento e sulle proprie responsabilità.
Se invece di prestare orecchio alle lusinghe dei politici o accomodarsi sulle poltrone dei consigli consultivi delle comunità locali, gli individui cercassero di vivere senza di questi allora potrebbero arrivare ad una semplice verità: le discariche producono percolato e biogas nocivi e pericolosi; gli inceneritori producono ceneri e gas tossici e pericolosi; non si tratta di scegliere tra due mali, la soluzione del problema dei rifiuti non è come smaltirli ma come fare a non produrne.

“GRUPPO DI STUDIO CONTRO OGNI NOCIVITÀ”

GLI IMPIANTI DELL’EMILIA-ROMAGNA:
1) 29 discariche
2) 8 inceneritori (ed un nono in costruzione a Parma)
3) 12 impianti di trattamento meccanico biologico aerobico
4) 19 (+ 4 di piccola taglia) impianti di compostaggio di rifiuti selezionati

*1) rifiuti smaltiti annui totali: 1.775.000, sia dal circuito urbano che dopo aver subito un pretrattamento.
*2) rifiuti smaltiti annui totali : capacità autorizzata 818.000, rifiuti effettivamente trattati 726.000 di cui l’81% rifiuti urbani, l’11% rifiuti speciali, l’1% rifiuti sanitari, l’1% pericolosi, il 6% da CDR (combustibile derivato da rifiuti).
*3) rifiuti trattati annui totali: 767.000 . Inertizzazione dei rifiuti urbani e speciali.
*4) rifiuti trattati annui totali: 343.000. trattamento della frazione verde (42%), dell’umido (36%) e dei fanghi (4%). La potenzialità di questi impianti è sfruttata solo per il 67%.

– Rifiuti Speciali: in questa categoria vengono compresi i più svariati tipi di rifiuti, dagli scarti edili ai veicoli, dai sanitari agli scavi…sono 10 milioni e mezzo le tonnellate prodotte ogni anno ma è una cifra sottostimata per l’esenzione dall’obbligo di denuncia di cui gode un certo numero di queste categorie.
– Rifiuti Pericolosi: provenienti da pubblica amministrazione, sanità, industria, raffinerie. 732.000 le tonnellate annue prodotte.
8 milioni di tonnellate è invece la produzione di rifiuti non pericolosi relativi al trattamento delle acque di scarico, dalle industrie alimentari, di quelle minerali non metallifere.
La raccolta differenziata annua regionale si aggira sul 36%.
La destinazione finale dei rifiuti vede accrescere la quota destinata all’incenerimento (31%).

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“Il Grido delle Ninfee” num 6 – L’emergenza rifiuti

Di seguito la versione testuale. Scarica la versione opuscolo Grido_Delle_Ninfee_6

 

N°6-MARZO 2008
Numero speciale: “EMERGENZA” RIFIUTI

il termovalorizzatore, gli impianti e le discariche non sono un problema neanche nel cuore di una città” parola di Bassolino!

UN’EMERGENZA CHE DURA 14 ANNI!
Il problema della cosiddetta “emergenza” campana ha tenuto banco in questi ultimi mesi, giornali e televisioni hanno aumentato le loro tirature dibattendo su quale fosse la causa di tale immane incuria, dimenticandosi di dire agli spettatori che i rifiuti in strada, a Napoli ed in tutta la Campania, non è da ieri che si vedono e neanche dall’altrieri ma da ben 14 anni e cioè dall’11 febbraio ’94, quando si instaurò il primo Commissario straordinario, che allora era Umberto Improta, ex Prefetto di Napoli. In Campania la svolta nella gestione dei rifiuti doveva avvenire da quell’anno; dopo 14 anni la raccolta differenziata è rimasta una delle più basse d’Italia (la regione si attesta sull’10,6% di differenziata a fronte di una produzione annua di rifiuti di 2.806.113 tonnellate/anno, 485 kg la produzione media pro capite. La città di Napoli addirittura si ferma all’8%); di riuso, riciclaggio e compostaggio nemmeno a parlarne;(…);le discariche vengono chiuse, riaperte, sequestrate e riutilizzate ancora più e più volte mentre l’inquinamento dei terreni mostra una situazione disastrosa. I conferimenti di rifiuti speciali e pericolosi dal Nord sono continuati in tutti questi anni, da parte della mafia e delle imprese e con la connivenza degli amministratori, che con la mafia hanno sempre fatto buoni affari, al Sud come al Nord, mafiosi loro stessi. In tutti questi anni l’unica cosa che hanno saputo fare i commissari è stato aumentarsi lo stipendio (questo sì straordinario) e mettere qualche migliaia di tonnellate di monnezza sui treni con destinazione qualche altro paese, magari più povero del nostro sud, come la Romania, dove il costo dello smaltimento in discarica è fra i più bassi d’Europa o verso qualcuno più ricco, come la Germania, che ringrazia per il dono ricevuto ma fino ad un certo punto, visto che si è offerta di costruire un inceneritore proprio a Napoli, tentando di guadagnare comunque, senza inquinare il proprio territorio. C’è chi non riuscendo ad inquadrare la situazione non ha saputo far altro che acclamare a gran voce l’avvento degli inceneritori, affinché con la loro fiamma facciano sparire il problema. Ma è un problema, quello dei rifiuti, che non sparisce tanto facilmente. La materia bruciata non svanisce, non si distrugge ma si trasforma, generando una miscela di sostanze inquinanti e residui tossici. È un procedimento base! È una regola della fisica che si impara fin dalla prima elementare. Allora si prova ad invocare il “modello-Brescia” e cioè l’impiego delle migliori tecnologie esistenti sul mercato, così da essere sicuri che l’inquinamento, se pur esistente, sia almeno nei limiti di legge. Ma è una sciocchezza. Una favola. Con le modernissime tecnologie gli inceneritori arrivano a toccare una temperatura di 1200 gradi e di conseguenza le particelle delle polveri emesse sono più piccole ed i filtri ai camini sono meno efficaci nel trattenerle; per quanto moderni i filtri montati ai camini degli inceneritori non possono trattenere tutte le sostanze presenti nelle emissioni. Inoltre più le particelle sono piccole e più facilmente riescono ad entrare nel nostro organismo. Proprio l’inceneritore di Brescia si ritrova con un infrazione a carico emessa dalla Commissione Europea perché le mucche degli allevamenti vicini a questo moderno termovalorizzatore fornivano latte con una concentrazione altissima di Diossina, elemento cancerogeno e mutageno ed una delle più pericolose sostanze fra le oltre 250 emesse dagli inceneritori. La diossina attraverso la catena alimentare si trasferisce all’uomo, attraverso il latte materno al bambino. Nelle gravidanze la diossina causa malformazioni nel feto. La legge, la legge…non ha mai salvato nessuno, la legge, eccetto gli interessi di chi la redige o la commissiona. Purtroppo l’opinione pubblica crede che incenerendo i rifiuti questi spariscano una volta per tutte ma se si sommano le ceneri e le scorie residue e la massa delle emissioni, inclusa la parte gassosa, allora ci si accorge che la quantità totale di ciò che fuoriesce è uguale o addirittura supera la quantità di rifiuti immessi. Le sole ceneri che rimangono equivalgono ad un terzo dei rifiuti inceneriti. Un’emergenza ben strana, dicevamo. Quale “emergenza” dura 14 anni? Se guardiamo al vocabolario, alla voce emergenza, questo indica una condizione momentanea ed imprevedibile. Qui di momentaneo non c’è nulla e di prevedibile tutto. Il problema è che in Campania la raccolta differenziata non è mai stata fatta. Non è vero che non è possibile attuarla dato che molti comuni della stessa regione arrivano a punte d’eccellenza. Il problema è tutto politico o se si vuole economico. Inoltre in Campania, per anni ed anni, sono giunti rifiuti, anche pericolosi, da tutta quanta l’Italia e specialmente dal Nord ed ora le discariche, abusive e legali, ne traboccano e trasudano. A fronte degli impianti di compostaggio fermi, che servirebbero a riciclare la parte di rifiuto “umida” e cioè il problema più immediato, la soluzione è indirizzata verso la costruzione di nuovi inceneritori (d’ora in poi INC) e l’ampliamento di quelli vecchi. L’”emergenza” è dunque tutta una scusa per realizzare nuovi INC e sbloccare quelli al centro di proteste o vicissitudini giudiziarie. Occorre fare un passo indietro. Sul finire degli anni novanta Regione Campania e Commissariato straordinario, senza sapere più dove mettere la spazzatura, decidono di puntare sull’opzione industriale. Milioni di tonnellate di rifiuti finiscono nei 7 impianti di produzione di CDR (Combustibile Da Rifiuti), primo passo prima di finire inceneriti nei tre impianti previsti in regione. Negli impianti di CDR, invece di provvedere alla selezione dei soli rifiuti urbani, cominciò ad affluire praticamente qualsiasi cosa e le ecoballe che ne risultarono non poterono essere smaltite, poiché pericolose. Per questa vicenda il presidente della regione Campania ed ex commissario dal 2000 al 2004 Antonio Bassolino è accusato di concorso in falso, Frode in pubblica fornitura, concorso in truffa aggravata e continuata, concorso in violazione delle normative ambientali, interruzione di pubblico servizio, abuso d’ufficio ed altri reati assieme ad altri 27 imputati tra cui alcuni tecnici che gestirono le emergenze passate e recenti e gli ex vertici Pier Giorgio e Paolo Romiti della Impregilo, multinazionale a cui era affidata la gestione del ciclo dei rifiuti. L’accusa si riferisce agli anni in cui Bassolino era commissario per l’emergenza. Chiuse un occhio. O forse tutti e due. Il processo inizierà il 4 maggio. Nel mirino sette anni di gestione, fino al 2005, quando fu rescisso il contratto con la Fibe, azienda Impregilo che se ne occupava dal 1998. Sotto accusa anche le società coinvolte: oltre alla stessa Impregilo e Fibe, Fisia Italia Impianti, Fibe Campania e Gestione Napoli. L’inchiesta partì nel 2003 grazie ad esposti e nel 2004 tutti gli impianti di CDR furono sequestrati (e successivamente dissequestrati). Bassolino avrebbe consentito che le aziende nascondessero le loro inadempienze con artifizi e raggiri, avrebbe lasciato provocare un danno ambientale con la creazione di discariche stivate con balle di rifiuto secco, falsamente qualificato come CDR con deterioramento di risorse naturali e perché con gli altri sub commissari procurò alle imprese affidatarie del servizio un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nell’assegnare le balle prodotte in Campania presso altri impianti di recupero energetico esistenti. Detta in parole povere, Bassolino e gli altri amministratori coinvolti avrebbero chiuso gli occhi di fronte al fatto che il servizio di Impregilo e delle altre aziende non fosse eseguito come doveva e avrebbero assecondato le stesse aprendo siti ed impianti di CDR non in regola, creando inoltre un grave danno ambientale. Questo, tra l’altro, ha creato i presupposti per l’”emergenza”, con tonnellate di rifiuti CDR “irregolari” che non possono essere smaltiti. L’emergenza nelle strade sarebbe, quindi, stata appositamente provocata dalle stesse società per fare pressione sul commissario per fare aprire nuovi siti, riaprire le discariche chiuse per motivi ambientali e costruire gli inceneritori senza passare per le procedure di rito, visto che i poteri speciali per l’emergenza lo consentono. È di questi giorni la notizia che quella silhouette di Romano Prrrrodi, agli ultimi giorni di governo, ha firmato l’ordinanza che dà il via libera per bruciare le ecoballe non a norma nell’INC di Acerra (Napoli), nonostante in quei pacchi siano finiti pile, farmaci, copertoni, rifiuti speciali ed industriali. È un doppio regalo all’Impregilo, il cui rinvio a giudizio verte proprio sulla truffa del CDR, nonché alle multinazionali con le quali si sta trattando per la gestione dell’INC di Acerra ( Veolia, colosso francese delle multi-utilities e la lombarda A2A, nata dalla fusione delle ex municipalizzate milanesi Amsa e Aem e della bresciana Asm, nonché primo operatore nazionale per il trattamento dei rifiuti). Questa notizia arriva dopo che il 31 gennaio scorso la gara d’appalto per la gestione dell’INC di Acerra era andata deserta. Il ritiro delle società Veolia e A2A dalla gara che avrebbe aggiudicato la gestione dell’impianto di Acerra, tolta all’Impregilo, riguarda il contributo CIP6. Il CIP6 è un meccanismo truffa che esiste solo in Italia. In pratica il Combustibile Da Rifiuti viene assimilato alle fonti alternative e gli inceneritori ricevono illegittimamente questi fondi, che ognuno paga con un 7% sulla bolletta della luce. La finanziaria approvata mesi indietro dal governo aveva deciso di non concedere più questi fondi agli inceneritori e per questo motivo le società (e le banche che sostengono i loro investimenti) avevano ritirato la loro candidatura, giudicando l’investimento non più remunerativo. Il dimissionario governo Prodi, il 27 febbraio, ha quindi deciso, con un colpo di spugna su una sua stessa legge, di reintrodurre ,assieme ad un ulteriore finanziamento di 80 milioni di euro per l’emergenza campana, anche i contestati contributi CIP6 per i tre impianti che saranno realizzati in Campania (oltre a quello di Acerra anche i due di Salerno e Santa Maria la Fossa), anche se i finanziamenti avrebbero dovuto interessare solamente gli impianti già autorizzati. Quello di Acerra avrebbe potuto goderne a patto che il beneficiario fosse stato il primo vincitore della gara e cioè Impregilo. Ma sia per S.Maria la Fossa, non ancora avviato, sia soprattutto per quello di Salerno, entrato ufficialmente nel novero di quelli che devono essere costruiti solamente durante l’”emergenza”, la legge non prevedeva questi contributi pubblici. Un chiaro favore alle aziende. Un altro esempio di come le leggi per coloro che le promulgano possono essere fatte e disfatte a piacimento (ci chiediamo perché se i padroni infrangono le loro leggi così spudoratamente i loro sottoposti tardino a fare altrettanto!). Ricordiamo che oltre ai CIP6 gli inceneritori, gli impianti a biomasse e gli impianti di combustione di scarti di raffineria godono anche dell’incentivazione fornita dai Certificati Verdi, introdotti dal decreto di liberalizzazione del settore elettrico noto come Decreto Bersani ed emessi dal gestore della Rete Elettrica nazionale. Si tratta in pratica di agevolazioni di mercato che consentono di vendere l’energia prodotta ad un prezzo maggiorato (circa 3 volte il prezzo di mercato) e quindi con maggiori margini di profitto. Tanto per non farsi mancare niente, inoltre, per chi gestirà l’impianto di Acerra in arrivo anche la possibilità di avere il carburante gratis.

LA MUNNEZZA È ORO!

Nasce un nuovo termine: ecomafie

Con un “giro bolla” truccato si può certificare con un falso di aver regolarmente smaltito milioni di tonnellate di rifiuti, scaricando così a costi irrisori nei terreni oppure nelle discariche tradizionali. Tanto basta perché una cifra enorme di rifiuti pericolosi finiscano sotto terra, in discariche più o meno legali. Il giro d’affari stimato ogni anno in Italia, proveniente da questo traffico, è di sette miliardi di euro. Tra questi rifiuti, finiti in cave e siti a cielo aperto e le tonnellate di ecoballe irregolari fuoriuscite dagli impianti di CDR è comprensibile come si sia venuta a creare la cosiddetta emergenza campana, che non è certo frutto di un caso ma di una gestione articolata i cui confini tra mafia e stato sono assai labili. Stato e mafia: apparentemente in contrapposizione. Si è sempre detto della mafia che è un antistato ma diversa è la realtà. Stato e mafia compongono le due facce della medesima medaglia, il lato legale e quello illegale. Stessa strategia, svolgono lo stesso compito: procurare benefici ai pochi che detengono una qualche forma di potere a discapito e danno dei molti che ne sono privi. Alcuni dei rifiuti provenienti dal Nord che sono giunti in terra campana in tutti questi anni erano fanghi industriali, scaglie di alluminio e ferro, amianto, traversine ferroviarie, ceneri, idrocarburi, scarti di fonderie e di demolizioni navali, gettati senza alcuna messa in sicurezza di suolo, aria e falde acquifere. Ceneri, fanghi e reflui provenienti da aziende come la Breda Sistemi Industriali, la Recanati, la Montefibre e la Centrale Enel di Fusina. Molti di questi rifiuti sono finiti in processi di lavorazione per essere utilizzati in edilizia, immaginiamo con quale risultato. Le ditte che importavano ed importano i rifiuti hanno quasi tutte sede al Nord, come la Nuova Esa di Marcon, in provincia di Venezia e la Servizi Costieri di Mestre, finite nell’inchiesta “Houdini” del 2001. La Nuova Esa, solamente in un anno preso a campione, avrebbe piazzato oltre venti milioni di chili di rifiuti pericolosi, evadendo le ecotasse ed inquinando mezza Italia. Le discariche della Campania sono risultate tutte inquinate, nessuna esclusa. È logico che, alla pretesa di riaprirle, dopo che proprio l’inquinamento prodotto era stata la causa della loro chiusura o sequestro, la popolazione ha reagito nell’unico modo ad essa congeniale: la lotta dal basso! Ad inizio 2008 è stata confermata la volontà di Governo, enti locali e commissario straordinario di riaprire la discarica di Pianura, alla periferia di Napoli. La discarica di Contrada Pisani a Pianura, ex insediamento abusivo, (90.000 abitanti), chiusa da ben 11 anni (dopo che era stata attiva per 40), immersa in un’oasi naturalistica alla periferia ovest di Napoli, avrebbe dovuto ricevere molte tonnellate di rifiuti delle quasi 170.000 che stavano per le strade della Campania. Nessun controllo sanitario è mai stato fatto a Pianura e non si sa che genere di rifiuti vi siano stati conferiti negli anni. Nes-suna bonifica, anche se sono stati sversati per anni rifiuti tossici e speciali, sia in modo legale che illegale e tra questi anche mille tonnellate di fanghi nocivi. Nella zona sono stati riscontrati diversi casi di malformazioni e malattie respiratorie. Se li ricordano bene, gli abitanti del posto, i camion targati Bergamo, che scaricavano durante la notte. Chiusa con la promessa di farne un campo da golf, avrebbe dovuto riaprire per rimanere aperta fino al 2009, quando entrerà a regime l’inceneritore di Acerra, ora fermo a seguito delle innumerevoli proteste e delle vicende giudiziarie dell’Impregilo.

MA A PIANURA NON C’È VOGLIA DI ASCOLTARE, MEN CHE MENO ALTRE PROMESSE. A PIANURA SI COMINCIA LA LOTTA!
Manifestazioni nel cuore di Napoli, barricate, blocchi stradali, presidi permanenti davanti alle discariche, occupazione di autostrade, tangenziali e binari ferroviari: gli abitanti di Pianura scendono in strada, così come già il 12 maggio 2007 fece la popolazione di Serre (Salerno), il comune poco distante dall’oasi protetta di Persano, invadendo la cava in località Valle della Masseria, individuata come sito di confe-rimento di 700mila tonnellate di rifiuti. A Pianura il presidio si rinforza, cominciano i primi scontri con la polizia mentre interi quartieri rimangono completamente isolati, i giornalisti vengono scacciati dai manifestanti, una pratica che fortunatamente si ripeterà a più riprese nell’arco di quella che si connoterà come una vera rivolta popolare. Il questore di Napoli Oscar Fioriolli ammette di temere il diffondersi di azioni di “guerriglia difficili da controllare”.
Il motto più gettonato è: BLOCCHIAMO TUTTO! Poi, a sorpresa, Il 21 gennaio la procura di Napoli mette i sigilli alla discarica di Pianura, dopo diversi esposti degli abitanti, per disastro ambientale e epidemia colposa. Con il sequestro viene bloccata anche ogni ipotesi di riaprire la discarica. Intanto il Governo, a gennaio, alla presenza dei Ministri di Ambiente, Interno e Difesa, vara il pacchetto di misure: nomina Gianni De Gennaro Commissario Straordinario; predispone la riapertura di 4 discariche ed altri siti di stoccaggio per i rifiuti che, ricordiamo, non sono pretrattati né selezionati; mobilita l’esercito (genio militare) per ripulire le strade; ed indica almeno la realizzazione di 3 inceneritori. Il “superpoliziotto” Gianni De Gennaro, nominato commissario straordinario, è una scelta che mette in evidenza come quello dei rifiuti sia divenuto a tutti gli effetti un problema di ordine pubblico. Ad affiancarlo il generale di Divisione Franco Giannini, con responsabilità operative e logistiche. L’incarico di De Gennaro terminerà il 10 maggio, dopo 120 giorni. Il decreto governativo gli conferisce poteri straordinari. Potrà indicare siti temporanei o meno, anche “in deroga a specifiche disposizioni in materia ambientale, paesaggistica, territoriale, igienico sanitaria, di difesa del suolo” e realizzare due inceneritori (oltre a quello già costruito di Acerra) operando anche “in deroga a valutazioni di impatto ambientale già effettuate”. Ad esempio le analisi dei siti non saranno affidate all’ASL ma a reparti mobili dell’esercito. Oltre a ciò i poteri conferitegli gli consentono anche di affidare i lavori alle ditte senza attendere i tempi delle gare di appalto. Alla conferenza stampa in Prefettura per il suo nuovo incarico, De Gennaro dichiara che il suo compito sarà in continuità con quanto fatto con i suoi predecessori, cioè arraffare soldi per poi andarsene, lasciando una situazione anche peggiore di prima. Gli INC, oltre a quello di Acerra (Napoli), saranno costruiti a Santa Maria La Fossa (Caserta) e Salerno, nella Piana del Sardone, finanziato dalla regione con fondi europei per la bellezza di 75 milioni di euro (L’inaugurazione del cantiere è prevista per il prossimo settembre). Il “Verde” Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’Ambiente, firma il decreto autorizzativo per i nuovi INC. La protesta si estende a tutte le località che ospitano una delle discariche indicate dal go-verno come “siti immediatamente utilizzabili”. Intanto la protesta dilaga e si allarga dalla Campania alla Sardegna. Al porto di Cagliari i manifestanti si organizzano per impedire lo sbarco di tonnellate di rifiuti spediti dalla Campania. La polizia carica il blocco di manifestanti, scene già viste a Pianura. Tra i manifestanti anche alcuni strumentalizzatori con le bandiere dei partiti di destra. Durante la notte un gruppo di anarchici si scontra con alcuni strumentalizzatori fascisti di Azione Giovani, che hanno la peggio. Che pretuncoli, mafiosetti locali, politici, politicanti ed Arrivisti dell’ultimo minuto ab-biano cercato di strumentalizzare la rivolta della popolazione, senza tuttavia riuscirvi, è nella natura di questi pagliacci…basta saperli mandare al diavolo e dargli la lezione che meritano se insistono, come hanno fatto gli anarchici! Intanto la procura di Napoli apre una seconda inchiesta ipotizzando il reato di epidemia colposa mentre il Ministro dell’Interno Amato convoca al Viminale una riunione con il capo della Polizia, il comandante generale dei Carabinieri ed il capo dei Servizi segreti (Aisi) per fare il punto sull’ordine pubblico ed organizza squadre di intervento rapido di polizia e Carabinieri, in grado di spostarsi velocemente e di intervenire in maniera rapida, contro le “bande di teppisti” e i “facinorosi”. Nel frattempo il commissario De Gennaro cerca di riaprire le discariche di Parapoti (Salerno), Me-rigliano(Napoli), Ariano Irpino (Avellino), Villaricca in provincia di Napoli e Trepponti a Montesarchio (Benevento). Non solo, a questi si aggiungeranno i siti di stoccaggio temporanei per ecoballe: ex Manifattura Tabacchi a Napoli (sei capannoni industriali), area adiacente al cdr di Giugliano, Campo Genova di Avellino (ex area utilizzata per i container del terremoto) e Marcianise nel Casertano. In tutti questi luoghi scoppiano nuovi focolai di protesta. Per il momento le altre discariche candidate alla riapertura rimangono in “riserva strategica”, come dice De Gennaro che aggiunge: “nessuna opzione è stata cancellata”. Anche le varie categorie si mobilitano: i lavoratori dei mercatini, gli studenti, le mamme preoccupate per la chiusura delle scuole. La reazione del supercommissario è netta: “le rivolte sono un nonsenso” e a Merigliano, dove un migliaio di manifestanti bloccano il transito dei camion diretti alla discarica, manda i suoi cani da guardia a manganellare i presenti. Il 30 gennaio Bassolino concede a De Gennaro ulteriori finanziamenti.
Ma il 16 febbraio arriva la rettifica: nessuno dei siti individuati in un primo momento dal Commissario Straordinario De Gennaro verrà riaperto. Gli accertamenti tecnici hanno rivelato quello che la gente da sempre ripeteva, ovvero uno stato di degradazione e inquinamento ambientale, Infiltrazioni di percolato, crolli, conferimenti abusivi e fanghi industriali. A questo punto i nuovi siti individuati dovrebbero essere quelli di Serre (Salerno), Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento), Terzigno (Napoli) e Savignano Irpino (Avellino), dove si sono svolte azioni di protesta di cinquemila persone contro la probabile discarica da 700.000 tonnellate di rifiuti e in cui alcuni tecnici Arpa che dovevano eseguire i primi carotaggi, indispensabili per le autorizzazioni, sono stati messi prontamente in fuga e dove la Polizia ha caricato pesantemente e a freddo i manifestanti, attaccandoli brutalmente, colpendo anche un disabile sulla carrozzina. Queste discariche sono senza impiantistica di trattamento del percolato, sostanza estremamente nociva prodotta dalla decomposizione dei rifiuti. Dalle crepe della terra, poi, si levano miasmi di biogas, prodotto dalla fermentazione dei rifiuti.
La Germania si è detta pronta ad aiutare l’Italia ma solo per un periodo limitato e dietro pagamento. Dal 2001 l’azienda Remondis smaltisce parte dei rifiuti campani attraverso un patto con Ecolog (Ferrovie dello Stato) e si è detta disponibile ad aumentare le quantità trattate per un anno a 200.000 tonnellate. In Germania lo smaltimento dei rifiuti attraverso gli inceneritori costa circa 120 euro a tonnellata oltre ai 40 di trasporto su treno. Ogni carico di rifiuti per la Germania costa mezzo milione di euro alla settimana.
Oltre ai tedeschi anno detto sì al conferimento dei rifiuti dalla Campania: Sardegna, Aosta, Lazio, Abruzzo, Marche, Toscana, Emilia Romagna(5.000 ton), Puglia, Piemonte, Molise, Calabriaì e Sicilia. Mentre tra chi ha dichiarato subito No vi sono Veneto e Lombardia. In totale sono state 27.000 le tonnellate “emigrate” in altre regioni. Intanto, in arrivo i fondi stanziati nel programma 2007 – 2013 dall’Europa per migliorare il sistema della gestione dei rifiuti: la Campania potrà utilizzare 330 milioni di euro per ambiente ed energia. La Regione avrà tempo fino al 2015 per spenderli e siamo certi che non perderà tempo nel farli sparire! La Campania ha divorato oltre due miliardi di euro per l’emergenza. Dove sono finiti? E ad oggi i rifiuti per le strade sono diminuiti ma non scomparsi.

L’ALTERNATIVA ALLE DISCARICHE E AGLI INCENERITORI
In Italia la produzione degli scarti urbani continua ad essere in aumento. Anche se la differenziata cresce, questa lo fa solo all’1,6% l’anno contro la media del 3% della crescita della produzione dei rifiuti, che è quasi il doppio. Pare ovvio che senza decrescita della produzione commerciale ed industriale e del consumo pro capite il problema dei rifiuti non sarà mai risolto e le emergenze, questa volta vere e non provocate, si ripeteranno sempre più spesso.
Qualcuno ha detto: “l’emergenza rifiuti ha declassato l’Italia al livello di un paese del terzo mondo”. Forse in questi paesi assistiamo alla miseria prodotta dalle guerre del civile occidente ma nel “terzo mondo” sicuramente non si vedono certi spettacoli. Piuttosto sono i paesi industrializzati del primo mondo e quelli in costante sviluppo del secondo che si dovrebbero preoccupare. Se ad un maggior benessere e cioè ad una maggiore produzione e consumo corrisponde un maggior numero di rifiuti e già adesso siamo messi in questa situazione, stiamo pur certi che domani, se non cambierà qualcosa, sarà anche peggio. Serve allora un’altra consapevolezza, che capisca che rinunciando al “benessere” e al consumismo non abbiamo qualcosa da perdere ma tutto da guadagnare. Le risposte a questo problema non vengono dagli inceneritori, anzi. Questi creeranno solamente i presupposti per un peggioramento del nostro vissuto e della vita di questo pianeta. Sempre più frequentemente in Italia il gestore di impianti di incenerimento assume anche il compito della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Appare evidente che più rifiuti si bruciano e più il gestore guadagna; più si differenzia, al contrario, e meno si brucia: se non si producono rifiuti sufficienti gli inceneritori dovrebbero fermarsi. Cos’è questo se non conflitto di interessi? in Germania, presa spesso come esempio positivo, hanno sì costruito inceneritori ma questi oggi viaggiano al 40% della loro portata dopo le politiche di raccolta differenziata tedesca. Se continuano ad andare è solamente perché acquisiscono spazzatura da ogni parte d’Europa. Tra l’altro in Germania c’è una tassa da pagare per bruciare i rifiuti mentre in Italia gli inceneritori vengono finanziati dallo stato. Alternative all’inceneritore ci sono: prima fra tutte la riduzione di imballaggi e dei contenitori ed il loro riutilizzo. È ora di finirla con la logica dell’usa e getta, volutamente attuata dagli industriali che immettono sul mercato merce scadente e degradabile perché la richiesta di nuove merci non rallenti. Una pratica da ripristinare sarebbe il sistema del vuoto a rendere (non in plastica) per il latte, l’acqua, i succhi, il vino, la birra e così via, cominciando dai settori ad alto consumo, come ristoranti, mense, centri commerciali e distribuzione. È chiaro che questo non sarebbe altro che il primo passo, dato che la stessa distribuzione, attraverso i canali della ristorazione e dei centri commerciali ad esempio, è parte integrante del problema. Un’altra pratica da considerare è quella dell’autocompostaggio domestico, che ognuno può fare senza sforzo e senza particolari doti tecniche. Basta un orto è il gioco è fatto! Bisogna eliminare i cassonetti dell’indifferenziato dalle strade, dove finisce davvero di tutto: finché ci saranno gli amanti delle comodità, questi sceglieranno di buttare lì i loro rifiuti. Certo obbligare la gente ad effettuare la raccolta porta a porta è molto triste: significa che le persone fanno qualcosa soltanto quando vi sono obbligate e questo denota quanta strada rimane ancora da fare per una presa di coscienza collettiva, che forse non ci sarà mai, almeno fino a quando gli individui seguiteranno a delegare le decisioni che riguardano la loro vita a qualcun’altro. Grande spreco viene anche da ristoranti, iper-mercati, mercati, mense per quanto riguarda il cibo. Una ingente quantità viene buttata quando potrebbe benissimo essere recuperata. Non ci sarebbe bisogno nemmeno degli impianti di compostaggio dei rifiuti organici se a loro volta gli alimenti non fossero zeppi di veleni, basterebbe che ognuno lasciasse il suo scarto organico nell’orticello dietro casa, così lo scarto assumerebbe un valore positivo. È privo di senso osservare che ci sono altre fonti di inquinamento di maggior impatto, come il traffico automobilistico, per giustificare la costruzione di un nuovo impianto che produce emissioni che si aggiungeranno a quelle già esistenti. In tutto il mondo negli ultimi 10 anni l’anidride carbonica è aumentata del 20% e di conseguenza è aumentato anche l’effetto serra e l’Italia non sta certo messa bene, tanto che la UE chiede più tagli sulle “nostre” emissioni inquinanti (- 6,3% di anidride carbonica per le emissioni industriali per il 2008 – 2012), per ridurle dalle 209milioni di ton/anno di oggi a 195,8. Comunque sempre troppo poco!!!!!! Si accusa sempre chi lotta per la salute dell’ambiente di essere il partito del NO, e cioè un concentrato di resistenza al progresso. Stanno veramente così le cose? Non è che invece sono altri – imprenditori, amministratori, politici, categorie corporative – ad avere un motivo per dire NO ad ogni cambiamento che li vedrebbe perdere i loro interessi di privilegiati? Non sono proprio costoro a rappresentare la più bieca raffigurazione del conservatorismo? Noi invece vogliamo cambiare rotta, perché la crociera sul Titanic non ci piace. Non vogliamo affondare. Preferiamo abbandonare la nave che affonda, piuttosto, e lasciare i campioni del progresso alla loro sorte, così che possano vedere dove questo li sta conducendo, CI sta conducendo.
Gli inceneritoristi, questi nuovi illuminati, la pensano come l’assessore regionale della Lombardia Massimo Buscemi, che dice: “per noi i rifiuti sono una risorsa e il trend di crescita pro capite non ci spaventa!”, ovvero più rifiuti più guadagno, eccola la loro scienza!! La crescita della raccolta differenziata sarà penalizzata enormemente se la gestione dei rifiuti prenderà la via dell’incenerimento. il risparmio di energia che si ottiene dal riciclare più volte un materiale è superiore all’energia prodotta dalla sua combustione. Bruciare rifiuti è uno spreco di risorse se confrontato con riutilizzo e riciclaggio dei materiali che consentono un risparmio di energia fino a cinque volte maggiore rispetto al loro incenerimento. La plastica, per il suo elevato potere calorifico e per lo scarso valore dei prodotti in plastica riciclata (un materiale plastico riciclato può essere utilizzato solo una volta ed esclusivamente in applicazioni minori), è l’unica merce la cui combustione è più vantaggiosa del riciclaggio. Ecco perché siamo inesorabilmente contro la produzione di questa materia, che in questi ultimi decenni ha subito un vero e proprio boom. L’uomo ha vissuto per millenni senza la plastica e non aveva motivo di sentirne l’esigenza. Le lobby del petrolio e della chimica hanno imposto la plastica a livello mondiale ed ora stiamo soffocando sotto montagne di questa roba. il petrolio si sta esaurendo e la responsabilità non è soltanto dell’utilizzo come combustibile di questa sostanza organica ma anche della produzione di quella merce moderna per antonomasia chiamata plastica. Se ne produce così tanta che ad 800 miglia a nord delle Hawaii, per il gioco delle correnti, si è formata un’enorme discarica galleggiante di plastica proveniente praticamente da tutto il mondo, così grande che qualcuno lo considera il settimo continente della Terra, distribuito su una superficie ampia due volte lo stato del Texas e in espansione. La causa è l’uomo, che produce ed immette quantità di materiali non biodegradabili oltre ogni limite che il buon senso suggerisca. Secondo le stime più recenti, fatte da chi la osserva e la studia, peserebbe approssimativamente 3,5 milioni di tonnellate, con una densità di 3,34 milioni di oggetti di piccole dimensioni per chilometro quadrato, di cui l’80 per cento è plastica. Nel giro di pochi anni raggiungerà un’estensione confrontabile con quella dell’Africa. Nel mondo qualcosa si sta muovendo. La Cina metterà al bando la produzione dei sacchetti di plastica dal primo giugno 2008: il più grosso produttore cinese si sacchetti in plastica dovrà chiudere i battenti. La Suiping Huaqiang Plastic, società statale di Canton, produceva 250mila tonnellate di sacchetti all’anno. Grazie al boom dei consumi i cinesi erano arrivati a utilizzare 3 miliardi di sacchetti al giorno, quasi 37 milioni di barili di petrolio l’anno!! Inghilterra, New York e zone del Canada stanno facendo lo stesso. Inoltre, fino a quando l’incenerimento dei rifiuti sarà considerato una soluzione alla crisi propria del mondo attuale civilizzato, la progettazione e la produzione industriale continuerà a sfornare sempre più merci e prodotti senza curarsi se queste contengono o meno veleni e nocività, con la conseguenza che il nostro modello di vita, difeso dai più con ignoranza feroce, sarà responsabile della nostra caduta verso l’abisso. O forse no, forse c’è ancora di peggio. Forse ci abitueremo a vivere in città maleodoranti dal cielo sempre grigio, con le mascherine calate sulle bocche a celare una smorfia di tristezza o faremo la spola all’ospedale, dove ci cureranno con tutte le premure dalle malattie generate dalle stesse multinazionali farmaceutiche fornenti i rimedi. Quando l’indignazione sarà troppo grande da sostenere non avremo paura, ci verrà in aiuto lo psichiatra con le sue pillole od una nuova formazione politica si incaricherà di rendere più spensierata la nostra miseria sociale ed ambientale. L’effetto sarà lo stesso! La questione dei rifiuti campani è già entrata in campagna elettorale. I politici si riempiranno la bocca di vacue promesse mentre gli accordi con le aziende e la finanza avverranno sotto banco e ancora una volta li staremo ad ascoltare, forse. Forse vivremo come uccelli in gabbia e ci accontenteremo di una manciata di briciole di pane. Forse ci scopriremo troppo pigri per alzarci dal divano per cambiare canale o per lottare per le nostre idee. All’affacciarsi di un pensiero critico pigeremo il telecomando! Forse ci abitueremo alle Nocività e ci diremo d’accordo con chi non ne fa un dramma perché, alla fin fine, valuteremo che è meglio sopravvivere in condizione di rassegnata tranquillità che battersi per un mondo di incognite che non riusciremo più nemmeno a sognare. Forse ci abitueremo a vivere alla giornata, accettando quello che ci viene imposto, perdendo per sempre quello che vorremmo. forse…forse ci siamo già abituati.

Non ci resta che riprendere e fare nostro il grido di battaglia della gente della Campania: “Se lo stato vuole la guerra che guerra sia!”

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“Il Grido delle Ninfee” num. 5,5 – Democrazia partecipata?

Di seguito la versione testuale. Scarica la versione opuscolo Grido_Delle_Ninfee_5,5

 

N°5,5 GENNAIO-FEBBRAIO 2008
Numero speciale: democrazia partecipata?
NO grazie! Noi non partecipiamo!

LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

UN MOVIMENTO IN BILICO TRA AUTORGANIZZAZIONE E PROPOSITI DI RINNOVAMENTO DELLA CLASSE POLITICA. COMITATI DI LOTTA POPOLARE: L’AUTOGESTIONE ANARCHICA E LIBERTARIA COME POSSIBILITÀ DI RESISTENZA ALLE DERIVE LEGALITARIE.

In questi anni si è potuto assistere ad un fiorire ininterrotto di comitati e reti che si oppongono a questo o quel progetto percepito come nocivo; un esempio su tutti il movimento NO-TAV, la cui progressione di lotte autonome ed autorganizzate ha – ad altre persone e gruppi sparsi sul territorio – suggerito le modalità con le quali opporsi concretamente ai disegni calati dall’alto di uno Stato (e quale Stato non lo è?) inequivocabilmente garante degli interessi del capitalismo internazionale. Usiamo questa parola – nocività – non a caso, dato che riesce ad includere un’ampia serie, eterogenea ma certamente collegata, di strutture ed impianti – nonché di organizzazione sociale – che col loro solo accennarsi portano ad una modificazione in negativo e ad una mortificazione (nel vero senso etimologico del termine) dell’ambiente e delle specie organiche, inclusa quella umana, che vi vivono. Dato che l’ecologia non è altro che lo studio che si interessa delle interazioni tra ambiente fisico e specie che, appunto, vi vivono e che una massima del pensiero anarchico dichiara che “ogni individuo è il frutto dei condizionamenti dell’ambiente in cui è nato, vive e matura” molti anarchici hanno aderito istintivamente ai movimenti che si occupano proprio di queste interazioni portando, dovunque questi anarchici andassero, la loro critica ed il loro contributo, cercando di radicalizzarli il più possibile. Il contatto tra gli anarchici e alcuni comitati verte principalmente su di un aspetto essenziale che entrambi hanno scelto come principio e metodo di lotta: l’autorganizzazione dal basso. Ma se i primi scelgono l’autogestione come rifiuto di riconoscere una qualche legittimità alle sovrastrutture istituzionali e come modello di intervento per realizzare la loro pratica libertaria nel presente, i secondi, il più delle volte, la abbracciano soltanto come mezzo di pressione sui governi o sulle amministrazioni locali perché questi abbiano un indirizzo più “accorto”. Questo aspetto non affatto trascurabile, perché segna il solco tra anarchici e “cittadinisti”. Mentre gli anarchici, consapevolmente, agiscono per abbattere, assieme alle nocività, la Nocività più grande che le contiene tutte e cioè il sistema economico e sociale di produzione ed accumulazione delle merci e le sue appendici politiche (Stato, governo, amministrazioni, enti locali, potere giudiziario, polizia), i “cittadinisti” non vogliono che una cosa: la democrazia partecipata. Le lotte dei comitati hanno carattere rivendicativo e parziale (richieste di “buon senso” agli amministratori; dialogo con le istituzioni; preoccupazione di dimostrare di essere interlocutori credibili; petizioni e raccolta firme; desiderio di sedersi al tavolo della concertazione e dei compromessi…), è altresì verace che la pressione costante verso l’autorità istituzionale sovente non è più mediata dall’interposizione di organi esterni alle lotte stesse, come partiti e sindacati, che quando se ne interessano non possono fare altro che strumentalizzarle per i propri fini. Questo è importante, non può essere ignorato. Ma la pressione verso le istituzioni denota soltanto il desiderio di essere ascoltati da queste, quando invece meriterebbero di essere date alle fiamme! Serve un altro passo! Serve essere contro le istituzioni! Quando la percezione di parlare al vento sarà totale? Quando si converrà che non vi è schieramento e mai vi sarà in tutta la politica di Palazzo disposto a dare un qualsiasi appoggio che non sia strumentale o di facciata? E del resto, chi lo vuole un appoggio da certa gente? Solo quando si capirà che le lotte dei vari comitati bastano a se stesse, perché riportano al centro dell’attenzione la dimensione autogestionaria, le stesse potranno essere decisamente radicalizzate; intanto le lotte, parziali fin quanto si vuole, rappresentano un momento di reale messa in discussione dell’autorità dell’istituzione-Stato e quindi realizzano spazi di intervento per la pratica di autogestione antiautoritaria tanto cara agli anarchici e ai sovversivi.

È indubbio che, quando ci si rende conto di non essere ascoltati, o si urla più forte o si tace. Chi tace sembra essersi rassegnato all’inevitabile mentre chi urla molte volte denota solamente una inclinazione a farsi potenziale interlocutore di qualcuno che non lo ascolta, se non perché vi è costretto. Beppe Grillo urla più forte di tutti e la gente lo acclama, come succedeva ai tempi di Hitler e Mussolini. È la psicologia di massa del fascismo, la stessa di allora che è valida ancora oggi. A volte invece tacere può significare anche agire, perché il tempo della parola è già passato. Si pensa generalmente che la sovraesposizione mediatica delle idee possa assicurare le simpatie dell’opinione pubblica. Bene, è vero anche il contrario! L’esposizione mediatica parecchie volte aliena la simpatia ed anche l’interesse della gente (nel duplice ruolo di corpo spettatore e corpo critico) per un semplice motivo: le informazioni sono inserite in un contesto in cui la persona viene lasciata totalmente in balia di una mole gigantesca di notizie contrastanti (fenomeno del disorientamento) nelle quali, quasi sempre, i denigratori delle lotte radicali ottengono il maggior risalto con il minimo sforzo. Il perché mi sembra inutile ricordarlo, visto che i quotidiani ed i telegiornali “democratici” (in cui tutti possono dire la loro, ovviamente solo se le loro opinioni sono “vendibili”, valgono cioè nella misura della loro spettacolarizzazione, mercificazione e commercializzazione) non sono proprio quello strumento di divulgazione disinteressata e neutra che alcuni si aspetterebbero. Molte volte l’azione basta a se stessa, inducendo con l’esempio l’opinione pubblica a riflettere. Quello di cui non abbiamo bisogno sono gli autoeletti referenti che parlano a nome di un non meglio precisato movimento: proprio perché il movimento dei comitati è composito, variegato ed eterodosso non può parlare con voce univoca, chi lo fa in sua vece o è in malafede o eccede di protagonismo oppure, come detto, si candida a divenire interlocutore accreditato dal sistema. L’unica espressione comune con cui il movimento si deve fare udire è il fragore delle iniziative pratiche contro la società delle Nocività e delle merci, cercando di mantenersi su di un terreno difficilmente riscattabile e negoziabile dai recuperatori politici. L’unico patto con le istituzioni è quello di non venire a patti!

Da un po’ di tempo a queste parti sembra che anche in casa dei comitati ambientalisti italiani, dopo quelli francesi degli anni precedenti (come scordarsi il “contadino-allevatore” Bovè e la sua mucca, che veniva esibita ad ogni manifestazione!), tiri aria di cambiamenti e la metamorfosi di alcuni “portavoce” – e degli umili lustrascarpe di questi – in navigati politicanti, ci porta alla deduzione che il vento nuovo puzza in realtà di vecchio. Siamo alle solite! Sembra proprio che ogni qual volta comincia a formarsi un movimento di una qualche rilevanza numerica ci sia sempre qualcuno con l’idea fissa di strumentalizzarlo a suo vantaggio. Ed eccone mirabili esempi: quella sagoma di Beppe Grillo – nel senso proprio della figura simulacro – nuovo paladino della causa a quanto sembra, si è scagliato in affermazioni roboanti in cui trapela tutta la smania per quel potere che afferma, a parole, di odiare (oltre ad essersela presa coi Rom, sport nazionale!). Dal principio ha lanciato l’idea delle liste civiche che, a suo dire, devono concorrere alle elezioni amministrative in ogni città. Il suo ruolo, in un primo momento, sembrava dovesse essere quello del modesto direttore dell’orchestra. Avrebbe dovuto limitarsi a dare patenti: la sua personale “approvazione” da dietro le quinte ed un “bollino di garanzia” per ogni lista che porterà il suo nome. Molto originale, davvero. Peccato che non capiamo dove stia la novità! Liste civiche ce ne sono a centinaia e non ci sembra che portando un logo con la faccia di Grillo queste offrano maggiori garanzie di altre. Ora sembra che, dopo che gli hanno detto che i sondaggi danno una sua ipotetica lista tra il 7 ed il 17%, ci abbia ripensato: mi candido! Altri comitati si stanno preoccupando di far sottoscrivere ai cittadini una serie di dichiarazioni scritte su cosa vorrebbero o si aspetterebbero dai nuovi governanti locali ed una volta terminato il sondaggio, questo verrà sottoposto a tutte le forze politiche che concorreranno alle elezioni comunali, offrendo magari voti in cambio di promesse. Anche qui, ci complimentiamo per l’ingegnosità messa in campo ma ci tocca fare la stessa domanda: dove sta la novità? Non certo nella capacità dei politici di far promesse e non mantenerle! Altri ancora, a seguito della celebrità raggiunta – popolarità quasi sempre guadagnata con l’esposizione mediatica di cui parlavamo sopra – stanno cercando di accreditarsi come univoci rappresentanti del movimento e saltano già fuori le prime ipotesi di “Liste civiche”, apparentamenti, scese in campo ed altre stronzate. Com’è facile indovinare, questi personaggi si accaseranno in una delle nasciture liste civiche, dove svolgeranno ruoli di primi attori o, alla meno peggio, busseranno alle porte di qualche partito, per ottenere almeno una carica (strapagata!) da consigliere. Per non parlare dei tanti che nei partiti già ci stanno, per cui tentano di tirare per la giacca il movimento, chi da una parte chi da un’altra, assicurando che il loro è sempre stato il partito che più si è distinto nella difesa della Salute, dell’Ambiente e via dicendo. Non so chi di costoro ci faccia più schifo! Sappiamo bene che, quando si è trattato di scegliere tra salvaguardia della Terra e della vita e difesa degli interessi economici e politici, ogni partito si è schierato dalla parte di questi ultimi e lo ha fatto senza alcuna vergogna. Tutte le leggi fatte negli ultimi anni – basta ricordare il decreto “sblocca-centrali” emanato dalla destra e gli sgravi fiscali alle imprese elargiti dalla sinistra, od ancora l’imbroglio dei cip-6 e dei certificati verdi che regalano cospicui fondi per le fonti di energia rinnovabili anche ad inceneritori e megacentrali elettriche e i continui incarichi di amministratori e politici nei direttivi di aziende quotate in borsa e che gestiscono impianti nocivi – tutte queste leggi ci dicono che, in fatto di corruzione e depravazione politica, ogni schieramento ha fatto e continua a fare la sua parte, senza nessuna eccezione ed, anzi, corruzione e depravazione non sono già un’anomalia di percorso ma la norma di un sistema nefasto fondato sul primato dell’economia sul benessere sociale ed ambientale. Anche le liste civiche, a pieno diritto, fanno parte della galassia di formazioni che tengono in piedi questo sistema e se conveniamo che il sistema è nefasto e nocivo, il concorso con questo è quantomeno ingenuo, oltre che – per come la vediamo noi – delittuoso. Se poi qualcuno, al vertice dell’idiozia, tenta addirittura di compiere il salto fatale della Lista Civica Nazionale – e cioè un giro di parole per camuffare la formazione dell’ennesimo partito politico – allora la nostra non è soltanto psicosi paranoide ma sta effettivamente accadendo una strumentalizzazione dei comitati di lotta popolare, strumentalizzazione che, purtroppo, molto spesso proviene dall’interno dei comitati stessi e dalla loro insulsa mania di ricercare del buono nel sistema attuale.

Per farla finita con il mondo della rappresentanza politica!

Gli ambientalisti “professionali” ci mostrano ancora una volta il loro lato “cittadinista” e populista. Ci riferiamo ad una lettera della dirigente di Legambiente (e Rete Lilliput) del circolo di Ferrara (di cui non facciamo il nome per evitarle pubblicità gratuita) ai giornali locali (26-2-2008), dove viene sbandierata finalmente tutta l’ossessione per la politica rappresentativa, “tradita” dai vecchi partiti.

Riportiamo ampi stralci:
<<(…) da parecchio tempo Legambiente sta diventando una associazione che si sforza di non dire solo dei NO. Si sforza a tal punto che in molti, all’ultimo congresso nazionale, hanno paventato il rischio di diventare gli ambientalisti del Sì. Ebbene, sono qui a sostenere le ragioni del NO in un momento in cui la politica – sia fatta dai partiti o dalle associazioni, sia fatta dalle imprese o dai sindacati, dalle istituzioni o dalle organizzazioni non governative – pare scegliere di dire in maniera privilegiata Sì. (…) Sì allo sfruttamento del lavoro umano, che da principio fondamentale delle repubbliche moderne, tutelato grazie alle lotte a sangue dei lavoratori, oggi viene assimilato ad un fattore tra gli altri dello sviluppo economico, oggetto di trattative finanziarie, mercanteggiato alla pari di qualsiasi oggetto destinato a diventare rifiuto. Sì all’individualismo che ci porta ad eleggere, in fittizie forme di democrazia, leader e premier, che tali non possono essere in quanto prede di interessi personali o di alleanze di potere con miriadi di sottoboschi clientelari. Un individualismo che si porta via l’idea di una collettività in cui il bene comune è più importante di quello del singolo. (…) un individualismo che ci riporta alle lotte tribali in cui scannarsi per l’imposizione del proprio totem, sia esso un tricolore o una falce e martello. (…) per questo sono a gridare che qualcuno recuperi un uso coraggioso del NO. NO alla politica dei privilegi che lascia seduti sui redditizi scranni parlamentari i soliti noti per intere generazioni. (…) NO alle solite candidature di potere per chi sceglie l’arcobaleno della Pace per presentarsi alle prossime elezioni. Un solo grande Sì c’è da mettere in campo: Sì alla sfida di osare cambiare strategia, metodi e persone da parte di chi ritiene che la parola sinistra abbia un preciso significato accanto alla parola arcobaleno.>>

Ci viene da chieder subito: ma l’ultimo Sì non include tutti gli altri?

Gettarsi contro lo sfruttamento del lavoro non accorgendosi che lo stesso lavoro salariato è di per sé sfruttamento a tutto beneficio delle “repubbliche moderne” è ignoranza o scaltrezza politica? Queste si sono sempre basate (e sempre sarà così in regime di accumulazione capitalista; anche in uno stato socialista se l’economia dell’accumulazione resta in piedi, come ben dimostrato in Russia, dove dalla rivoluzione di ottobre invece che “il nuovo mondo” auspicato sorse la peggior forma di capitalismo di Stato!) su “trattative finanziarie”, facendo del lavoro “un fattore tra gli altri dello sviluppo economico”, “mercanteggiato alla pari di qualsiasi oggetto destinato a diventare rifiuto”

Quanto alla gogna dell’individualismo, che dire! È l’individualismo che “ci porta ad eleggere, in fittizie forme di democrazia, leader e premier, che tali non possono essere in quanto prede di interessi personali o di alleanze di potere con miriadi di sottoboschi clientelari”? O è piuttosto il consenso complice e partecipe delle masse, che di leader e premier non possono fare a meno, poiché oramai di pensiero indipendente non hanno nemmeno l’ombra? E chi l’ha detto poi che “il bene comune è più importante di quello del singolo”? Sicuramente qualche dittatore di altre epoche o i moderni aspiranti tali! A “scannarsi per l’imposizione del proprio totem, sia esso un tricolore o una falce e martello” sono proprio i partiti politici e quelle formazioni che gli si avvicinano, siano esse “associazioni, imprese o sindacati, istituzioni o organizzazioni non governative”. A quali “lotte tribali” passate, poi, si riferisca il dirigente di Legambiente, nel dipingere il quadro odierno, non è dato sapere. Ricordiamo che la vita comunitaria, prima dell’avvento dell’era industriale e tecnologica e prima che il processo forzato di civilizzazione smembrasse, oltre che l’ambiente intero, anche i rapporti tra individui, era ben più desiderabile di quella a cui siamo abituati oggi.

Non vi erano capi a dettare leggi, né schiere di poliziotti armati per farle rispettare. Le guerre tra tribù “rivali” erano pressoché inesistenti, dato che il numero di uomini sulla terra non era certo quello attuale (ora il nemico da cui proteggersi è il vicino di casa, in un delirio in cui tutti siamo diventati potenziali assassini, delinquenti o terroristi!). La gerarchia non esisteva e i lavori erano suddivisi di comune accordo e servivano per le necessità immediate di ogni singolo individuo ed il lavoro impegnava una piccola parte del giorno. Bisogna smettere di dipingere la cosiddetta era primitiva, che rappresenta più del 90% della storia umana, come un brodo di coltura infernale; chi lo fa, evidentemente, è perfettamente a suo agio nella realtà odierna e soddisfatto di quanto questa realtà produce e cioè guerre, disastri ecologici, sfruttamento, oppressione e morte. Il consiglio è di leggere qualche bel albo di antropologia!

Dopo il NO all’individualismo, che evidentemente dà fastidio, dalla dirigente di Legambiente arriva il SI “grande” “di chi ritiene che la parola sinistra abbia un preciso significato accanto alla parola arcobaleno”. Un Sì che vuole sui “redditizi scranni parlamentari” non “i soliti noti” ma nuove “strategie, metodi e persone” da “presentarsi alle prossime elezioni”. Insomma: “NO alle solite candidature!!
Cos’è un’autocandidatura? Una candidatura di parte del movimento ambientalista?
O è solamente l’arte politica di “una associazione che si sforza di non dire solo dei NO”?
Abbiamo ben visto come Ermete Realacci, che di Legambiente è stato il presidente ed un pezzo grosso degli “ambientalisti” da Palazzo, ore entrato nelle liste del PD, sia diventato un “ambientalista dei Sì”!
Realacci, favorevole agli inceneritori, non perde un’occasione per propugnare la loro costruzione e corre qua e là, da Napoli a Ferrara, dove l’anno scorso è intervenuto ad un incontro alla facoltà di Ingegneria, in pieno dibattito sull’ampliamento dell’inceneritore Hera di Cassana.
In quell’occasione abbiamo avuto il piacere di sventolargli davanti alla faccia i manifestini contro ogni Nocività, tra cui vanno ovviamente comprese anche siffatte tipologie di “ambientalisti”.
In un clima dove i primattori sono Grillo e i suoi epigoni più o meno riusciti và riconosciuto l’infame merito di quella che viene chiamata “antipolitica” nell’essere stata in grado di gettare le basi per un riordino della classe dirigente.
Il “cittadinismo” chiede a gran voce che la politica sia riformata, non accenna nemmeno a comprendere che il vero problema non sta nella forma ma nella sostanza.
I partiti cambiano nome e facce ma il sistema, quello riamane! Ed è proprio a questo stesso sistema che alcuni “ambientalisti” si appellano, affinché il sistema li ascolti e faccia tesoro delle loro lamentele.
Non vogliono che il sistema cambi ma chiedono che cambino gli uomini al governo di questo sistema.
Ed i partiti sono lieti di accontentarli, perché l’insoddisfazione si traduca in consenso e, come diceva qualcuno, perché “tutto possa cambiare perché tutto possa rimanere come prima!”

State attenti a quelli che vi dicono che vogliono cambiare tutto e per farlo si avvalgono dei mezzi del sistema che ci avvelena e ci uccide, ci sfrutta e ci opprime. L’unica cosa che cambieranno sarà la loro posizione sociale, che guadagnerà qualche scalino.
Le Nocività del sistema non sono riformabili o migliorabili; chi ve lo fa credere è un affabulatore.
Lo stesso sistema non è ecosostenibile, né socio-sostenibile. Il sistema attuale è LA Nocività da distruggere!
Un mondo che necessita di autostrade, rigassificatori, gassificatori, termovalorizzatori, discariche, centrali a carbone, turbogas, chimica, porcilaie, allevamenti, cave, cemento, sfruttamento umano, animale e della Terra; un mondo che ha bisogno di guerre, soldati, polizia, telecamere, tribunali, carceri, carcerieri, cacciabombardieri, industrie belliche ed amenità di questo tipo è un mondo che non merita di essere salvato.
Un mondo che ha bisogno di queste cose per sostenersi non va sostenuto! Un NO coraggioso è quello di mandarlo al diavolo, una volta per tutte!

Gli ambientalisti del Sì “alle prossime elezioni”, del Sì “alla sfida di osare”, del Sì “all’arcobaleno della Pace”, con i loro appelli a salvare il salvabile, sono quanto di più lontano possa esistere dalla nostra pratica e dalla nostra idea di un’ecologia piena, radicale e biocentrica e di un’esistenza viva, libera e selvaggia.

(visto che l’appuntamento con le elezioni si avvicina, cogliamo la palla al balzo, invitando tutti i nostri lettori abituali o occasionali, a fare la cosa più logica: astenersi dal voto! Coalizioni elettorali, liste civiche, partiti vecchi e nuovi, democrazia rappresentativa non sono la soluzione ma Nocività da abbattere!!)

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“Il Grido delle Ninfee” num. 5 – L’inceneritore Hera di Cassana (Fe)

Di seguito la versione testuale. Scarica la versione opuscolo Grido_Delle_Ninfee_5

L’ampliamento dell’INCENERITORE di Cassana.

“LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

Quando l’inutile genera utile.
Quella che stiamo vivendo è un’età in cui anche la vita ha il suo giusto prezzo: la vita degli uomini, sfruttati ed ingannati, trasportati come merci sui luoghi di lavoro, magari ad Alta Velocità per far prima (che il tempo, si sa, è denaro!), precarizzati e gettati come una confezione di prosciutto umano vuota o, peggio ancora, scaduta, avariata da troppi anni di usurante sudditanza fisica e psicologica… ma anche la vita in quanto tale, svenduta, comprata, brevettata, privatizzata ad uso e abuso degli affaristi di turno e per la conservazione dello status quo dell’occidente civilizzato (a cui l’oriente va conformandosi, con le buone, volontariamente, o con le cattive), spiccatamente indifferente di fronte allo stupro continuato inflitto alla Grande Madre, la Natura. Ma mentre la vita perde di significato, quello che rimane di essa diviene sotto-prodotto alienabile ed anche lo scarto assume un valore. Come stupirci, allora, se l’immondizia, il rifiuto, financo la merda, per quest’ordine sociale ed economico, assumono un valore che fino a non troppo tempo fa non possedevano (forse perché non troppo tempo fa e sicuramente prima del processo di industrializzazione lo scarto non occupava che una modesta quantità di spazio pubblico e le merci erano più durevoli)? Con la merda, una volta, ci si poteva concimare l’orto, ora, invece, anche lo scarto ha il suo business, il suo valore di mercato, al pari di ogni altra merce. Mai come oggi, d’altronde, la società è influenzata dalla circolazione delle merci: “Siamo consumatori in una società dei consumi. La società dei consumi è una società di mercato, siamo tutti nel e sul mercato, al tempo stesso, o in modo intercambiale, clienti e merci”. (zygmunt bauman, vite di scarto). E tanto più queste ultime sono deteriorabili, aggiungiamo noi, tanto meglio per il percorso della loro circolazione, che non è soltanto limitato allo smistamento e al trasporto ma inizia dalla produzione per finire immancabilmente con la trasformazione in scarto. Essendo lo scarto una merce in esubero e dall’afflusso costantemente crescente, è chiaro che, in un’ottica capitalistica, rappresenta una fonte di guadagno sicuro, un ramo d’affari estremamente remunerativo e che permette di recuperare gli investimenti nel giro di pochissimo tempo. E la facile reperibilità del prodotto è una garanzia per il futuro. Un prodotto inutile che produce utile, bizzarro, no? In questo numero parliamo dell’inceneritore di Ferrara e del suo ampliamento, non a caso. L’incenerimento dei rifiuti è l’ultima fase, ben congeniata (tra escamotage e finanziamenti pubblici), in cui le merci terminano la loro circolazione visibile e cominciano quella anonima, sottoforma di inquinamento. Se si trattasse solo di merda andrebbe ancora bene ma le sostanze emesse (in aria, acqua e terra) dagli inceneritori non sono soltanto sgradevoli al naso ma uccidono. E le scorie e le ceneri residue prodotte non sono certo buone per concimare l’orto e l’insalata.

In questi ultimi mesi si è fatto un gran parlare intorno alla gravosa questione dei rifiuti e del loro smaltimento. L’emergenza che si è presentata a Napoli ha riportato agli onori della cronaca quello che si può sicuramente annoverare come uno dei problemi più seri del mondo contemporaneo: la gestione dei propri scarti. Rifiuti, rifiuti ovunque. Siamo ormai sommersi dai nostri stessi rifiuti. Quale migliore soluzione allora che farli sparire? Distruggerli una volta per tutte bruciandoli? E perché no, magari da ciò ricavarne un po’ di energia elettrica che non guasta mai? Già, perché il messaggio che chi progetta e realizza i moderni “termovalorizzatori” (al secolo, inceneritori) vuole far passare è proprio questo: bruciare gli scarti non produce altro che energia! Evidentemente, per la maggiore, stanno riuscendo nei loro scopi. Davvero sembra che i rifiuti svaniscano, se no come si può spiegare l’atteggiamento comune, che di scarti di ogni genere ne produce sempre più? Si dice “è impossibile vivere senza produrre rifiuti”, ma tanto ci pensano i magnati dell’inceneritore a ripulire le strade dai cassonetti straripanti e l’aria da odori non sempre gratificanti. E, d’altro canto, una scelta di vita etica che riduca a zero la produzione di rifiuti cosa potrebbe portare all’immenso business e commercio dell’incenerimento se non un misero tracollo? Vediamo allora da vicino cosa significa bruciare rifiuti. Innanzitutto trasformare molti materiali innocui allo stato solido e potenzialmente riutilizzabili in sostanze tossiche, pericolose per la salute e per l’ambiente. Gli impianti di incenerimento possono emettere oltre 250 tipi di diverse sostanze chimiche. Tra queste rileviamo le più pericolose: arsenico, berillio, cadmio, cromo, nickel, mercurio, furani e diossine. Per quanto riguarda queste ultime, di cui è impossibile ridurre l’emissione, ricordiamo che hanno poteri cancerogeni e mutageni. Il loro principale canale di trasmissione è tramite la catena alimentare. Possono facilmente essere presenti in carni e derivati animali, quali il latte ed il formaggio (di qui un’ulteriore incentivo ad abbracciare uno stile di alimentazione vegan che ne elimini il consumo). Non è inutile ricordare come qualsiasi processo di combustione necessiti di ossigeno (prodotto per mezzo della fotosintesi clorofilliana) e rilasci nell’atmosfera, oltre all’onnipresente CO2, i residui dei materiali bruciati e nuove sostanze chimiche. Gli impatti su ambiente e salute sono connessi alla produzione e gestione dei residui solidi (ceneri e scorie di vario tipo) e alle emissioni dei camini. Trasformando (e non distruggendo!) i rifiuti si hanno vari tipi di residui dovuti alla combustione: fumi, polveri, ceneri, scorie ed acque di scarico. E’ stato rilevato che, per quanto riguarda le polveri, queste avranno minore dimensione quanto più alte saranno le temperature di combustione. Gli impianti di incenerimento generano, infatti, PM 2,5 fini e PM 0,1, di cui non esistono livelli di sicurezza di emissione e che sono le polveri più pericolose per la salute, dal momento che possono penetrare più facilmente nell’organismo. Come se ciò non bastasse il particolato fine come il 2,5 può essere scarsamente filtrato mentre per quello ultrafine inferiore a 1 questa operazione risulta impossibile. Ricordiamo che alle micropolveri sono imputate oltre 3500 morti premature l’anno. Queste polveri, inoltre, hanno la proprietà di legarsi ed assorbire metalli tossici e tossine organiche. Da qui l’origine delle suddette diossine.

Veniamo ora all’imbroglio della termovalorizzazione – Una vera e propria presa per il culo, utile solo a ricevere incentivi statali! Si pretende di usare parte del calore della combustione per produrre vapore che produca energia elettrica per mezzo di turbine. Peccato che l’attività sia limitatissima; consente un recupero di energia che non supera mai il 20% del potenziale calorifico totale dei rifiuti da bruciare. Ma c’è di più! Oltre al danno, la beffa! Nel nostro bel paese l’industria dell’incenerimento ottiene generosi sussidi pubblici che consentono di vendere a Enel e al Gestore della Rete Nazionale l’energia elettrica prodotta tramite la termovalorizzazione ad un prezzo tre volte superiore a quello di mercato. Tale “maggiorazione” è pagata utilizzando il 7% della bolletta elettrica sotto la voce “costruzione impianti fonti rinnovabili”. Tutto ciò è reso possibile da un provvedimento adottato dal Comitato Interministeriale Prezzi, noto come CIP6, nel 1992. Con questo meccanismo vengono incentivati i prezzi dell’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e assimilate, di cui si scopre che gli impianti di incenerimento dei rifiuti, o termovalorizzatori, fanno parte. Perfino l’Unione Europea ha sanzionato più volte la Stato italiano per avere assimilato il CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti) a fonte rinnovabile.

Poteva forse Ferrara non inserirsi in un così roseo quadretto? Certo, ma finché c’è la prospettiva di guadagno a scapito di ogni altra sfera della vita, l’approfittatore di turno vi si getterà a capofitto. E di chi parliamo stavolta? Ma del gruppo Hera, ovviamente! L’ex municipalizzata semi-privatizzata – ora Multi-utility quotata persino in borsa – dell’acqua e dell’energia, gestisce anche il business dei rifiuti e del loro incenerimento. (Sarà presto disponibile un dossier su Hera, curato dagli estensori di questo bollettino).

L’impianto di Ferrara, gestito appunto da Hera, è un inceneritore di rifiuti non pericolosi ubicato in Via Diana 44 nella frazione di Cassana. Dista, in linea d’aria, quasi 6 km dal centro della città. E’ situato nella zona Nord-Ovest che, oltre al suddetto inceneritore, può “vantare” la presenza del Polo chimico (estensione pari all’entro-mura cittadino, più di 20 impianti tra cui 10 classificati come pericolosi, quasi 130 camini) e della zona della Piccola Media Industria (una sessantina di camini). L’impianto di Hera è situato nelle estreme vicinanze del Canale di Burana, le cui acque del bacino sotterraneo sono attualmente attestate come “mediocri” per quanto riguarda la qualità del loro stato ambientale. La vecchia linea di Termovalorizzazione ha una potenzialità di smaltimento pari a 35.000-40.000 tonnellate/anno. Il 30 dicembre 2005 Hera presenta l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e il 23 ottobre 2006 ne presenta la modifica sostanziale. Il progetto è “triplicare” l’impianto: portare a tre le linee di Termovalorizzazione, quindi una esistente e due di nuova costruzione. Con questa operazione la potenzialità di smaltimento avrebbe dovuto passare da 35.000/40.000 t/a a ben 142.000 t/a. Le linee 2 e 3 sono ormai completate. Hera, tramite l’AIA. chiedeva l’autorizzazione a:
– esercizio impianto così come configurato dopo le modifiche;
– esercizio deposito preliminare del polverino;
– esercizio deposito preliminare delle scorie (di nuova costruzione);
– emissioni in atmosfera;
– scarichi idrici nella rete fognaria pubblica.

Per quanto riguarda lo smaltimento, le 142.000 t/a dovevano essere così raggiunte: 5.000 t di rifiuti sanitari, 5.000 t di rifiuti speciali non pericolosi e le restanti 132.000 t di rifiuti urbani, anche se recentemente le stime sono state lievemente rivedute dalla Conferenza dei servizi della Provincia, che il 31 ottobre (termine in cui scadeva la vecchia VIA) ha rilasciato l’autorizzazione definitiva (i rifiuti speciali sono passati a 20.000). Piccola parentesi: il Piano Rifiuti della Provincia di Ferrara prevede di smaltire a Cassana prioritariamente i rifiuti della provincia. Cioè, non chiude la porta per eventuali importazioni di rifiuti da altri territori…
La termovalorizzazione si genererà prendendo parte del calore della combustione che servirà a produrre quel vapore necessario ad alimentare una turbina a prelievo regolato per poter produrre così energia elettrica. Oltre a questo, l’impianto di teleriscaldamento riceve calore anche da due centrali termiche (CTA e CTB), alimentate a metano. Il fabbisogno energetico, però, è già coperto abbondantemente e non è difficile immaginare come questa energia prodotta “ex novo” sia destinata alla vendita. Secondo le stime, si prevede la produzione di 35.500 tonnellate annue di scorie e di 7.100 di polverino. Le sostanze inquinanti emesse sotto forma di gas e polveri da un impianto di incenerimento si diffondono inevitabilmente nell’ambiente circostante. Il problema non è circoscrivibile all’area attigua all’impianto, in quanto le particelle solide, i composti organici volatili e semivolatili (come diossine e PCB) possono essere trasportate per mezzo di correnti aeree anche a notevoli distanze dalla fonte d’emissione. Si parla anche dell’emissione totale di polveri: viene stimata intorno alle 8,9 tonnellate annue. Nell’AIA lo stato dell’aria è stato esaminato e trattato marginalmente e grossolanamente. Non è presente, inoltre, nessun accenno alla situazione sanitaria ferrarese che registra, ad esempio, come terza causa di decesso nel 2004 le malattie dell’apparato respiratorio. La città si mantiene ancora tra i primi posti al mondo per tasso di incidenza di malattie cardiocircolatorie, cardiovascolari e cerebrovascolari. Le emissioni di polveri fini, ultrafini e di diossine non miglioreranno certamente il quadro. Ma a chi importa, quando ci si può mettere in tasca lauti finanziamenti pubblici? Nemmeno si è cercato di contenere queste emissioni! Il processo scelto per l’incenerimento dei rifiuti in questo nuovo impianto esclude ogni pretrattamento del rifiuto che permetta di abbassare le emissioni. Infine, l’AIA illustra la situazione che si verrà a creare per quanto riguarda il consumo idrico e il traffico dei mezzi pesanti: il primo si attesterà intorno ai 173.000 m3 annui, prelevati anche dall’acquedotto; il traffico pure è destinato a crescere, oltre 18.000 autocarri in entrata e in uscita. Nel settembre ‘07 la Federazione regionale dell’Ordine dei Medici esprime parere negativo sull’impianto ed invita Regione, Provincia e Comune a valutare l’impatto, rilevato estremamente negativo, sulla salute che l’ampliamento dell’inceneritore avrà. La lettera dei medici ha, tra l’altro, provocato la reazione del ministro per le attività produttive Pierluigi Bersani. Il ministro “scomunica” l’intervento dei medici, adducendo come motivazione la mancata competenza degli ultimi. Ma è un autogol. Da ogni parte piovono accuse al ministro di lobbysmo e corporativismo. Nonostante tutto, Comune, Provincia e Regione giudicano dannoso il possibile blocco degli impianti. Il massimo che si decide di fare è di imporre una prescrizione a Hera. Vale a dire: fino a quando non si potrà monitorare adeguatamente che le emissioni di sostanze inquinanti non varino considerevolmente rispetto ad oggi, l’impianto non potrà bruciare più di 130.000 tonnellate annue, con il funzionamento delle sole due linee nuove (che avrebbero dovuto bruciare 50mila tonnellate a testa ma evidentemente tutto è possibile!). Davvero una magra consolazione, se non si vuole parlare di ennesima beffa! HERA stessa ha fatto ricorso al TAR, per superare questa prescrizione perché ritiene che sia impossibile che un impianto da 130.000 ton/anno di rifiuti possa inquinare meno di uno da 40.000. del resto, non ci voleva un genio a capirlo!

Infine un paio di considerazioni – Innanzitutto va rilevato come l’incenerimento dei rifiuti, al pari del sistema discariche, non è affatto la soluzione al problema degli scarti, che il nostro opulento modus vivendi produce in quantità, davvero, industriali. E’ soprattutto un business, camuffato (o amplificato) dall’inganno della termovalorizzazione. E in questo business ci sguazzano un po’ tutti, a partire dal Comune che, tramite la propria partecipazione in Hera s.p.a., raccoglie i frutti di questa lucrosa attività. Viene quindi da chiedersi come si possa ancora demandare la difesa della propria salute ad enti ed istituzioni che hanno le mani ben in pasta nel distruggerci il futuro. Il solito serpente che si morde la coda. L’unica vera alternativa, e non panacea, alla sommersione dai rifiuti o al loro incenerimento è la loro drastica riduzione tendente alla totale eliminazione. Impossibile! ci si rimprovera. Difficile, perché presuppone un radicale mutamento di prospettiva, se si vuole di etica, e di atteggiamento. E sicuramente antieconomico. Ma realizzabile. Come? Tramite l’inversione di rotta per quanto riguarda la proliferazione di merce inutile, che rappresenta un’ampia fetta della produzione industriale. Tramite il continuo riutilizzo di ciò che si acquista, uscendo dalla ferrea legge del compra, usa, getta. Tramite la pratica dell’autoproduzione che mira a liberarci dalla schiavitù del mercato e della merce, insegnandoci a valorizzare la creatività. Se non capiremo che l’attuale sistema economico, ben lungi dall’essere al declino (ma che, anzi, sta attraversando una fase di riacutizzazione su scala mondiale), ci sta spingendo al collasso – e l’emergenza rifiuti ne è un chiaro campanello d’allarme – e che la liberazione umana, animale e della terra passano obbligatoriamente per la sua distruzione, continueremo a discorrere, come esperti e specialisti, su come tappare ogni volta il buco di turno, senza renderci conto che intorno al buco c’è ormai ben poco.

Per fargli sapere cosa pensi di loro e dell’ampliamento dell’inceneritore:

GRUPPO HERA s.p.a.
Via C. Diana, 36 – 40, Cassana (Ferrara)
Numero verde: 800.999.500
fax: 0532.780200
www.gruppohera.it

Nutiziàri frArés:
All’inizio di Dicembre, la dirigenza di Polimeri Europa, società del gruppo ENI, mette, senza preavviso, in cassa integrazione 288 dipendenti ed un altro centinaio di lavoratori di cooperative di servizi legate alle aziende del Petrolchimico si ritrovano senza lavoro e senza stipendio, per di più senza ammortizzatori sociali.
La dirigenza ha addotto il pretesto dello sciopero dei lavoratori dello stesso gruppo nello stabilimento di Porto Marghera. A causa dello sciopero – questa la difesa di ENI – sarebbe venuta meno la provvista quotidiana di etilene per Ferrara (materia usata nello stabilimento di Ferrara, per la realizzazione di imballaggi plastici e che arriva direttamente da un condotto collegato a Marghera), cosa questa rivelatasi falsa, dato che l’etilene non è mancato nello stabilimento estense. Si è poi saputo che l’azienda si sta preparando ad un grosso investimento all’estero (con l’ipotesi di graduale dismissione in Italia), cosa del resto comune a tutte le grosse multinazionali, che cercano di insediarsi in paesi dove le normative ambientali siano più indulgenti e dove la forza lavoro costi di meno.
Prima di sapere come stavano le cose e cioè che Polimeri Europa ed ENI avevano spudoratamente mentito per nascondere i loro veri motivi, alcuni lavoratori del Petrolchimico ed i sindacati confederali avevano messo sul banco degli imputati gli ambientalisti cittadini, accusandoli della mancata attivazione della megacentrale elettrica Turbogas da 800 Mw, che sarebbe dovuta partire da mesi ed invece si ritrova bloccata dopo che l’azienda proprietaria (SEF/Enipower, sempre di proprietà ENI) , disattendendo la Valutazione d’Impatto Ambientale del 2002, aveva tentato di accendere la centrale senza aver prima costruito una caldaia per il trattamento dei fumi off-gas degli stabilimenti del polo chimico, come invece avrebbe dovuto fare.
La Turbogas, infatti, secondo le solite voci, sarebbe “indispensabile” per il futuro dell’intero Polo Chimico (ci viene da chiedere: fino ad adesso come si è andati avanti?).
Facile prendersela con gli ambientalisti, più difficile farlo con una multinazionale potente come ENI. Ma non dovrebbe essere questo, invece, il lavoro dei sindacati?
Intanto alla presentazione del nuovo accordo di programma sul Polo chimico (che, ricordiamolo, è totalmente volontario e non impegna in nessun modo, come abbiamo visto con il caso di Polimeri, le aziende insediate a Ferrara), alcune assemblee pubbliche sono state strumentalizzate da noti sindacalisti in chiave anti-ambientalista e da figure di spicco dell’amministrazione comunale e provinciale. Questi ultimi figuri hanno ribadito l’importanza dell’accordo di programma, sostenendo che quello appena trascorso (l’accordo del 2001) è stato altamente rispettato, dandone un bilancio positivo. E si sono sforzati di apparire seri anche quando, dopo che qualcuno gli ha fatto notare che il punto principale dell’accordo, quello sulle bonifiche dei terreni e delle falde, è stato del tutto disatteso, hanno insistito che il loro era “un bilancio onesto”. Ah, ah, ah! Scusateci ma ci è scappato da ridere!
Noi facciamo un’altra considerazione: le bonifiche non ci sono state, anzi, non sono nemmeno cominciate; le aziende insediate a Ferrara sono di un’arroganza tipica di tutte le multinazionali, a loro non interessa né la salute dei lavoratori, né quella delle loro famiglie, né la riduzione degli inquinanti, e tantomeno gli interessa l’accordo di programma, che se firmano è soltanto per far felici sindacati e amministratori, che comunque ben sanno che non vale niente. Già con la nota vicenda delle puzze e dell’ENB dell’anno scorso, Polimeri Europa ed Eni hanno dimostrato la loro inaffidabilità, negando fino all’ultimo di essere i responsabili, come invece si appurò in seguito. La Turbogas non è partita perché quelli di ENI volevano fare i furbi e noi non piangiamo. Eni è partecipata dallo stato italiano ma fa quel che vuole e lo stato non ha nessun interesse ad impedirglielo. I lavoratori dovrebbero interessarsi di più della loro condizione e del loro sfruttamento oggettivo, visto che né lo stato né i sindacati lo fanno, e al primo posto ci sono i veleni che respirano in fabbrica, dato che sarebbe meglio migliorare la qualità dell’ambiente in fabbrica piuttosto che trasformare in una fabbrica l’ambiente intero!

E’ ufficiale: un’azienda che lavora il silicio, materia prima utilizzata per la produzione di pannelli solari è interessata ad insediarsi al Polo Chimico ferrarese. L’azienda è la Estelux (S.E.Project/Solon), azienda leader del settore. La produzione di Estelux dovrebbe attestarsi sulle 25.000 tonnellate di silicio. Tutto è pronto, si sta solamente aspettando l’attivazione della megacentrale Turbogas, che dovrebbe cedere energia elettrica e vapore alla nuova azienda ad un prezzo concorrenziale. Peccato che questo nuovo acquisto non farà che aumentare l’inquinamento complessivo di un’area già desolatamente velenifica. Infatti, Estelux sarà un’azienda altamente energivora e, incredibile ma vero, consumerà tanta energia e vapore quanto l’intero Polo Chimico. Triste che la società attuale sia tanto miope da non vedere i risultati di scelte sconsiderate. Se poi sono queste le famigerate produzioni sostenibili, beh, allora stiamo messi proprio bene!

Il grido silente
C’È UN GRIDO SILENTE CHE ATTRAVERSA QUEST’ERA DEGENERATA: È IL SOFFIO DI PROTESTA E DI LAMENTO DELLA TERRA PER OGNI VITA ANIMALE CHE SI STA ESTINGUENDO, PER OGNI MARE E FIUME INQUINATO E SFRUTTATO, PER OGNI TERRITORIO DETURPATO IRRIMEDIABILMENTE, PER OGNI PROVINCIA AVVELENATA, PER OGNI LITORALE DEVASTATO DAL CEMENTO, PER OGNI ALBERO ABBATTUTO PER FARE POSTO ALL’ENNESIMO QUARTIERE RESIDENZIALE, PER OGNI NUOVA FABBRICA COSTRUITA, PER OGNI ANTENNA E RIPETITORE INSTALLATI, PER OGNI CONTAMINAZIONE AMBIENTALE, PER OGNI NUOVO ESPERIMENTO DELLA BIOTECNOLOGIA, PER OGNI POSTO IN CUI LO SFRUTTAMENTO SCELLERATO DI QUESTO SISTEMA HA IMPOSTO IL PROPRIO DOMINIO.
È UN GRIDO, QUESTO, CHE ARRIVA A TOCCARE LE SENSIBILITÀ E LE CORDE DI COLORO CHE ANCORA RIESCONO A COGLIERNE LA DRAMMATICA NATURA MA PIÙ COMUNEMENTE NON VIENE ASCOLTATO, FINENDO PER ESSERE IGNORATO DAI PIÙ.
EPPURE, NEL SILENZIO, È UN GRIDO CHE CI DICE MOLTE COSE. NEL SILENZIO RACCONTA LA SUA TRAGEDIA, LA SUA SOFFERENZA E LA SUA NEMESI. PERCHÉ È NEL SILENZIO CHE SI STA COMPIENDO LA SCOMPARSA DI QUELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI CHE CONTRADDISTINSERO E QUALIFICARONO I TERRITORI CON LA LORO PRESENZA; LA GLOBALIZZAZIONE DEL VELENO E DELL’AFFARISMO NE STA SANCENDO L’ECLISSE COMPLETA, IRRIMEDIABILE.
COME LA NINFEA BIANCA, PIANTA PECULIARE DELLA ZONA MEDITERRANEA, CHE FINO A POCHI DECENNI FA ERA PRESENTE IN OGNI STAGNO E CANALE DELLA PIANURA A RIDOSSO DEL CORSO DEL FIUME PO, CARATTERIZZANDO QUESTO TERRITORIO ED ORA SI È FATALMENTE RIDOTTA A RARI ESEMPLARI, CIRCOSCRITTI IN AREE LIMITATE. LA SCOMPARSA DI UNA SPECIE TIPICA MOSTRA, PIÙ DI MILLE PAROLE, LO STATO DI UN TERRITORIO. È UN GRIDO, QUELLO DELLE NINFEE, COME DI QUALUNQUE ALTRA SPECIE, SIA ANIMALE SIA VEGETALE, CHE OCCORRERÀ ASCOLTARE, PENA LA TOTALE PERDITA DI LEGAME CON L’AMBIENTE E LA TERRA E, CONSEGUENTEMENTE, DI VIVIBILITÀ SU QUESTO PIANETA.
SERBIAMONE MEMORIA, PERCHÉ QUALCHE VOLTA IL SILENZIO SI FA TEMPESTA.

L’ampliamento dell’INCENERITORE di Cassana.

“LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

Quando l’inutile genera utile.
Quella che stiamo vivendo è un’età in cui anche la vita ha il suo giusto prezzo: la vita degli uomini, sfruttati ed ingannati, trasportati come merci sui luoghi di lavoro, magari ad Alta Velocità per far prima (che il tempo, si sa, è denaro!), precarizzati e gettati come una confezione di prosciutto umano vuota o, peggio ancora, scaduta, avariata da troppi anni di usurante sudditanza fisica e psicologica… ma anche la vita in quanto tale, svenduta, comprata, brevettata, privatizzata ad uso e abuso degli affaristi di turno e per la conservazione dello status quo dell’occidente civilizzato (a cui l’oriente va conformandosi, con le buone, volontariamente, o con le cattive), spiccatamente indifferente di fronte allo stupro continuato inflitto alla Grande Madre, la Natura. Ma mentre la vita perde di significato, quello che rimane di essa diviene sotto-prodotto alienabile ed anche lo scarto assume un valore. Come stupirci, allora, se l’immondizia, il rifiuto, financo la merda, per quest’ordine sociale ed economico, assumono un valore che fino a non troppo tempo fa non possedevano (forse perché non troppo tempo fa e sicuramente prima del processo di industrializzazione lo scarto non occupava che una modesta quantità di spazio pubblico e le merci erano più durevoli)? Con la merda, una volta, ci si poteva concimare l’orto, ora, invece, anche lo scarto ha il suo business, il suo valore di mercato, al pari di ogni altra merce. Mai come oggi, d’altronde, la società è influenzata dalla circolazione delle merci: “Siamo consumatori in una società dei consumi. La società dei consumi è una società di mercato, siamo tutti nel e sul mercato, al tempo stesso, o in modo intercambiale, clienti e merci”. (zygmunt bauman, vite di scarto). E tanto più queste ultime sono deteriorabili, aggiungiamo noi, tanto meglio per il percorso della loro circolazione, che non è soltanto limitato allo smistamento e al trasporto ma inizia dalla produzione per finire immancabilmente con la trasformazione in scarto. Essendo lo scarto una merce in esubero e dall’afflusso costantemente crescente, è chiaro che, in un’ottica capitalistica, rappresenta una fonte di guadagno sicuro, un ramo d’affari estremamente remunerativo e che permette di recuperare gli investimenti nel giro di pochissimo tempo. E la facile reperibilità del prodotto è una garanzia per il futuro. Un prodotto inutile che produce utile, bizzarro, no? In questo numero parliamo dell’inceneritore di Ferrara e del suo ampliamento, non a caso. L’incenerimento dei rifiuti è l’ultima fase, ben congeniata (tra escamotage e finanziamenti pubblici), in cui le merci terminano la loro circolazione visibile e cominciano quella anonima, sottoforma di inquinamento. Se si trattasse solo di merda andrebbe ancora bene ma le sostanze emesse (in aria, acqua e terra) dagli inceneritori non sono soltanto sgradevoli al naso ma uccidono. E le scorie e le ceneri residue prodotte non sono certo buone per concimare l’orto e l’insalata.

In questi ultimi mesi si è fatto un gran parlare intorno alla gravosa questione dei rifiuti e del loro smaltimento. L’emergenza che si è presentata a Napoli ha riportato agli onori della cronaca quello che si può sicuramente annoverare come uno dei problemi più seri del mondo contemporaneo: la gestione dei propri scarti. Rifiuti, rifiuti ovunque. Siamo ormai sommersi dai nostri stessi rifiuti. Quale migliore soluzione allora che farli sparire? Distruggerli una volta per tutte bruciandoli? E perché no, magari da ciò ricavarne un po’ di energia elettrica che non guasta mai? Già, perché il messaggio che chi progetta e realizza i moderni “termovalorizzatori” (al secolo, inceneritori) vuole far passare è proprio questo: bruciare gli scarti non produce altro che energia! Evidentemente, per la maggiore, stanno riuscendo nei loro scopi. Davvero sembra che i rifiuti svaniscano, se no come si può spiegare l’atteggiamento comune, che di scarti di ogni genere ne produce sempre più? Si dice “è impossibile vivere senza produrre rifiuti”, ma tanto ci pensano i magnati dell’inceneritore a ripulire le strade dai cassonetti straripanti e l’aria da odori non sempre gratificanti. E, d’altro canto, una scelta di vita etica che riduca a zero la produzione di rifiuti cosa potrebbe portare all’immenso business e commercio dell’incenerimento se non un misero tracollo? Vediamo allora da vicino cosa significa bruciare rifiuti. Innanzitutto trasformare molti materiali innocui allo stato solido e potenzialmente riutilizzabili in sostanze tossiche, pericolose per la salute e per l’ambiente. Gli impianti di incenerimento possono emettere oltre 250 tipi di diverse sostanze chimiche. Tra queste rileviamo le più pericolose: arsenico, berillio, cadmio, cromo, nickel, mercurio, furani e diossine. Per quanto riguarda queste ultime, di cui è impossibile ridurre l’emissione, ricordiamo che hanno poteri cancerogeni e mutageni. Il loro principale canale di trasmissione è tramite la catena alimentare. Possono facilmente essere presenti in carni e derivati animali, quali il latte ed il formaggio (di qui un’ulteriore incentivo ad abbracciare uno stile di alimentazione vegan che ne elimini il consumo). Non è inutile ricordare come qualsiasi processo di combustione necessiti di ossigeno (prodotto per mezzo della fotosintesi clorofilliana) e rilasci nell’atmosfera, oltre all’onnipresente CO2, i residui dei materiali bruciati e nuove sostanze chimiche. Gli impatti su ambiente e salute sono connessi alla produzione e gestione dei residui solidi (ceneri e scorie di vario tipo) e alle emissioni dei camini. Trasformando (e non distruggendo!) i rifiuti si hanno vari tipi di residui dovuti alla combustione: fumi, polveri, ceneri, scorie ed acque di scarico. E’ stato rilevato che, per quanto riguarda le polveri, queste avranno minore dimensione quanto più alte saranno le temperature di combustione. Gli impianti di incenerimento generano, infatti, PM 2,5 fini e PM 0,1, di cui non esistono livelli di sicurezza di emissione e che sono le polveri più pericolose per la salute, dal momento che possono penetrare più facilmente nell’organismo. Come se ciò non bastasse il particolato fine come il 2,5 può essere scarsamente filtrato mentre per quello ultrafine inferiore a 1 questa operazione risulta impossibile. Ricordiamo che alle micropolveri sono imputate oltre 3500 morti premature l’anno. Queste polveri, inoltre, hanno la proprietà di legarsi ed assorbire metalli tossici e tossine organiche. Da qui l’origine delle suddette diossine.

Veniamo ora all’imbroglio della termovalorizzazione – Una vera e propria presa per il culo, utile solo a ricevere incentivi statali! Si pretende di usare parte del calore della combustione per produrre vapore che produca energia elettrica per mezzo di turbine. Peccato che l’attività sia limitatissima; consente un recupero di energia che non supera mai il 20% del potenziale calorifico totale dei rifiuti da bruciare. Ma c’è di più! Oltre al danno, la beffa! Nel nostro bel paese l’industria dell’incenerimento ottiene generosi sussidi pubblici che consentono di vendere a Enel e al Gestore della Rete Nazionale l’energia elettrica prodotta tramite la termovalorizzazione ad un prezzo tre volte superiore a quello di mercato. Tale “maggiorazione” è pagata utilizzando il 7% della bolletta elettrica sotto la voce “costruzione impianti fonti rinnovabili”. Tutto ciò è reso possibile da un provvedimento adottato dal Comitato Interministeriale Prezzi, noto come CIP6, nel 1992. Con questo meccanismo vengono incentivati i prezzi dell’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e assimilate, di cui si scopre che gli impianti di incenerimento dei rifiuti, o termovalorizzatori, fanno parte. Perfino l’Unione Europea ha sanzionato più volte la Stato italiano per avere assimilato il CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti) a fonte rinnovabile.

Poteva forse Ferrara non inserirsi in un così roseo quadretto? Certo, ma finché c’è la prospettiva di guadagno a scapito di ogni altra sfera della vita, l’approfittatore di turno vi si getterà a capofitto. E di chi parliamo stavolta? Ma del gruppo Hera, ovviamente! L’ex municipalizzata semi-privatizzata – ora Multi-utility quotata persino in borsa – dell’acqua e dell’energia, gestisce anche il business dei rifiuti e del loro incenerimento. (Sarà presto disponibile un dossier su Hera, curato dagli estensori di questo bollettino).

L’impianto di Ferrara, gestito appunto da Hera, è un inceneritore di rifiuti non pericolosi ubicato in Via Diana 44 nella frazione di Cassana. Dista, in linea d’aria, quasi 6 km dal centro della città. E’ situato nella zona Nord-Ovest che, oltre al suddetto inceneritore, può “vantare” la presenza del Polo chimico (estensione pari all’entro-mura cittadino, più di 20 impianti tra cui 10 classificati come pericolosi, quasi 130 camini) e della zona della Piccola Media Industria (una sessantina di camini). L’impianto di Hera è situato nelle estreme vicinanze del Canale di Burana, le cui acque del bacino sotterraneo sono attualmente attestate come “mediocri” per quanto riguarda la qualità del loro stato ambientale. La vecchia linea di Termovalorizzazione ha una potenzialità di smaltimento pari a 35.000-40.000 tonnellate/anno. Il 30 dicembre 2005 Hera presenta l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e il 23 ottobre 2006 ne presenta la modifica sostanziale. Il progetto è “triplicare” l’impianto: portare a tre le linee di Termovalorizzazione, quindi una esistente e due di nuova costruzione. Con questa operazione la potenzialità di smaltimento avrebbe dovuto passare da 35.000/40.000 t/a a ben 142.000 t/a. Le linee 2 e 3 sono ormai completate. Hera, tramite l’AIA. chiedeva l’autorizzazione a:
– esercizio impianto così come configurato dopo le modifiche;
– esercizio deposito preliminare del polverino;
– esercizio deposito preliminare delle scorie (di nuova costruzione);
– emissioni in atmosfera;
– scarichi idrici nella rete fognaria pubblica.

Per quanto riguarda lo smaltimento, le 142.000 t/a dovevano essere così raggiunte: 5.000 t di rifiuti sanitari, 5.000 t di rifiuti speciali non pericolosi e le restanti 132.000 t di rifiuti urbani, anche se recentemente le stime sono state lievemente rivedute dalla Conferenza dei servizi della Provincia, che il 31 ottobre (termine in cui scadeva la vecchia VIA) ha rilasciato l’autorizzazione definitiva (i rifiuti speciali sono passati a 20.000). Piccola parentesi: il Piano Rifiuti della Provincia di Ferrara prevede di smaltire a Cassana prioritariamente i rifiuti della provincia. Cioè, non chiude la porta per eventuali importazioni di rifiuti da altri territori…
La termovalorizzazione si genererà prendendo parte del calore della combustione che servirà a produrre quel vapore necessario ad alimentare una turbina a prelievo regolato per poter produrre così energia elettrica. Oltre a questo, l’impianto di teleriscaldamento riceve calore anche da due centrali termiche (CTA e CTB), alimentate a metano. Il fabbisogno energetico, però, è già coperto abbondantemente e non è difficile immaginare come questa energia prodotta “ex novo” sia destinata alla vendita. Secondo le stime, si prevede la produzione di 35.500 tonnellate annue di scorie e di 7.100 di polverino. Le sostanze inquinanti emesse sotto forma di gas e polveri da un impianto di incenerimento si diffondono inevitabilmente nell’ambiente circostante. Il problema non è circoscrivibile all’area attigua all’impianto, in quanto le particelle solide, i composti organici volatili e semivolatili (come diossine e PCB) possono essere trasportate per mezzo di correnti aeree anche a notevoli distanze dalla fonte d’emissione. Si parla anche dell’emissione totale di polveri: viene stimata intorno alle 8,9 tonnellate annue. Nell’AIA lo stato dell’aria è stato esaminato e trattato marginalmente e grossolanamente. Non è presente, inoltre, nessun accenno alla situazione sanitaria ferrarese che registra, ad esempio, come terza causa di decesso nel 2004 le malattie dell’apparato respiratorio. La città si mantiene ancora tra i primi posti al mondo per tasso di incidenza di malattie cardiocircolatorie, cardiovascolari e cerebrovascolari. Le emissioni di polveri fini, ultrafini e di diossine non miglioreranno certamente il quadro. Ma a chi importa, quando ci si può mettere in tasca lauti finanziamenti pubblici? Nemmeno si è cercato di contenere queste emissioni! Il processo scelto per l’incenerimento dei rifiuti in questo nuovo impianto esclude ogni pretrattamento del rifiuto che permetta di abbassare le emissioni. Infine, l’AIA illustra la situazione che si verrà a creare per quanto riguarda il consumo idrico e il traffico dei mezzi pesanti: il primo si attesterà intorno ai 173.000 m3 annui, prelevati anche dall’acquedotto; il traffico pure è destinato a crescere, oltre 18.000 autocarri in entrata e in uscita. Nel settembre ‘07 la Federazione regionale dell’Ordine dei Medici esprime parere negativo sull’impianto ed invita Regione, Provincia e Comune a valutare l’impatto, rilevato estremamente negativo, sulla salute che l’ampliamento dell’inceneritore avrà. La lettera dei medici ha, tra l’altro, provocato la reazione del ministro per le attività produttive Pierluigi Bersani. Il ministro “scomunica” l’intervento dei medici, adducendo come motivazione la mancata competenza degli ultimi. Ma è un autogol. Da ogni parte piovono accuse al ministro di lobbysmo e corporativismo. Nonostante tutto, Comune, Provincia e Regione giudicano dannoso il possibile blocco degli impianti. Il massimo che si decide di fare è di imporre una prescrizione a Hera. Vale a dire: fino a quando non si potrà monitorare adeguatamente che le emissioni di sostanze inquinanti non varino considerevolmente rispetto ad oggi, l’impianto non potrà bruciare più di 130.000 tonnellate annue, con il funzionamento delle sole due linee nuove (che avrebbero dovuto bruciare 50mila tonnellate a testa ma evidentemente tutto è possibile!). Davvero una magra consolazione, se non si vuole parlare di ennesima beffa! HERA stessa ha fatto ricorso al TAR, per superare questa prescrizione perché ritiene che sia impossibile che un impianto da 130.000 ton/anno di rifiuti possa inquinare meno di uno da 40.000. del resto, non ci voleva un genio a capirlo!

Infine un paio di considerazioni – Innanzitutto va rilevato come l’incenerimento dei rifiuti, al pari del sistema discariche, non è affatto la soluzione al problema degli scarti, che il nostro opulento modus vivendi produce in quantità, davvero, industriali. E’ soprattutto un business, camuffato (o amplificato) dall’inganno della termovalorizzazione. E in questo business ci sguazzano un po’ tutti, a partire dal Comune che, tramite la propria partecipazione in Hera s.p.a., raccoglie i frutti di questa lucrosa attività. Viene quindi da chiedersi come si possa ancora demandare la difesa della propria salute ad enti ed istituzioni che hanno le mani ben in pasta nel distruggerci il futuro. Il solito serpente che si morde la coda. L’unica vera alternativa, e non panacea, alla sommersione dai rifiuti o al loro incenerimento è la loro drastica riduzione tendente alla totale eliminazione. Impossibile! ci si rimprovera. Difficile, perché presuppone un radicale mutamento di prospettiva, se si vuole di etica, e di atteggiamento. E sicuramente antieconomico. Ma realizzabile. Come? Tramite l’inversione di rotta per quanto riguarda la proliferazione di merce inutile, che rappresenta un’ampia fetta della produzione industriale. Tramite il continuo riutilizzo di ciò che si acquista, uscendo dalla ferrea legge del compra, usa, getta. Tramite la pratica dell’autoproduzione che mira a liberarci dalla schiavitù del mercato e della merce, insegnandoci a valorizzare la creatività. Se non capiremo che l’attuale sistema economico, ben lungi dall’essere al declino (ma che, anzi, sta attraversando una fase di riacutizzazione su scala mondiale), ci sta spingendo al collasso – e l’emergenza rifiuti ne è un chiaro campanello d’allarme – e che la liberazione umana, animale e della terra passano obbligatoriamente per la sua distruzione, continueremo a discorrere, come esperti e specialisti, su come tappare ogni volta il buco di turno, senza renderci conto che intorno al buco c’è ormai ben poco.

Per fargli sapere cosa pensi di loro e dell’ampliamento dell’inceneritore:

GRUPPO HERA s.p.a.
Via C. Diana, 36 – 40, Cassana (Ferrara)
Numero verde: 800.999.500
fax: 0532.780200
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Nutiziàri frArés:
All’inizio di Dicembre, la dirigenza di Polimeri Europa, società del gruppo ENI, mette, senza preavviso, in cassa integrazione 288 dipendenti ed un altro centinaio di lavoratori di cooperative di servizi legate alle aziende del Petrolchimico si ritrovano senza lavoro e senza stipendio, per di più senza ammortizzatori sociali.
La dirigenza ha addotto il pretesto dello sciopero dei lavoratori dello stesso gruppo nello stabilimento di Porto Marghera. A causa dello sciopero – questa la difesa di ENI – sarebbe venuta meno la provvista quotidiana di etilene per Ferrara (materia usata nello stabilimento di Ferrara, per la realizzazione di imballaggi plastici e che arriva direttamente da un condotto collegato a Marghera), cosa questa rivelatasi falsa, dato che l’etilene non è mancato nello stabilimento estense. Si è poi saputo che l’azienda si sta preparando ad un grosso investimento all’estero (con l’ipotesi di graduale dismissione in Italia), cosa del resto comune a tutte le grosse multinazionali, che cercano di insediarsi in paesi dove le normative ambientali siano più indulgenti e dove la forza lavoro costi di meno.
Prima di sapere come stavano le cose e cioè che Polimeri Europa ed ENI avevano spudoratamente mentito per nascondere i loro veri motivi, alcuni lavoratori del Petrolchimico ed i sindacati confederali avevano messo sul banco degli imputati gli ambientalisti cittadini, accusandoli della mancata attivazione della megacentrale elettrica Turbogas da 800 Mw, che sarebbe dovuta partire da mesi ed invece si ritrova bloccata dopo che l’azienda proprietaria (SEF/Enipower, sempre di proprietà ENI) , disattendendo la Valutazione d’Impatto Ambientale del 2002, aveva tentato di accendere la centrale senza aver prima costruito una caldaia per il trattamento dei fumi off-gas degli stabilimenti del polo chimico, come invece avrebbe dovuto fare.
La Turbogas, infatti, secondo le solite voci, sarebbe “indispensabile” per il futuro dell’intero Polo Chimico (ci viene da chiedere: fino ad adesso come si è andati avanti?).
Facile prendersela con gli ambientalisti, più difficile farlo con una multinazionale potente come ENI. Ma non dovrebbe essere questo, invece, il lavoro dei sindacati?
Intanto alla presentazione del nuovo accordo di programma sul Polo chimico (che, ricordiamolo, è totalmente volontario e non impegna in nessun modo, come abbiamo visto con il caso di Polimeri, le aziende insediate a Ferrara), alcune assemblee pubbliche sono state strumentalizzate da noti sindacalisti in chiave anti-ambientalista e da figure di spicco dell’amministrazione comunale e provinciale. Questi ultimi figuri hanno ribadito l’importanza dell’accordo di programma, sostenendo che quello appena trascorso (l’accordo del 2001) è stato altamente rispettato, dandone un bilancio positivo. E si sono sforzati di apparire seri anche quando, dopo che qualcuno gli ha fatto notare che il punto principale dell’accordo, quello sulle bonifiche dei terreni e delle falde, è stato del tutto disatteso, hanno insistito che il loro era “un bilancio onesto”. Ah, ah, ah! Scusateci ma ci è scappato da ridere!
Noi facciamo un’altra considerazione: le bonifiche non ci sono state, anzi, non sono nemmeno cominciate; le aziende insediate a Ferrara sono di un’arroganza tipica di tutte le multinazionali, a loro non interessa né la salute dei lavoratori, né quella delle loro famiglie, né la riduzione degli inquinanti, e tantomeno gli interessa l’accordo di programma, che se firmano è soltanto per far felici sindacati e amministratori, che comunque ben sanno che non vale niente. Già con la nota vicenda delle puzze e dell’ENB dell’anno scorso, Polimeri Europa ed Eni hanno dimostrato la loro inaffidabilità, negando fino all’ultimo di essere i responsabili, come invece si appurò in seguito. La Turbogas non è partita perché quelli di ENI volevano fare i furbi e noi non piangiamo. Eni è partecipata dallo stato italiano ma fa quel che vuole e lo stato non ha nessun interesse ad impedirglielo. I lavoratori dovrebbero interessarsi di più della loro condizione e del loro sfruttamento oggettivo, visto che né lo stato né i sindacati lo fanno, e al primo posto ci sono i veleni che respirano in fabbrica, dato che sarebbe meglio migliorare la qualità dell’ambiente in fabbrica piuttosto che trasformare in una fabbrica l’ambiente intero!

E’ ufficiale: un’azienda che lavora il silicio, materia prima utilizzata per la produzione di pannelli solari è interessata ad insediarsi al Polo Chimico ferrarese. L’azienda è la Estelux (S.E.Project/Solon), azienda leader del settore. La produzione di Estelux dovrebbe attestarsi sulle 25.000 tonnellate di silicio. Tutto è pronto, si sta solamente aspettando l’attivazione della megacentrale Turbogas, che dovrebbe cedere energia elettrica e vapore alla nuova azienda ad un prezzo concorrenziale. Peccato che questo nuovo acquisto non farà che aumentare l’inquinamento complessivo di un’area già desolatamente velenifica. Infatti, Estelux sarà un’azienda altamente energivora e, incredibile ma vero, consumerà tanta energia e vapore quanto l’intero Polo Chimico. Triste che la società attuale sia tanto miope da non vedere i risultati di scelte sconsiderate. Se poi sono queste le famigerate produzioni sostenibili, beh, allora stiamo messi proprio bene!

Il grido silente
C’È UN GRIDO SILENTE CHE ATTRAVERSA QUEST’ERA DEGENERATA: È IL SOFFIO DI PROTESTA E DI LAMENTO DELLA TERRA PER OGNI VITA ANIMALE CHE SI STA ESTINGUENDO, PER OGNI MARE E FIUME INQUINATO E SFRUTTATO, PER OGNI TERRITORIO DETURPATO IRRIMEDIABILMENTE, PER OGNI PROVINCIA AVVELENATA, PER OGNI LITORALE DEVASTATO DAL CEMENTO, PER OGNI ALBERO ABBATTUTO PER FARE POSTO ALL’ENNESIMO QUARTIERE RESIDENZIALE, PER OGNI NUOVA FABBRICA COSTRUITA, PER OGNI ANTENNA E RIPETITORE INSTALLATI, PER OGNI CONTAMINAZIONE AMBIENTALE, PER OGNI NUOVO ESPERIMENTO DELLA BIOTECNOLOGIA, PER OGNI POSTO IN CUI LO SFRUTTAMENTO SCELLERATO DI QUESTO SISTEMA HA IMPOSTO IL PROPRIO DOMINIO.
È UN GRIDO, QUESTO, CHE ARRIVA A TOCCARE LE SENSIBILITÀ E LE CORDE DI COLORO CHE ANCORA RIESCONO A COGLIERNE LA DRAMMATICA NATURA MA PIÙ COMUNEMENTE NON VIENE ASCOLTATO, FINENDO PER ESSERE IGNORATO DAI PIÙ.
EPPURE, NEL SILENZIO, È UN GRIDO CHE CI DICE MOLTE COSE. NEL SILENZIO RACCONTA LA SUA TRAGEDIA, LA SUA SOFFERENZA E LA SUA NEMESI. PERCHÉ È NEL SILENZIO CHE SI STA COMPIENDO LA SCOMPARSA DI QUELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI CHE CONTRADDISTINSERO E QUALIFICARONO I TERRITORI CON LA LORO PRESENZA; LA GLOBALIZZAZIONE DEL VELENO E DELL’AFFARISMO NE STA SANCENDO L’ECLISSE COMPLETA, IRRIMEDIABILE.
COME LA NINFEA BIANCA, PIANTA PECULIARE DELLA ZONA MEDITERRANEA, CHE FINO A POCHI DECENNI FA ERA PRESENTE IN OGNI STAGNO E CANALE DELLA PIANURA A RIDOSSO DEL CORSO DEL FIUME PO, CARATTERIZZANDO QUESTO TERRITORIO ED ORA SI È FATALMENTE RIDOTTA A RARI ESEMPLARI, CIRCOSCRITTI IN AREE LIMITATE. LA SCOMPARSA DI UNA SPECIE TIPICA MOSTRA, PIÙ DI MILLE PAROLE, LO STATO DI UN TERRITORIO. È UN GRIDO, QUELLO DELLE NINFEE, COME DI QUALUNQUE ALTRA SPECIE, SIA ANIMALE SIA VEGETALE, CHE OCCORRERÀ ASCOLTARE, PENA LA TOTALE PERDITA DI LEGAME CON L’AMBIENTE E LA TERRA E, CONSEGUENTEMENTE, DI VIVIBILITÀ SU QUESTO PIANETA.
SERBIAMONE MEMORIA, PERCHÉ QUALCHE VOLTA IL SILENZIO SI FA TEMPESTA.

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“Il Grido delle Ninfee” num. 4 – Sistema insostenibile

Di seguito la versione testuale. Scarica la versione opuscolo. Grido_Delle_Ninfee_4

 

LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

In questo terzo numero abbiamo voluto spendere qualche parola sul movimento ambientalista che da qualche anno si è creato a Ferrara, attorno ai temi caldi della costruzione della centrale elettrica turbogas e della triplicazione dell’inceneritore Hera. Ci è piaciuto coglierne i pregi ed i limiti, cercando di proporre soluzioni che possano dare uno slancio in più per fermare questi progetti nocivi che si ripercuoteranno sulla vita di tutti. Pensiamo che in questo momento, proprio quando i due impianti sembrano prossimi all’accensione, la lotta debba essere radicalizzata e si debbano tentare nuovi piani pratici di azione. Le assemblee pubbliche indette dai Comitati, da questo lato sono sembrate ancora abbastanza carenti. È indispensabile capire se si vuole evitare davvero di subire queste nocività. Bisogna che dalle assemblee emerga chiaro il proposito di mettersi in gioco totalmente per fermare i progetti che la popolazione vive come imposti.
Accanto a questa analisi abbiamo voluto accostare un discorso inerente a quella che viene chiamata “la crisi del settore della chimica” ed abbiamo, dunque, finito per parlare anche del Polo Chimico di Ferrara. Se lo abbiamo fatto c’è una ragione ed è evidenziare, al di la dei singoli stabilimenti nocivi, l’esistenza di un problema ben più grande. La reindustrializzazione di questo settore è un fatto per noi preoccupante che, al di la di un’ottimistica previsione di occupazione (ricordiamo che lo sviluppo della tecnologia ha portato e porterà sempre più ad un minor ricorso di mano d’opera umana), pende come una spada di Damocle sul presente e sul futuro del pianeta. Pensiamo che opporsi ad una sola – o due – nocività sia abbastanza ingenuo, perché mostra una difficoltà di comprensione di come la produzione tecnologica, in realtà, faccia parte di un unico progetto. Ci sembra giusto soffermarsi su una singola nocività, per concentrare gli sforzi su di un obiettivo che può essere attaccato e abbattuto ma va sempre tenuto a mente che le nocività non sono slegate dal contesto che le crea. Questo, per noi, è essere ecologisti.

Quale ecologia?
“Ecologia: scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente fisico in cui vivono”.

Per schiarire le idee:
NO, non siamo del partito dei Radicali.
NO, non ci riconosciamo nella sinistra cosiddetta radicale, che di radicale ha ben poco, o nulla.
NO, non siamo legati ad ideologie di partito, di destra, di sinistra, di estrema sinistra o neofascista.
Siamo Anarchici. Siamo ecologisti anche, perché le relazioni tra ambiente fisico ed esseri viventi, umani e non, è alla base di ogni altra considerazione.
Siamo per un ecologia radicale, in quanto presupponiamo che lo studio di un effetto debba portare in maniera logica alla messa in discussione dell’intero sistema che ne permette la nocività.
E agiamo coerentemente. Nient’altro.

C’è chi parla di allarmismo, c’è chi dice che queste sono fantasie prive di fondamento ma come non accorgersi coi propri occhi che, purtroppo, questa è la triste realtà, ed allora quelli che parlano di disfattismo – industriali, capitalisti, amministratori, dirigenti, sindacalisti – ne sono i maggiori responsabili. Ma responsabili sono anche coloro che continuano a delegare il proprio potere decisionale e il proprio giudizio critico continuando a creare consenso verso il sistema che ci trascina verso il baratro; responsabili perché essi stessi colpevoli di aver insignito gli avvelenatori con quella supposta sovranità popolare di cui si ammantano spocchiosamente. Per questo, abbiamo pensato di aprire il quarto numero de “Il Grido delle Ninfee” con uno scritto che si sofferma volutamente sul contributo dato dalla politica (di qualsiasi schieramento, dato che i partiti accettano e riproducono gli schemi dello stesso sistema, rodato ed oliato negli anni) allo scenario ambientale attuale, perchè è inimmaginabile non tener conto dell’importanza di questa correlazione nel contesto delle trasformazioni che storicamente ha subito e continuamente subisce la società delle Nocività. Solamente liberandoci dalla “schiavitù volontaria” per ritornare ad una concezione dell’intervento politico che sia prima di tutto autogestione attiva del processo decisionale, potremo giungere a ridisegnare i contorni della società in cui viviamo e a salvare la terra, e noi stessi, dalla rovina prossima ventura.
Fin dai tempi remoti e con una decisa accelerazione durante la Rivoluzione Industriale, a cavallo tra il ‘700 e l’800, la politica si è impegnata a rivestire un determinato ruolo, che finirà per essere la sua particolarità principale durante gli anni successivi: il ruolo di difensore di interessi particolari, spacciati come interessi di tutti. Quando si costruirono le prime macchine e le prime catene di montaggio, si disse che avrebbero migliorato ed alleviato il lavoro degli operai; a questi ultimi non si disse, però, che ne sarebbero stati licenziati a migliaia, perchè le macchine avrebbero finito per sostituirli e, tra gli altri aspetti, avrebbero contribuito ad accelerare la fine del lavoro artigianale e domestico. Gli operai ne guadagnarono soltanto una dequalificazione del loro lavoro e quindi una ricattabilità da parte del capitale. In breve anche il lavoratore divenne merce, al pari di un qualsiasi altro prodotto, assimilabile alle macchine che gli toglievano il lavoro. Ancora una volta qualcosa che veniva spacciato per utile e vantaggioso per tutti, diveniva in realtà fonte d’interesse solamente per quella classe sociale che continuava ad arricchirsi. Sempre in quegli anni, la fine del lavoro domestico, in cui il lavoratore conservava una certa indipendenza, almeno per quanto riguardava gli orari e le pause, essendo che questi lavorava a domicilio per conto dell’azienda, contribuì decisamente allo spostamento di enormi masse di lavoratori dalle campagne alle città, che andavano allargandosi. La nascita di questi grandi agglomerati urbani, sorti come alloggi popolari funzionali alle industrie, che così potevano controllare e dettare i tempi e gli orari di lavoro e di spostamento dell’operaio, costituirono i primi esempi delle città industriali per come le conosciamo. Alle ambizioni degli industriali la politica dei palazzi forniva le migliori occasioni per saziarsi in quantità e così le industrie crebbero, ed assieme a queste pure le città. L’economia divenne la nuova religione borghese e la politica ne trasse i nuovi predicatori. Il progresso che tanti pensatori avevano acclamato e caldeggiato si dimostrò, alla fine, null’altro che una questione di zeri sui conti correnti degli industriali e dei politici, guarda caso troppo spesso le medesime persone (pare che il modello non sia per nulla sorpassato: a contendersi i voti dei lavoratori, oggigiorno, sono Prodi e Berlusconi, due pasciuti industriali). La classe dirigente, che fa le leggi e i piani, è stata quindi responsabile della comparsa degli agglomerati urbani attorno alle industrie e ad esse direttamente collegati, tramite lo studio dell’urbanistica e dei trasporti, ed è in questo modo che le città hanno continuato a muoversi e crescere. Il finto mito positivista del progresso rivoluzionario lasciò ben presto il posto alla cruda realtà del disincanto e al ritmo forzato della degenerazione della crescita industriale. E i nuovi Galileo finirono tutti quanti sulla lista paga dei padroni. Non ci è difficile osservare, ancora oggi, al di là di come si sia ammodernato ed abbia affinato i suoi interventi e le sue politiche, quanto questo modello sia rimasto in voga. Si costruiscono industrie e si realizzano opere che scaricano veleni e porcherie nell’aria, nell’acqua e nel suolo, sbandierando la carta dell’opportunità di lavoro e di occupazione per il territorio, quando sappiamo che proprio il progresso tecnico e la tecnologia hanno fatto sì che per grosse centrali siano sufficenti qualche decina di operai, mentre le proprietà fagocitano miliardi ottimizzando le spese, a scapito del territorio stesso. Evidentemente spacciare come ricchezza per tutti qualcosa che lo è solo per taluni fa parte ormai della retorica di queste politiche, che i “nostri” amministratori amano ripetere, con ossequioso zelo, riprendendo pari pari l’oratoria e gli slogan degli amici-di-sempre alleati capitalisti e sembra, anzi, che questo modello proprio non possa, e non voglia, essere abbandonato da coloro che hanno a cuore, sopra ogni altra cosa, lo sviluppo del nuovo ordine economico mondiale, come sappiamo basato su di un capitalismo globale e globalizzante e sulla circolazione delle merci. Ma qualcosa di nuovo all’orizzonte c’è, ed è la sfiducia che la gente ha nella politica istituzionale, forse perchè ha capito che è una grossa presa per il culo. Per questo sentiamo i politici dire che c’è bisogno che la politica ritorni protagonista, che parli più semplicemente per farsi capire dalla gente, quasi che serpeggi la paura che la gente cominci a pensare con la propria testa, a disfarsi della politica e a far da sé. Allora, in questi tempi attraversati dai dubbi per il futuro o per gli ipotetici futuri, dove la rete tecnologica cerca di intrappolare anche i pensieri in un incubo artificiale ma certo non astratto, dove le polveri ci ottenebrano la vista e le menti e occludono le arterie, strozzando i cuori e dove un territorio sterile e plastico si staglia nell’orizzonte globale, l’unica via di fuga e di rivolta, di resistenza e di attacco, può venire unicamente dal nostro rifiuto di identificarci con le scelte calate dall’alto. Disfarci della politica della rappresentanza, dunque, per creare l’autogestione dal basso. Disfarci della politica dell’antropocentrismo, in favore di una visone antispecista che rivendichi la dignità all’esistenza per ogni specie animale, inclusa quella umana. Disfarci della politica del capitalismo, perchè non è accettabile una politica che veda la terra come una sacca inesauribile da depredare, vendere o acquistare. Disfarci della politica delle merci, perchè la produzione di prodotti e rifiuti perlopiù inutili e dannosi è conveniente solo alla logica economica che sottende alla politica del capitalismo e al libero mercato globale. Disfarci della politica monoculturale e monocolturale, perchè l’appiattimento della cultura umana su standard globalizzati e la continua modificazione della natura è indice della volontà di monopolio sull’intera vita da parte delle aziende mondiali, che ne mortificano e ne reificano ogni aspetto. Disfarci della politica dell’evoluzionismo tecnologico, vista la menzogna del progresso, questa linea evolutiva che ci sta portando tutti quanti, capitalisti inclusi (visto che ancora non sono riusciti a colonizzare nuovi pianeti, ma si stanno atrezzando…ettari di Luna sono già stati venduti al miglior offerente!), sul baratro della morte. Rifiutare queste politiche è solamente il primo passo; per sbarazzarcene completamente occorrerà che questo rifiuto, ora e non domani, fin che siamo ancora in tempo, si traduca in lotta montante contro la società delle Nocività e dei suoi difensori. La sfiducia nella politica di palazzo da parte della gente deve trasformarsi in una dose di volontà per trovare da sè, assieme, un modello di autogestione valido per amministrare il proprio quotidiano. Se la gente non saprà autoorganizzarsi, l’unica cosa che si ritroverà a dover gestire saranno le proprie miserie, i propri tumori, la propria incapacità. Non dobbiamo avere paura che si guardi al movimento contro le Nocività come ad un esempio di rigurgito conservatore, in cui persone retrograde si ostinano a combattere il Leviatano tecnologico con la clava preistorica, tutt’altro…il movimento contro le Nocività è un movimento che guarda lontano e purtroppo non vede nient’altro che rovine sulla strada che questa società si ostina a percorrere. Continuare a calcare questa via: questo sarebbe essere conservatori, perchè non si vorrebbero trovare altre strade diverse da quella che fa più comodo oggi. Gli industriali e i politici difendono il sistema attuale perchè è IL loro sistema, anche ai costi tremendi ampliamente pianificati: costi che per loro sono accettabili e secondari rispetto ai loro affari e alla possibilità di nuovi mercati. E così fanno di tutto per ricoprire e mantenere i posti di privilegio politico, le posizioni dominanti che gli permettono di manovrare a proprio vantaggio. Questi sono i veri conservatori, gli immobilisti a cui non frega nulla della sorte dell’ambiente o dei morti di cancro, così frequenti nelle famiglie. L’universo, se potessero, sarebbe un oceano da predare con enormi reti a strascico. La loro unica preoccupazione è che non vi siano abbastanza alberi da tagliare, abbastanza animali da macellare, abbastanza terreni disponibili per le loro installazione e per le loro industrie, abbastanza sorgenti da privatizzare, abbastanza domande di automobili per costruire nuove autostrade e quando trovano un ostacolo lo abbattono senza pensarci due volte, che sia una montagna da perforare per i loro tunnel o una tribù indigena da sterminare per far fruttare la terra sulla quale viveva da millenni e che è stata acquistata da qualche multinazionale multimiliardaria o altro. Ma i costi che per questa politica sono accettabili e secondari, per noialtri, che amiamo la terra e la vita e le difendiamo, sono inaccettabili. Servirà scegliere da che parte stare, se da quella di chi lotta per la difesa della terra o da quella di chi, giorno per giorno, la uccide colpevolmente. Anche la scienza, quella stessa scienza che per secoli è stata inquisita e condannata dalla bigotta cultura del regno dei Papi e che, nata dal ventre gravido dell’Alchimia è finita per divenire ennesimo strumento di controllo sociale e lucro, spesata e normata dal capitale, ammette che l’evoluzione non si svolge su di una unica direttiva ma, ipoteticamente, potrebbe seguire varie linee. Si tratta solo si trovare, il più rapidamente possibile, il punto da cui far partire questa nuova linea evolutiva, che faccia tesoro degli errori passati per non ripeterli. Un’evoluzione che, prima di tutto, cominci con l’atto di abbandono delle vecchie politiche rappresentative di palazzo e con la demolizione delle Nocività preesistenti. Utopia, sogni? può darsi ma è certo meglio che restare seduti davanti alla televisione ad aspettare la fine, come tanti spettatori rincoglioniti e sedati, senza sogni ma attorniati da tanta spazzatura che ci illudiamo servirà ad attutire la caduta. Se un mondo migliore è possibile, come dice un ormai logoro adagio, la fine di quello odierno è dietro l’angolo.

Nutiziàri frArés:

30 aprile – Ancora puzza di ENB attorno alla zona del Bennet e Piccola Media Industria e nuovo esposto da parte di cittadini. Ricordiamo che l’ENB è una sostanza tossica usata da Polimeri Europa (ENI) all’interno del Petrolchimico di Ferrara, che ha appena riottenuto il rinnovo della registrazione EMAS sulla qualità ambientale, sebbene lo scorso anno l’impianto di lavorazione fu fermato per breve tempo, a seguito di decine di segnalazioni di residenti che lamentavano irritazioni agli occhi e difficoltà di respirazione dopo una fuga della sostanza.

Aprile/Maggio – si è formato il comitato “No Veleno Bondeno”, che si oppone alla realizzazione di un deposito di stoccaggio di rifiuti speciali e tossici, nella zona industriale Riminalda, vicina alla nuova stazione ferroviaria ed a circa 2 Km dal centro del paese. Il progetto della ditta Cargofer è avversato dall’intera popolazione; il comitato ha raccolto le firme contrarie di oltre 3.400 abitanti su un paese che ne conta settemila. Il Comune ha espresso parere negativo ma l’ultima parola spetterà alla giunta provinciale. Intanto, sempre a Bondeno, la ditta Guascone vorrebbe realizzare, tra Scortichino e Burana, una porcilaia da 20.000 capi l’anno. Speriamo che il comitato appena formato si opporrà anche a questo insediamento nocivo, dato che, come è risaputo, gli allevamenti di grosse dimensioni producono quantità enormi di inquinamento, anidride carbonica e liquami che poi verranno scaricati nei fiumi, senza contare la sofferenza di migliaia di animali destinati ad essere stipati in spazi piccolissimi per risparmiare spazio, esclusivamente per divenire parte della nostra dieta. Una seconda porcilaia da 1.600 capi, questa volta voluta dall’azienda Molino Boschi di S.Michele di Ravenna e che dovrebbe realizzarsi sul territorio di Alfonsine (RA), ha incassato il parere negativo della giunta comunale di Argenta (FE), comune a ridosso dell’area dove dovrebbe sorgere l’allevamento. Anche in questo caso la popolazione ha protestato con cartelli posizionati nel centro della frazione di Anita.

8 maggio – infortunio sul lavoro nel cantiere Turbogas. Un operaio della ditta Tozzi Sud, impresa ravennate specializzata in impianti elettrici, a più di 30 metri di altezza viene colpito da una tavola di legno caduta dall’alto, mentre i sindacati, invece di proteggere i lavoratori, inveiscono contro gli ambientalisti, rei, secondo loro, di mettere in pericolo l’occupazione (o gli interessi degli industriali a cui sono al soldo?).

9 maggio – la stampa rende noto che la Wellco di Valdobbiadene (Treviso) si è aggiudicata l’appalto da oltre 3 milioni di euro per la realizzazione della struttura in acciaio che rivestirà la Turbogas da 800 Mw.

Mese di maggio – lenzuola con le scritte NO TURBOGAS – NO INCENERITORE compaiono un po’ ovunque, soprattutto nelle zone di Cassana e della circoscrizione Nord-Ovest.

28 maggio – Con un cinismo davvero esemplare Basell, multinazionale chimica della plastica presente al petrolchimico di Ferrara, ha sottoscritto assieme ad ANT, Associazione Nazionale Tumori, un progetto di prevenzione dei tumori riservato ai soli dipendenti dell’azienda. Della serie: prima li facciamo ammalare e poi fingiamo di preoccuparci, così ci guadagnamo pure in immagine. Ma la miglior prevenzione, chè è quella di evitare la produzione di veleni e materiale pericoloso, non viene nemmeno affrontata. I lavoratori sono avvertiti! morte chimica? a morte la chimica!

5 maggio – lavoratore muore carbonizzato dopo un’esplosione dello stabilimento chimico Unibios di Trecate (Novare). Nello stabilimento si erano già verificati incidenti, otto mesi fa un operaio era rimasto ustionato dalla soda caustica rimanendo a lungo in coma.

27 maggio – In una cartiera, a Tolentino (Macerata), divampa un incendio che distrugge parte del capannone. Tre operai intossicati.

29 maggio – Il coperchio di un forno di una ditta del bresciano specializzata nel trattamento di materie plastiche è esploso, colpendo in pieno un operaio ventiseienne, che è morto poco dopo all’ospedale.

Questi sono soltanto gli ultimi episodi, riferiti a questo mese, di una lunga serie di incidenti che ogni anno coinvolgono impianti chimici. Solo una combinazione?

Emergenza rifiuti:
12 maggio – la popolazione di Serre (Salerno) invade una cava, posizionata in un’oasi protetta, in località Valle della Masseria, che era stata individuata per l’emergenza in Campania come sito di conferimento di 700mila tonnellate di rifiuti. Dopo aver impedito ai camion di scaricare i rifiuti i carabinieri in assetto anti-sommossa attaccano i manifestanti ed interviene pure l’esercito che recinta l’intera zona. Nei giorni successivi altri presidi e sit-in, mentre alla popolazione di Serre si aggiungono quelle dei paesi vicini e anche i comitati No-Tav dal Piemonte. Proteste e offensive anche ad Acerra (dove vengono inviate 2.000 tonnellate di rifiuti al giorno!) e Montecorvino Pugliano (Salerno), dove sono state riaperte le discariche. Intanto buona parte dei rifiuti campani sono stati inviati in Romania, le cui discariche sono tra le più economiche d’europa. Non si sa mai che una parte di questi rifiuti non possa finire proprio a Ferrara, una volta triplicato l’inceneritore di Hera!

Il grido silente
C’È UN GRIDO SILENTE CHE ATTRAVERSA QUEST’ERA DEGENERATA: È IL SOFFIO DI PROTESTA E DI LAMENTO DELLA TERRA PER OGNI VITA ANIMALE CHE SI STA ESTINGUENDO, PER OGNI MARE E FIUME INQUINATO E SFRUTTATO, PER OGNI TERRITORIO DETURPATO IRRIMEDIABILMENTE, PER OGNI PROVINCIA AVVELENATA, PER OGNI LITORALE DEVASTATO DAL CEMENTO, PER OGNI ALBERO ABBATTUTO PER FARE POSTO ALL’ENNESIMO QUARTIERE RESIDENZIALE, PER OGNI NUOVA FABBRICA COSTRUITA, PER OGNI ANTENNA E RIPETITORE INSTALLATI, PER OGNI CONTAMINAZIONE AMBIENTALE, PER OGNI NUOVO ESPERIMENTO DELLA BIOTECNOLOGIA, PER OGNI POSTO IN CUI LO SFRUTTAMENTO SCELLERATO DI QUESTO SISTEMA HA IMPOSTO IL PROPRIO DOMINIO.
È UN GRIDO, QUESTO, CHE ARRIVA A TOCCARE LE SENSIBILITÀ E LE CORDE DI COLORO CHE ANCORA RIESCONO A COGLIERNE LA DRAMMATICA NATURA MA PIÙ COMUNEMENTE NON VIENE ASCOLTATO, FINENDO PER ESSERE IGNORATO DAI PIÙ.
EPPURE, NEL SILENZIO, È UN GRIDO CHE CI DICE MOLTE COSE. NEL SILENZIO RACCONTA LA SUA TRAGEDIA, LA SUA SOFFERENZA E LA SUA NEMESI. PERCHÉ È NEL SILENZIO CHE SI STA COMPIENDO LA SCOMPARSA DI QUELLE SPECIE ANIMALI E VEGETALI CHE CONTRADDISTINSERO E QUALIFICARONO I TERRITORI CON LA LORO PRESENZA; LA GLOBALIZZAZIONE DEL VELENO E DELL’AFFARISMO NE STA SANCENDO L’ECLISSE COMPLETA, IRRIMEDIABILE.
COME LA NINFEA BIANCA, PIANTA PECULIARE DELLA ZONA MEDITERRANEA, CHE FINO A POCHI DECENNI FA ERA PRESENTE IN OGNI STAGNO E CANALE DELLA PIANURA A RIDOSSO DEL CORSO DEL FIUME PO, CARATTERIZZANDO QUESTO TERRITORIO ED ORA SI È FATALMENTE RIDOTTA A RARI ESEMPLARI, CIRCOSCRITTI IN AREE LIMITATE. LA SCOMPARSA DI UNA SPECIE TIPICA MOSTRA, PIÙ DI MILLE PAROLE, LO STATO DI UN TERRITORIO. È UN GRIDO, QUELLO DELLE NINFEE, COME DI QUALUNQUE ALTRA SPECIE, SIA ANIMALE SIA VEGETALE, CHE OCCORRERÀ ASCOLTARE, PENA LA TOTALE PERDITA DI LEGAME CON L’AMBIENTE E LA TERRA E, CONSEGUENTEMENTE, DI VIVIBILITÀ SU QUESTO PIANETA.
SERBIAMONE MEMORIA, PERCHÉ QUALCHE VOLTA IL SILENZIO SI FA TEMPESTA.

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“Il Grido delle Ninfee” num. 3 – Petrolchimico di Ferrara

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LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLE SCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

In questo terzo numero abbiamo voluto spendere qualche parola sul movimento ambientalista che da qualche anno si è creato a Ferrara, attorno ai temi caldi della costruzione della centrale elettrica turbogas e della triplicazione dell’inceneritore Hera. Ci è piaciuto coglierne i pregi ed i limiti, cercando di proporre soluzioni che possano dare uno slancio in più per fermare questi progetti nocivi che si ripercuoteranno sulla vita di tutti. Pensiamo che in questo momento, proprio quando i due impianti sembrano prossimi all’accensione, la lotta debba essere radicalizzata e si debbano tentare nuovi piani pratici di azione. Le assemblee pubbliche indette dai Comitati, da questo lato sono sembrate ancora abbastanza carenti. È indispensabile capire se si vuole evitare davvero di subire queste nocività. Bisogna che dalle assemblee emerga chiaro il proposito di mettersi in gioco totalmente per fermare i progetti che la popolazione vive come imposti.
Accanto a questa analisi abbiamo voluto accostare un discorso inerente a quella che viene chiamata “la crisi del settore della chimica” ed abbiamo, dunque, finito per parlare anche del Polo Chimico di Ferrara. Se lo abbiamo fatto c’è una ragione ed è evidenziare, al di la dei singoli stabilimenti nocivi, l’esistenza di un problema ben più grande. La reindustrializzazione di questo settore è un fatto per noi preoccupante che, al di la di un’ottimistica previsione di occupazione (ricordiamo che lo sviluppo della tecnologia ha portato e porterà sempre più ad un minor ricorso di mano d’opera umana), pende come una spada di Damocle sul presente e sul futuro del pianeta. Pensiamo che opporsi ad una sola – o due – nocività sia abbastanza ingenuo, perché mostra una difficoltà di comprensione di come la produzione tecnologica, in realtà, faccia parte di un unico progetto. Ci sembra giusto soffermarsi su una singola nocività, per concentrare gli sforzi su di un obiettivo che può essere attaccato e abbattuto ma va sempre tenuto a mente che le nocività non sono slegate dal contesto che le crea. Questo, per noi, è essere ecologisti.

Quale ecologia?
“Ecologia: scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente fisico in cui vivono”.

Per schiarire le idee:
NO, non siamo del partito dei Radicali.
NO, non ci riconosciamo nella sinistra cosiddetta radicale, che di radicale ha ben poco, o nulla.
NO, non siamo legati ad ideologie di partito, di destra, di sinistra, di estrema sinistra o neofascista.
Siamo Anarchici. Siamo ecologisti anche, perché le relazioni tra ambiente fisico ed esseri viventi, umani e non, è alla base di ogni altra considerazione.
Siamo per un ecologia radicale, in quanto presupponiamo che lo studio di un effetto debba portare in maniera logica alla messa in discussione dell’intero sistema che ne permette la nocività.
E agiamo coerentemente. Nient’altro.

PREGI, LIMITI E PROSPETTIVE DEL MOVIMENTO AMBIENTALISTA FERRARESE.
Parlando dei comitati cittadini che in questi anni si sono formati va sicuramente riconosciuto il buon lavoro di informazione svolto e la loro ritrosia a lasciarsi strumentalizzare dai partiti politici. L’indipendenza dai partiti, espressione fondamentale dei comitati, va senz’altro salvaguardata e difesa, ben sapendo che un ipotetico “partito” dei comitati, sia su scala locale che nazionale, una volta entrato a far parte della bagarre elettorale ed investito di una responsabilità istituzionale, mal riuscirebbe a svolgere il compito che si era prefisso in partenza. È molto più probabile che questa ennesima formazione rischierebbe di essere strumentalizzata da una parte politica, in contrapposizione ad un altro schieramento o, peggio ancora, finirebbe impantanato e coinvolto nelle meschine diatribe per contendersi i posti del privilegio politico e nel mercanteggio delle poltrone di palazzo, perdendo totalmente di vista i problemi che, sulla carta, era intenzionato a risolvere. Pensiamo solamente al partito dei “verdi”, esempio lampante di come un’organizzazione che si presenta come ambientalista – e magari tra i suoi elettori ed iscritti di base vi è anche qualche persona in buona fede – abbia finito, una volta entrata a far parte del sistema rappresentativo, per patrocinare nocività come la Turbogas, perdendo anche quella residuale credibilità che ancora qualcuno era disposto ingenuamente a concederle. Il caso descritto è emblematico di come funzionino i rapporti di potere all’interno della politica “ufficiale” e prima o poi vi si accomodano tutti. Sarebbe realmente pericoloso dare credito ad alcune voci che preannunciano iniziative unitarie con le forze politiche “che ci stanno”. Il riferimento è ad un esponente in vista del comitato FerrAria Pulita, che scopre le sue carte e dice, sui giornali locali, che “se c’è qualche forza politica interessata a muoversi negli ambiti istituzionali è benvenuta”. Mentre anche altri esponenti di altri comitati non hanno nascosto di vedere di buon occhio una “discesa in campo”, magari con qualche alleanza strategica, tanto che vi è stato perfino un dibattito interno al movimento dei comitati, divisi sull’opportunità o meno di partecipare alla bagarre elettorale con propri candidati. Questa “vocazione” da rappresentante del movimento, che evidentemente qualcuno ha, va stroncata sul nascere perché portatrice di rivalità, raggiri ed espedienti troppo distanti dall’onestà di intervento con cui il movimento ambientalista ha cercato di muoversi fin ora. Continuiamo a preferire l’autogestione delle lotte, completa, indipendente, coerente con se stessa. I maggiori limiti che abbiamo notato, all’interno della variegata composizione del movimento dei comitati ambientalisti ferraresi, li abbiamo potuto osservare nel contesto delle assemblee cittadine. La prima cosa che abbiamo notato è, purtroppo, un continuo ripetersi su argomenti arcidiscussi e che ormai avrebbero dovuto esser chiari a tutti, dopo anni spesi ad argomentarci sopra. Non fraintendiamoci. Come dicevamo, un merito dei comitati è stato quello di informare la gente, anche portando a conoscenza dati tecnici e scientifici, altrimenti difficilmente reperibili, tanto che l’uso di “tecnicismi” come “micropolveri”, “Pm10”, ed altri sono stati sottratti e strappati all’oscuro ed esclusivo gergo dei tecnici per essere consegnati alla comprensibilità di tutti, entrando a far parte del vocabolario comune. Però, è d’altronde evidente che dopo 4 anni di opposizione ai progetti della Turbogas e della triplicazione dell’inceneritore Hera, sarebbe logico attendersi che al dialogo e al confronto dialettico si affianchi pure un percorso di lotta ed una serie di azioni pratiche, volte ad indirizzare gli sforzi verso l’obiettivo comune che ormai non dovrebbe essere messo in dubbio e cioè ostacolare con tutte le forze e tutti i mezzi possibili l’accensione dei due impianti. Una lotta limitata alla sola informazione, a nostro avviso, ha al suo interno una carenza che ne circoscrive la portata e la capacità di incidere davvero; al contrario, pensiamo che le proposte di azioni pratiche e la loro realizzazione possa riuscire ad innescare quel salto qualitativo di cui il movimento ambientalista ferrarese ha sicuramente bisogno e a tal proposito ci è parso che alcune proposte uscite dalle assemblee pubbliche vadano in questa direzione e, quindi, debbano essere tenute in grande considerazione. Si è parlato di possibili comparsate in tutti quegli incontri promossi dalle aziende costruttrici per pubblicizzare le loro nocività, per rendergli amara la festa; oppure di occupare e bloccare i binari della stazione ferroviaria…si potrebbero escogitare blocchi stradali in bicicletta, stile “Critical Mass” o creare presidi permanenti sotto il comune o davanti ai cantieri, come in Val Susa…non vi devono essere limiti alla creatività e alla fantasia ma le stesse devono diventare un arma in più del movimento di opposizione alle nocività. Forse è anche ora di pensare ad una manifestazione regionale contro le nocività da tenere a Ferrara, visto le tante realizzazioni dannose che stanno sorgendo in città e provincia e che si associano a quelle presenti od in costruzione nelle altre province dell’Emilia-Romagna. La regione, per esempio, sta diventando un coacervo di centrali elettriche di piccole e grandi dimensioni; per rimanere in tema Turbogas: una è in costruzione a Imola, nel bolognese, e sarà gestita da Hera, un’altra è a Porto Corsini, in territorio ravennate…aggiungiamoci la centrale di Porto Tolle, insediata nel bel mezzo del parco del Delta del Po e che Enel vorrebbe riconvertire a carbone e le due centrali mantovane di Sermide (turbogas) e Ostiglia, prossime al territorio ferrarese ed il quadro che emerge è che viviamo davvero immersi nei veleni e Ferrara è proprio in mezzo a questo quadrilatero appena evidenziato. E siamo ancora qui a chiederci quanto la Turbogas di Ferrara inquinerà, giocando coi numeri, quando è chiaro che aggiungerà un aggravio sostanzioso alla situazione che già oggi, senza la megacentrale, risulta inaccettabile. Ritornando ai limiti che abbiamo avvertito nel movimento ambientalista ferrarese, ci è parso cogliere l’apparente difficoltà di coordinarsi tra i vari comitati. Abbiamo assistito ad alcuni incontri pubblici dove il numero di intervenuti è risultato davvero basso. Questo, ipotizziamo, può significare che manca quel necessario coordinamento che – pur restando ferma l’autonomia di ogni comitato – aiuterebbe certamente a migliorare la diffusione di notizie, l’informazione e l’organizzazione degli incontri. Questo non significa formare un “partito” o un organizzazione formale ma solamente finalizzare gli sforzi in una direzione comune, pur con tutte le differenze e le pluralità d’intervento. Se si vuole davvero fermare i due impianti, se si vuole che il NO a Turbogas ed inceneritore non restino soltanto slogan, bisognerà osare qualcosa di più e scendere nel campo dell’opposizione concreta ed intraprendere forme di mobilitazione più radicali. Ogni perplessità, ogni ripiegamento, ogni obiettivo intermedio, ogni posizione che non sia quella di una opposizione radicale agli impianti di morte sarebbe fare un passo indietro, proprio quando invece occorre avanzare spediti, giacché le nocività incombono e l’accensione della centrale Turbogas e dell’inceneritore triplicato è questione di mesi. In prospettiva, la lotta non si esaurirà con l’eventuale messa in funzione dei due impianti, perché le nocività ci circondano ed il loro dilatamento è un processo endemico di questo sistema sociale. Ancora non hanno finito di costruire i due impianti che già si pensa a realizzare l’Idrovia, con lo scempio che porterà al fiume Po e ai suoi affluenti; od ancora l’Autostrada Cispadana…come si vede la lotta non si ferma e non si deve fermare con l’eventualità di perdere la battaglia sul fronte della Turbogas/Inceneritore ma continuerà contro ogni nocività, presente e futura sul territorio ferrarese. E se dovessimo perdere qualche battaglia, questo ci serva da lezione per svegliarci davvero e per trarre dagli errori la volontà di non sbagliare di nuovo; perché non dicano, anche la prossima volta, che la protesta era arrivata troppo tardi…che si possa dire, invece, che la protesta si è fatta tempesta.

A PROPOSITO DELLA CRISI DEL SETTORE DELLA CHIMICA.
Il 14 dicembre, davanti al ministro Bersani, ai sindacati confederali, agli enti locali, Eni e imprese del Polo, è stato firmato il Protocollo d’Intesa su Porto Marghera, dove esplicitamente la chimica viene indicata come un settore strategico ed indispensabile. L’accordo prevede, tra le altre cose, una serie di investimenti per l’avvio di produzioni “più avanzate”. A quest’accordo, e ai prossimi che riguarderanno gli altri siti chimici presenti nel quadrilatero formato da Ravenna, Ferrara, Mantova e, appunto, Porto Marghera è sicuramente interessata anche la città Estense, che già guarda al nuovo Accordo di Programma per la Chimica, che dovrà sostituire il precedente del 2001 e che prevederà come punto centrale la reindustrializzazione del polo chimico, partendo proprio dalla centrale Turbogas che dovrà favorire l’arrivo di nuove imprese con la fornitura di energia a costi abbordabili, mentre per quelle già presenti all’orizzonte vi è un investimento di Eni per 45 milioni di euro per potenziare l’impianto di polietilene di Ferrara di Polimeri Europa mentre la Basell ha incrementato del 40% la sua produzione plastica, fatturando nel 2006 ben 10 miliardi di euro e per questo premiata come seconda impresa più innovativa d’Italia. Yara, dal canto suo, punta sul nuovo impianto per produrre Adblue, una miscela di Urea, che verrà impiegata dai veicoli industriali e ha dichiarato di voler investire 30 milioni di euro da qui al 2011. Non ci pare proprio un settore in crisi, che abbia bisogno di agevolazioni ed aiuti per non morire, ma pienamente in salute, purtroppo. Eppure gli industriali dicono: “Energia cara e burocrazia ci impediscono di correre”, parlando di un clima “antiindustriale” e minacciando reazioni di ricaduta sull’occupazione nel caso i loro progetti di industrializzazione non venissero ripresi alla lettera dal nuovo Accordo di Programma; ed anche i sindacati, con loro, chiedono di rendere l’energia prodotta dalla Turbogas accessibile ad un costo vantaggioso per le imprese insediate e per quelle che si vorranno insediare e di prevedere agevolazioni fiscali. Inoltre, sempre i sindacati, questi gran difensori del proletariato urbano, chiedono a gran voce l’ampliamento del bacino degli scambi di emissioni inquinanti, in pratica la facoltà per le imprese di “comprare” il diritto di inquinare di più dalle industrie che inquinano di meno. E c’è chi sta pensando proprio a questa soluzione, ed è il Comune, che chiede alla SEF di ridurre le emissioni inquinanti, in maniera volontaria ci mancherebbe, perché meno inquina la Turbogas e più potranno farlo le altre aziende che si insedieranno in futuro. Proprio un bel esempio di lungimiranza, non c’è che dire. Purtroppo per il sindaco Sateriale la SEF non pare disposta ad accettare perché, come ha detto il responsabile Rosario Cigna, “dimezzare la Turbogas non avrebbe senso finanziario”, ammettendo candidamente che la vera ragione per cui si fa la megacentrale è solamente per lucrare il più possibile sull’energia venduta e questo, implicitamente, è anche il motivo per cui non sono state semplicemente riconvertite a metano le due vecchie e più piccole centrali esistenti, “perché avrebbero una capacità produttiva inferiore al necessario”. Necessario a che? Non si vorrà mica inscenare ancora lo spauracchio della crisi energetica? Ma dov’è questa crisi? In molti si sono fatti abbindolare dalla disinformazione, svolta benissimo dai media nazionali. Quando si legge una notizia al giornale, prima di tutto bisognerebbe chiedersi: chi l’ ha commissionata? Chi ha pagato il servizio in onda sul Tg? Allora tutto ci sembrerà più chiaro. L’Italia non ha bisogno affatto di nuove centrali, perché già ora quelle che possiede non marciano a pieno regime e se acquistiamo energia dall’estero è soltanto perché costa di meno, solamente per questa ragione. Se le aziende costruiscono le centrali, le ragioni sono ben altre. L’Enipower, per esempio, ha vinto nel 2004 l’European Electricity Challenge, un iniziativa europea per sviluppare le competenze aziendali nel settore dell’energia elettrica e del gas e dispone in Italia di sette impianti produttivi, mentre conta di arrivare a possedere una potenza complessiva di 5.000 Mw con la costruzione di nuovi centrali come quella di Ferrara. Che tutte queste centrali servano per sopperire ad una mancanza di energia è veramente una grossa burla. In realtà Enipower sta tentando di arrivare al traguardo dei 5.000 Mw per essere più competitiva ed avere maggior peso nei mercati internazionali, perché è così che funziona il sistema delle liberalizzazioni, altro che crisi! La realtà è che ormai l’offerta di energia non viene più sostenuta in base alla domanda ma è il contrario: prima si crea energia a bassi costi e magari con incentivi statali ed europei e poi si cerca a chi venderla. Il tutto sopra la pelle delle persone, come sempre. É la solita vecchia manifestazione del capitalismo. E a chi oppone la considerazione che più industrie significa pure più inquinamento? Non c’è problema, vorrà dire che il Polo Chimico sarà più “ecologico”! Questo si evince dall’accordo firmato da nove aziende del Petrolchimico, dai tre sindacati, dalla Confindustria Ferrara, da Arpa, Comune e Provincia, dove si parla di far acquisire l’attestato Emas alle aziende firmatarie del protocollo d’intesa riunite in soggetto unico. Cosa vuol dire questo? Niente: solamente le aziende aderiscono volontariamente ad uno schema di gestione ambientale per ottenere un attestato che ne certificherà la “buona volontà” e con questo si potranno rifare un immagine “verde” e “ambientalista”. Strano il mondo, chi attacca la società dei veleni e gli avvelenatori viene definito estremista mentre i veri eco-terroristi, che sono quelli che i veleni li spargono a piene mani, miracolosamente divengono irriducibili difensori dell’ambiente. Ma la credibilità di tutto ciò è pari a chi bombarda popolazioni intere asserendo di stare portando la pace e la democrazia. Non possiamo ignorare una grande verità, accessibile a chiunque non viva coi paraocchi: Chimica ed Ecologia non sono parole accostabili, per cui dobbiamo porci la domanda: il Polo Chimico può essere ecologico, sostenibile? La risposta è NO! Ma c’è chi ‘STÌ CAZÀD ce le vuole far bere e allora addirittura arriva un libro – Ferrara e il suo petrolchimico, edito da Cds – che sostiene che non è più la chimica sporca e cattiva di una volta ed i suoi estensori si lanciano in argomentazioni discutibili ed arbitrarie secondo cui “la plastica contribuisce a migliorare l’attività umana” e “bisognerebbe riconoscere che della chimica non si può fare a meno, salvo regredire a livelli di vita non più accettabili”. Ebbene, a coloro che hanno l’arroganza di indicarci il cammino dell’umanità, siamo lieti di fare un torto: non solo troviamo un mondo senza i veleni che pubblicizzano – lautamente stipendiati dalle aziende – più che desiderabile ma è proprio la società odierna che sta degenerando a livelli di vita non più accettabili. E all’inaccettabile cercano di abituarci, per renderlo accettabile e così nascono manuali destinati ai cittadini dove si spiega cosa fare in caso di esplosione o dispersione di nubi tossiche, così da creare quell’abitudine all’emergenza sempre presente, un costante clima di allarme ed apprensione con cui dover convivere. Eh, si, perché il pericolo è sempre presente, come è successo a Treviso, dove nel giro di due giorni sono andate in fiamme la De Longhi ed altre due fabbriche, una di materassi ed una di materie plastiche, e si è sprigionata una nube tossica che ha ricoperto la città, che ha costretto i cittadini a rinchiudersi in casa, col divieto di andare nei parchi, e a saccheggiare i negozi che vendevano mascherine. Se l’incendio di uno stabilimento di macchinette per caffè ha fatto registrare picchi di Diossina tre volte superiori ala norma, figuriamoci cosa accadrebbe se dovesse succedere ad un impianto chimico! Davanti all’eventualità di un pericolo incombente sulla nostra testa e alla rassegnazione di vivere nel costante timore è necessario domandarci se questa è la strada che vogliamo percorrere. Non si tratta di una domanda retorica ma della scelta che ci vede come attori protagonisti della nostra vita, non accettando i loro impianti che, come abbiamo visto, non solo producono nocività ma creano anche un clima di controllo sociale attraverso l’assuefazione alla paura. Dobbiamo pretendere un cambio di traiettoria radicale, cominciando a chiederci se davvero valga la pena di perdere la nostra salute (gli stessi tecnici della Provincia evidenziano il dato che il comparto industriale è responsabile al 60% , ed è quindi fortemente colpevole, delle emissioni totali degli Ossidi di Azoto, che sono i precursori delle polveri sottili.), la nostra serenità e la vivibilità su questo pianeta – e di conseguenza la libertà di goderne pienamente – per assicurare la continuità a questo modello di sviluppo. Dobbiamo cominciare a chiederci, invece, se non valga molto di più impegnarci per gettare le basi di una società non mortifera, salubre e a misura d’individuo.

LE AZIENDE PERICOLOSE DEL POLO CHIMICO.
– AMBIENTE S.p.A. p.zzle Donegani, 12
trattamento residui liquidi e solidi dello stabilimento multisocietario di Ferrara, di Società e Aziende terze.
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: Benzene
Sostanze che possono provocare nubi tossiche: Benzene

– BASELL POLIOLEFINE ITALIA S.p.A. p.zzle Donegani, 12
Attività: produzione Polipropilene e materiali composti (materie plastiche, resine sintetiche, termoplastiche e altri prodotti affini) e ricerca materie plastiche
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: GPL, Etilene, Pentene, Alcool metilico
Sostanze che possono provocare nubi tossiche: Titanio tetracloruro

– SYNDIAL (EX ENICHEM) p.zzle Donegani, 12
Produzione: centrale termoelettrica, acqua demineralizzata, Ossido di Propilene
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: GPL, Ossidi di Propilene, Alcool metilico

– POLIMERI EUROPA s.r.l. p.zzle Donegani, 12
Attività: produzione e sviluppo gomme sintetiche e Polietilene a bassa densità
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: GPL, Perossidi, Etilene, Toluene, Alcool metilico
Sostanze che possono provocare nubi tossiche: ENB, Toluene

– YARA ITALIA S.p.A. (Ex HYDRO AGRI ITALIA) p.zzle Donegani, 12
Produzione: impianto Urea, impianto Ammoniaca, diserbanti
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: Metano, Idrogeno, Ammoniaca
Sostanze che possono provocare nubi tossiche: ammoniaca

– NYLCO/ P-GROUP s.r.l. p.zzle Donegani, 12
Produzione: Poliesteri (Polimeri solidi in granuli)
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: Alcool metilico

– VYNILOOP FERRARA S.p.A. via Marconi, 73
Produzione: riciclo materiali a base di PVC
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: solventi liquidi come Metiletilchetone ed Esano

– ANRIV s.r.l. via Monari, 5
Attività e produzione: deposito di Fitofarmaci
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: Fitofarmaci
Sostanze che possono provocare nubi tossiche: fumi tossici

– ALCOPLUS S.p.A. (ex ALC.ESTE. S.p.A., ALCOOL ESTENSE) ex Eridania, via Turchi, 18
Attività e produzione: distillazione del melasso da barbabietola per la produzione di Alcool
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: Alcool etilico

– PETROLIFERA ESTENSE S.p.A. via Padova, 43
Attività e produzione: deposito di combustibili
Sostanze che possono provocare incendio e/o esplosione: benzine, oli combustibili

Oltre a queste aziende, considerate a rischio ambientale, nel Petrolchimico sono presenti CRION s.r.l.: produzione gas tecnici; CENTRO ENERGIA OPERATOR FERRARA s.r.l.: produzione energia elettrica, gestione della turbogas da 150 Mw; CENTRO RICERCHE “GIULIO NATTA” (BASELL S.p.A): ricerca e sviluppo di materie plastiche e gomme; IFM – INTEGRATED FACILITY MANAGEMENT: servizi industriali interni; SEF – SOCIETÀ ENIPOWER FERRARA: gestione della costruendo turbogas da 800 Mw.
Adiacente al Petrolchimico vi è poi l’ AREA INTEGRATA SOLVAY di via Marconi. A partire dal 1998 la Solvay ha avviato in questa area le operazioni per la dismissione dell’impianto per la produzione di PVC. Il progetto, conclusosi in due anni, ha permesso il rilancio dell’area che oggi vede la presenza delle società: SOLVAY CHIMICA ITALIA (compound), SOLVAY SOLVIN ITALIA, G.F.C. CHIMICA (produzione prodotti chimici) oltre alle già nominate VINYLOOP e P- GROUP

Il Petrolchimico e la sua storia:
L’insediamento è attualmente multisocietario e si estende su circa 250 ettari a nord di Ferrara, nelle immediate vicinanza del suo centro abitato e a 4 km dalla sponda destra del fiume Po. L’attività produttiva comincia nel 1941 con un impianto di gomma sintetica della Società anonima italiana gomma sintetica; nel 1950 lo stabilimento viene rilevato dalla Montecatini, che successivamente si trasforma in Montedison, Montepolimeri, Enimont ed infine Enichem. Oggi il Petrolchimico, dopo la chiusura del cracking della Virgin Nafta è caratterizzato dall’apertura negli anni ’70 della pipeline che dallo stabilimento di Porto Marghera trasporta fino a Ferrara etilene e propilene. L’area del Petrolchimico si sta sempre più caratterizzando anche come polo energetico, con la costruzione, una decina di anni fa, di una centrale elettrica turbogas da 150 Mw e la futura da 800 Mw. L’Accordo di Programma del 2001 permetteva nuovi insediamenti solamente in vista di una bonifica totale dell’area ma sono stati solamente eseguiti interventi parziali e discontinui sulla falda superficiale e sui terreni, dimenticando la falda profonda, che risulta essere inquinata anch’essa da anni ed anni di insediamenti nocivi. Gli inquinanti maggiormente rilevati sono: Arsenico, Cromo, Nichel, Alluminio e CVM (La lavorazione del Cloruro di Vinile Monomero è stata proseguita dall’azienda Solvey fino al 1998, quando ha deciso di chiudere l’impianto di produzione del polimero derivato. Nel 2001 è stato presentato un esposto alla Procura da parte di 35 persone tra famigliari e lavoratori, di cui 33 contro la Solvay e 2 contro il Petrolchimico, per i decessi per tumore e le malattie epatiche e dell’apparato respiratorio che si sono registrati in questi anni tra gli operai che lavoravano il CVM, agente cancerogeno). In considerazione della conformità del terreno, che sembra poggiare su un antico ramo del Po prosciugato, sembra che gli inquinanti dalla falda superficiale abbiano trasmigrato in quella profonda e non si esclude che abbiano inquinato anche il vicino Canele Boicelli ed i Canali della Bonifica. La legge Seveso, che scaturì dopo l’incidente del 10 luglio 1976, nello stabilimento chimico Icmesa di Meda, di proprietà del gruppo Givaudan Hoffman – La Roche, che portò alla formazione di una nube tossica con altissime concentrazioni di Diossina che si espanse sui territori della Brianza e all’evacuazione della cittadina di Seveso (con molti casi di intossicazione, ricoveri in ospedale, eritemi), prescrive che gli impianti pericolosi devono essere delocalizzati fuori dai centri abitati eppure il Petrolchimico di Ferrara è a due passi dal centro storico, inserito in un quartiere densamente popolato e ben dieci aziende al suo interno sono state classificate ad elevato rischio ambientale. In tutta Italia ci sono più di mille impianti classificati pericolosi e un quarto di loro sono stabilimenti chimici.

Nutiziàri frarés:
Turbogas, via libera agli off-gas.
12 aprile: il ministro per l’Ambiente, Pecoraio Scanio, leader del partito dei Verdi, ha deciso che non serve una nuova Valutazione di Impatto Ambientale per bruciare gli off-gas nella centrale Turbogas di Ferrara, anche se la VIA del 2002 prevedeva che la centrale fosse alimentata esclusivamente a gas naturale e potesse essere avviata solo dopo che SEF avesse realizzato un impianto specifico per il trattamento di questi gas incombusti e altamente nocivi. Così Enipower e SEF risparmieranno soldi e inquineranno di più, convogliando tutti i gas incombusti delle altre aziende verso la Turbogas. Complimenti!

Turbogas e lavoro nero.
Il 27 marzo un operaio rumeno sale su una gru a 40 metri di altezza e minaccia di buttarsi, denunciando inaccettabili condizioni di lavoro nel cantiere dove si sta costruendo la megacentrale elettrica. Dopo un blitz della Finanza si scopre che il caso non è isolato e viene individuata una società appaltatrice di Sant’Ilario d’Enza, nel Reggiano, come responsabile di un giro di lavoratori clandestini. SEF, Enipower e Snamprogetti, quest’ultima di proprietà dell’Eni e responsabile degli appalti (un’azienda che partecipa alla realizzazione della TAV Milano-Bologna, di pipeline e rigassificatori per l’Adriatico e delle Turbogas di Ferrera Erbognone, Mantova, Ravenna e Brindisi), dicono di non saperne nulla e si chiamano fuori mentre, come spesso accade, gli unici a pagare sono stati i lavoratori clandestini, che sono stati espulsi. La società di Reggio Emilia è, invece, solo stata licenziata.

Ancora puza ad’ goma brusàda:
Il procedimento penale contro Polimeri Europa (ENI), accusata di “getto pericoloso di cose”, per la vicenda delle puzze di ENB, sostanza tossica usata dall’azienda per la produzione di gomme, si è risolto con l’oblazione di 3.000 euro, una cifra irrisoria per un’industria come questa. La strada dell’oblazione chiude l’indagine senza un pubblico dibattito su cosa sia effettivamente successo.
Intanto, sta di fatto che, anche dopo le garanzie della risoluzione del problema, la sgradevole puzza di ENB, che assomiglia a quella di plastica e gomma bruciata, continua ad essere avvertita, in particolare nelle zone attorno al Petrolchimico.

Yara: ‘n altar sciòpp!
Ancora botti e scoppi, dalle sei di mattina fino a mezzogiorno del 6 aprile, alla fabbrica di urea e diserbanti Yara. Non è il primo incidente: a gennaio il coperchio di un silos di additivi chimici dell’azienda era saltato in aria, mandando all’ospedale due operai.

Fum négar e fog:
a metà aprile l’ennesimo blocco negli impianti del Petrolchimico, con le solite esalazioni di fumi neri e torcie, questa volta partite da Basell per un problema all’impianto

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“Il Grido delle Ninfee” num. 2 – Turbogas di Ferrara

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LA QUESTIONE DELLE NOCIVITÀ NON PUÒ ESSERE DISGIUNTA DA UNA RIFLESSIONE COMPLESSIVA SULLE CAUSE PRIMARIE DELLESCELTE CHE PRODUCONO LE STESSE E, QUINDI, DA UNA CRITICA GENERALIZZATA ALLO STESSO SISTEMA GENERANTE. ESSERE CONTRARI ALL’ESTENDERSI E AL DIFFONDERSI DI UNA CULTURA DI AVVELENAMENTO SOCIALE E DISTRUZIONE AMBIENTALE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON I MOTIVI CHE NE HANNO PORTATO IL VERIFICARSI. NON POSSIAMO CHIAMARCI FUORI! NOI TUTTI SIAMO CONDIZIONATI DAGLI EVENTI E DALLE MODIFICAZIONI SOCIALI CHE QUESTE SCELTE SISTEMATICHE VENGONO A CREARE: TANTO PIÙ NE SAREMO SOGGETTI QUANTO PIÙ SI ESTENDERANNO E PARRANNO PROGETTI DIFFICILMENTE SORMONTABILI. INSISTENDO SUL LEGAME CHE INTERCORRE TRA NOCIVITÀ (EFFETTO) E SISTEMA-DOMINIO (CAUSA), DI FATTO MANIFESTIAMO LA NOSTRA VOLONTÀ DI SPINGERCI AL DI LA DI UNA CRITICA STUCCHEVOLE E LANGUIDA, CHE NON TIENE CONTO DEI VERI PROBLEMI. SE LA NOSTRA SALUTE È IMPORTANTE, BASILARE È ANCHE IL METODO CON CUI QUESTA VIENE OTTENUTA PERCHÉ OLTRE AL BENESSERE FISICO DOBBIAMO ASPIRARE ANCHE A QUELLO SOCIALE”.

UNA SCELTA RADICALE
La causa ambientalista sembra, in questi ultimi anni, beneficiare di una maggiore comprensione da parte di alcuni strati della società. Basti pensare ai recenti movimenti di protesta contro la linea TAV in Val Susa, dove gente comune si è finalmente mossa senza aspettare l’avvallo istituzionale o partitico e dove si è arrivati all’indubbio risultato di fermare (almeno per ora) l’opera devastatrice. L’impresa della popolazione della Val di Susa ci mostra come progetti considerati inevitabili, per gli interessi milionari degli impresari e le ferme decisioni dei governanti, possano (e debbano), invece, essere contrastati con l’impegno attivo di tutti coloro che quel progetto lo subiscono e lo subirebbero come uno stravolgimento della propria vita, oltre che della propria salute. Ma questo, se da una parte dimostra come il fenomeno viene avvertito e di come la politica ufficiale non sia in grado di rispondere alle legittime esigenze della gente, manifesta comunque troppo spesso una insufficienza di analisi nel risalire alle vere cause che determinano il generarsi di questi progetti eco e socio nocivi. “il Grido delle Ninfee” nasce come piccolo contributo di critica radicale che cerca di ovviare a questa lacuna: in opposizione alle nocività del ferrarese nel particolare e al processo di civilizzazione in generale. Proprio nel processo civilizzatore vediamo il principale nesso storico responsabile della tendenza degenerativa nell’evoluzione umana, che ha portato a partorire il mito dello sviluppo tecnologico come panacea assoluta e rimedio ai mali causati dalla “instabile” natura umana. Ora ci accorgiamo che questo è in realtà un cammino che ci ha portato a ben foschi esiti e che non può essere più seguito come modello. Serve una de-industrializzazione a tutti i livelli che porti ad una consistente e tangibile messa in discussione di quei valori che stanno portando la terra e i suoi abitanti animali ed umani ad un logoramento continuo e ad una distruzione imminente. Non è più pensabile risolvere il problema della conservazione della terra e della biodiversità con i mezzucci della politica parlamentare o con leggi che alimentino aspettative illusorie, come le norme che stabiliscono le percentuali di nocività che è lecito immettere nell’ambiente. La contesa si svolge ad altri livelli ed è fra continuare con questo sistema ecologicamente e socialmente degradante oppure attivarsi per il suo abbattimento o, se si vuole, tra la possibilità di un’esistenza diametralmente opposta a quella odierna o nessuna possibilità per il futuro. La scelta è tra un mondo senza veleni ed uno senza vita.
Se nel primo numero abbiamo affrontato quella che era la vicenda più recente dal punto di vista temporale per quel che riguarda le nocività nel ferrarese, e cioè le esalazioni e le “puzze” provenienti dal Petrolchimico e la mai chiusa vicenda dei tumori associati all’esposizione del CVM per i lavoratori dell’area, questa volta esamineremo quello che è forse l’argomento più sentito dagli abitanti: la costruzione della centrale Turbogas da 800Mw nell’area del Petrolchimico e i danni che ne deriveranno.
L’ inaugurazione della nuova centrale turbogas – si dice ormai completata all’80% – incombe minacciosa ed è stata annunciata sulla stampa locale per la prima metà del 2008(si diceva dovesse partire già nel 2006). Nel mentre, l’amministrazione comunale (di centro-sinistra) si ostina a tacciare i contrari alla centrale di ignoranza e di essere stati manipolati dalla propaganda delle destre, continuando a distogliere la pubblica attenzione dalle più che fondate preoccupazioni di molti ferraresi ed abitanti delle zone limitrofe, i quali temono per la propria salute. Ne è passato di tempo da quando, il 19 febbraio 2002, la giunta ha approvato la compatibilità ambientale del nuovo impianto; molti dati scientifici sono stati divulgati da singoli individui e comitati, e vari sono stati i tentativi di difendersi in qualche modo da un sopruso così schiacciante e palese, eppure i promotori della centrale turbogas non vogliono sentir ragioni: il profitto innanzi tutto e, come al solito, tutto ciò che può ostacolare il conseguimento di tale obbiettivo va rimosso; eliminato. E ciò vale anche per i dubbi e le convinzioni che la gente si è fatta sui rischi che la turbogas comporterà: onde evitare che intralcino i piani prestabiliti, se necessario, l’EniPower, i garanti, il sindaco Gaetano Sateriale, l’assessore provinciale all’ambiente Sergio Golinelli (dei Verdi, che a Ferrara sostengono la Turbogas!), il direttore regionale dell’Arpa Sandro Bratti e compagnia bella mentiranno fino all’ultimo, anche di fronte all’evidenza, portando a termine la loro campagna di disinformazione. Questo perché gli interessi in gioco sono molto grossi. Basta dare un’occhiata agli articoli pubblicati dall’anno scorso fino ad oggi sui quotidiani locali per rendersi conto della situazione. Inizialmente, ad esempio, il sindaco assicurò di poter interrompere in qualsiasi momento la costruzione della centrale se si fosse poi scoperto che essa avrebbe inquinato più delle attuali centrali, ma ora, di fronte ai numerosi avversi all’avvio dell’impianto, Sateriale nega e chiede ai cittadini se essi preferiscono forse centrali più inquinanti della turbogas, evitando però accuratamente di aggiungere che per legge entrambe le vecchie centrali esistenti dovranno comunque essere convertite a metano, e che per di più stanno per sostituire un impianto da 20 Mw con uno (turbogas) da 800Mw. Solo una delle due verrà dimessa (la CTE1, ex Enichem, riserva fredda da 20Mw, che va a gas naturale già da diversi anni), mentre la CTE2 da 60Mw, alimentata ancora per un 50%a gasolio, verrà convertita a metano e resterà come riserva fredda. Quindi la turbogas non è affatto stata costruita per ovviare ai problemi ambientali causati dai precedenti impianti, anzi, questa inquinerà molto più delle due centrali esistenti una volta convertite a metano e se consideriamo che la città di Ferrara è già sufficientemente teleriscaldata, allora viene da chiedersi in base a cosa si può sostenere che una turbogas da 800Mw sarà vantaggiosa per i ferraresi. Non dimentichiamoci, poi, che al Petrolchimico è già presente un’altra centrale elettrica di proprietà della CEF (Centro Energia Ferrara) e più precisamente una Turbogas da ben 150Mw a metano, (che non viene considerata nel computo delle sorgenti inquinanti presentati per l’approvazione del progetto relativo alla costruzione della nuova centrale) che funziona esclusivamente per cedere energia elettrica alla Rete Nazionale; di conseguenza questo tende senz’altro a smentire l’argomentazione ricorrente che serve più energia, dato che ve n’è già in sovrabbondanza (la CTE2, addirittura, marcia appena al 65%). Quali benefici apporterà, dunque, la nuova Turbogas? Alla salute di certo nessuno, è evidente, ed è altrettanto evidente che a guadagnarci sarà soltanto la SEF (società proprietaria); quest’impresa, infatti, evitando i costi di smantellamento o riconversione delle vecchie centrali, venderà l’energia generata dalla turbogas alle nuove imprese che verranno ad installarsi all’interno del Polo chimico allo stesso prezzo, facendo loro risparmiare i costi di trasporto (quindi, un’offerta economicamente vantaggiosa), il che significa che non solo dobbiamo preoccuparci delle 1000 e passa tonnellate di polveri ultrafini che ogni anno la nuova centrale riverserà nell’atmosfera, ma bisogna tenere presente che il mega-impianto attirerà nuove imprese nel petrolchimico, che già è estremamente deleterio così com’è ora, e che questi nuovi impianti a loro volta contribuiranno all’inquinamento complessivo. Non si può nemmeno avanzare il solito pretesto della creazione di nuovi posti di lavoro dato che la Turbogas, in fase di esercizio, occuperà una cinquantina di addetti, né più né meno di quanti lavorano oggi per le centrali che sostituirà. L’ estate scorsa, in una relazione in Comune, il sindaco affermava: “non intendiamo venir meno a decisioni già assunte, vogliamo garantire che la centrale funzionerà col minimo inquinamento tecnologicamente possibile”, il che equivale a dire: “qualunque cosa voi facciate, noi realizzeremo il miglior connubio tra le tecnologie a nostra disposizione ed i nostri tornaconti personali, e non è detto che questo escluda un peggioramento dell’inquinamento atmosferico (anzi) ma non intendiamo fare diversamente.” La situazione è addirittura peggiorata da quando la SEF ha chiesto di poter utilizzare gli off-gas (cioè i gas parzialmente incombusti e quindi altamente inquinanti emessi dai camini d’emergenza del petrolchimico ogni qualvolta un impianto va in blocco) nonostante, fra l’altro, il decreto di autorizzazione della turbogas (3 settembre 2002) prescriva che la centrale venga alimentata esclusivamente a metano e che debba essere realizzato un nuovo impianto specifico per il trattamento degli off-gas. Il decreto prescrive che la turbogas può essere avviata solo dopo la messa a regime di tale nuovo impianto degli off-gas. A tal proposito, in seguito alla proposta ventilata di attuare spegnimenti anti-smog degli impianti industriali, ( un po’ come avviene per gli stop delle auto) ultimamente il direttore del cantiere della turbogas Roberto Bonora (spalleggiato da Confindustria Ferrara) ha detto: “vorrei capire chi si prende la responsabilità di fermare un cantiere che ormai ha completato all’80% un investimento nell’ordine di 400 milioni di euro. I danni sarebbero praticamente incalcolabili. E non è vero che il progetto sia tanto cambiato da giustificare ripensamenti, c’è una richiesta di nuova Valutazione d’Impatto Ambientale che riguarda solo l’ impiego come combustibile degli off-gas(…)Un impianto chimico non si può spegnere da un giorno all’altro come la caldaia di casa”. Dunque era proprio allo scopo di arrivare indisturbati fino al punto di poter dire ai contestatori “siete arrivati troppo tardi: la turbogas è già in piedi, e se non la facciamo partire chi di voi ci risarcisce il mega-danno?” che si continuava tanto a parlare di vantaggi per i cittadini e di diminuzione delle emissioni di particolato (le famose polveri fini), entrambe fandonie in realtà! Quindi non era vero che il Comune ha “l’esclusività” in materia urbanistica e che pertanto restava ancora una porta aperta all’ abrogazione del Piano Particolareggiato (presentazione autorizzata il 26 novembre 2002)? E le penali milionarie non erano escluse dal fatto che quello della turbogas è un cantiere privato? E che dire a proposito delle dimissioni date dall’ex-direttore dei lavori, ingegner Guggi, il quale ha rinunciato al proprio incarico denunciando la mancanza di un elenco di tecnici e specialisti che si assumessero le responsabilità civili e penali della progettazione esecutiva e della costruzione dell’opera? Quanti altri dubbi e quante altre domande (retoriche) ci si può porre su di un impianto che fin dalla palificazione ha visto nascere un’inchiesta sul presunto inquinamento delle falde acquifere? Aggiungiamoci pure il fatto che per accertare se il reato d’inquinamento si fosse consumato si sarebbe dovuta effettuare una perizia, ma la Procura ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, con la scusa che bloccare i lavori di costruzione ed ordinare la perizia sarebbe stato troppo costoso ed “impegnativo” (?!), e verificare se i pali della centrale, penetrati nel terreno per ben 25 metri, hanno realmente inquinato una falda è stato definito “chiaramente impossibile”! (si ripete, insomma, quanto è successo per l’inchiesta contro la Solvay, che ha inquinato per anni i terreni con il CVM per poi essere assolta nelle aule dei tribunali borghesi). Il punto è che questo cantiere, posizionato tra lo stabilimento chimico BASELL ed il canale, a pochi chilometri dal centro storico ed in una zona densamente abitata, sta davvero avanzando ad alta velocità (la SEF avrebbe dovuto, “teoricamente”, prima bonificare l’area e poi costruire – dato che sul terreno in cui sorgerà sono state trovate grosse traccie di mercurio, nickel, cromo, arsenico e dell’immancabile CVM – ma sembra che l’iter proceda all’inverso) ma è ancora in attesa di trovare soluzioni consone all’impianto (per non far decorrere i 12 mesi dall’ approvazione dei lavori). Per fare un esempio, c’è da notare come nel maggio 2006 Antonio Cuore, Presidente dell’Enipower Ferrara escludesse la possibilità di installare sistemi all’ammoniaca d’abbattimento degli Nox (i famosi e nocivi ossidi di azoto, che una volta in atmosfera generano le micropolveri) perché, diceva, “poi dovremmo costruire un impianto d’abbattimento dell’ammoniaca”, mentre soltanto 2 mesi dopo, il direttore dell’Arpa Bratti dichiarava: “attraverso l’impiego di filtri ad ammoniaca SCR potremo ottenere un abbattimento del particolato fine del 40% più vantaggioso rispetto ad una processo di combustione a ciclo combinato standard, e che pertanto l’ARPA ne richiede l’installazione alla SEF” (pare semplicemente che l’SCR sia il tipo di filtro più conveniente, economicamente parlando). E pensare che una centrale turbogas da 800Mw è comunque molto nociva anche se realizzata “al meglio”; figuriamoci cosa dobbiamo aspettarci da quella della SEF! Già nel 1998 la Comunità Europea, nel “Fine-Particle Emissions and Human Health” metteva in guardia contro la pericolosità delle micropolveri ed indicava tra le fonti inquinanti le centrali turbogas. A detta di vari esperti, le centrali a ciclo combinato (ciclo a gas – ciclo a vapore) rappresentano il meglio che la tecnologia termoelettrica possa oggi offrire per efficienza di produzione e contenimento di emissioni inquinanti ma pare che, allo stato di degrado ambientale in cui ci troviamo, non basti accontentarsi del “meglio del peggio”. Anche ponendo il caso che l’energia prodotta dalla SEF servisse ai cittadini e non alle nuove imprese che verranno a loro volta ad inquinare il territorio, bisognerebbe ugualmente domandarsi se quest’”indispensabile” energia valga la pena di farci ammalare e morire! Forse è ora di chiedersi se non siano proprio i nostri stessi ritmi di produzione ed il nostro stile di vita programmato per il consumo sfrenato ad essere completamente incompatibili col rispetto del Pianeta. Anche ammettendo che la centrale turbogas in questione rispetti il limite annuo di emissioni ed emetta quindi al massimo 1085 tonnellate di micro-polveri all’anno, non dovremo sentirci al sicuro perché, come si evince dal “Fine-Particle Emissions and Human Health”, per le micropolveri non esiste una soglia minima di pericolosità, e cioè sono altamente dannose anche a concentrazioni bassissime. Oltretutto, per ottenere l’autorizzazione per le nuove centrali si richiede la stima della produzione di polveri totali emesse direttamente dai camini (particolato primario) senza differenziare le ultragrossolane dalle ultrafini, quando è noto che le particelle di diametro inferiore a 2,5 millesimi di millimetro (PM2,5 e PM0,1, di cui nella VIA non si tiene conto) sono addirittura peggiori delle Pm10 (ultragrossolane), in quanto penetrano direttamente nei polmoni. Stando ai dati raccolti ed analizzati dal Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), anche la gran parte (<95%) delle polveri emesse direttamente del camino rientra nella categoria PM2,5 e la maggior parte delle polveri si forma in atmosfera (particolato secondario) e quindi non è rilevabile al camino. Già nell’agosto 2003 il “Working Group on Particulate Matter” del programma Clean Air For Europe della Commissione Europea raccomandava di utilizzare il particolato PM2,5 come parametro principale per la valutazione dell’esposizione ambientale alle micropolveri, eppure, in barba a tutte le precedenti considerazioni veniamo a sapere dai giornali che l’Arpa ha finalmente deciso (ben 3 anni dopo!!!) di inserire nelle nuove centraline rilevatori di PM2,5 e di attestare sui 25microgrammi la soglia di concentrazione (non ancora ufficializzata). Ma se, come precedentemente detto, le micropolveri non hanno una soglia al di sotto della quale non sono (o sono meno) dannose, questo è soltanto un ennesimo inganno! La tanto decantata favola in cui le BAT (Best Available Techniques, Migliori Tecnologie Disponibili) salvano il Pianeta senza intralciare l’impassibile avanzata del Progresso, appare sempre più come una menzogna bella e buona per farci dormire sonni tranquilli, intorpiditi da una pesante coltre d’indifferenza. La situazione è grave non solo a livello provinciale, tant’è vero che persino in un rapporto sugli effetti dei cambiamenti climatici, redatto dal direttore del British Government Economic Service, Sir Nicholas Stern “l’idea stessa di sviluppo sostenibile (…) viene messa in discussione”; ma è proprio per il fatto che il quadro generale è già di per sé drammatico e che Ferrara appare persino nelle famose mappe satellitari termocolorimetriche come il sito più inquinato dalle micropolveri in Europa, che non possiamo continuare a berci le frottole di chi se ne infischia dell’ambiente e della vita stessa, guidato com’è dalla propria sete di denaro. Quante altre se ne dovranno inventare da qui all’attivazione della centrale? Non molte ancora pare, visto che, a sentir loro, mancano davvero pochi mesi ormai all’inaugurazione, ma intanto sinistre e destre si danno da fare nel loro teatrino istituzionale, cercando di aggrapparsi alle poltrone di palazzo e svuotando di senso, come solo loro sanno fare, ogni argomento capiti loro sul copione. Gli ultimissimi eventi parlano chiaro: due esponenti delle stesse destre che hanno varato il decreto sbloccacentrali e che sono favorevoli alle centrali nucleari si sono improvvisati ambientalisti nel promuovere un referendum autogestito (autogestito perché ben 2 richieste ufficiali sono state bocciate dai garanti), finalizzato a cancellare la prima autorizzazione urbanistica ( cioè il via libera al Piano Particolareggiato, al fine di fermare tutto quanto) per cavalcare l’ondata di legittimo dissenso che si sta sollevando contro Sateriale e la sua giunta. La risposta della sinistra a tale iniziativa è stata grottesca. Prendiamo in esempio un’affermazione agghiacciante di Mauro Cavallini(DS): “l’affluenza non è così sorprendente, era un dato abbastanza prevedibile(…)Ma non va enfatizzata la cosa, perché se per mesi e mesi si fa una campagna che dice che stiamo morendo tutti e che domani moriremo di più, le adesioni arrivano”. Della serie ”la gente non è in grado di prendere da sé decisioni valide e pertanto non teniamo in considerazione i loro isterismi”. Chi vuole ancora credere alla favola della “democrazia” si accomodi pure a godersi in diretta lo sviluppo dei suoi frutti cancerogeni, ma resta il fatto che moltissimi ferraresi hanno capito a che genere di disastro stiamo andando incontro. Se alcuni di quegli 11500 che sono andati alle urne autogestite, esprimendo il loro “NO!” alla centrale, cominciassero a bloccare materialmente e fisicamente i lavori, come è successo in Val Susa per la TAV ed autogestissero la lotta, allora forse la costruzione della Turbogas potrebbe davvero essere fermata: è solamente questione di dare concretezza e coerenza a questo NO

Un po’ di dati:
– La nuova centrale turbogas brucerà più di 400 milioni di metri cubi di gas metano, pari alla quantità consumata nell’intera provincia di FERRARA per usi domestici e industriali.
– Immetterà ogni anno nell’atmosfera 35 miliardi di metri cubi di inquinanti, contenenti:
1) 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica(CO2);
2) più di 1000 tonnellate annue di Ossidi di Azoto (NOx), precursori delle letali polveri sottili (microparticolato) di cui circa 200 di primario PM10 ed 800 di secondario PM2,5;
3) una gran quantità di polveri ultrafini non rilevabili al camino;
4) quasi 2000 tonnellate annue di monossido di carbonio (CO);
5) 42 tonnellate annue di inquinanti estremamente pericolosi come la formaldeide, benzene ed idrocarburi;
Inoltre emetterà Più di380.000 metri cubi di vapore acqueo, pari al riscaldamento di 24.000 alloggi (immaginiamo l’umidità prodotta!)

– La Commissione Scientifica sulla centrale turbogas dell’Università di Ferrara, presieduta dal Prof.. Franco Prodi, nella relazione completata nell’ottobre 2005 sottolinea gli effetti deleteri degli ossidi di azoto (Nox) sulla salute umana. Le mappe termocolorimetriche indicano che il livello di massima intensità di tale inquinamento sovrasta la Pianura Padana in generale e la zona di Ferrara in particolare. Si stima che la perdita dell’aspettativa di vita causata dalle PM2,5 sia valutabile in circa 36 mesi.
– Il rapporto ambiente-salute nel profilo di salute della popolazione di Ferrara per l’ anno 2001 del Dipartimento di Sanità Pubblica riporta che la patologia neoplastica (tumorale) è stata responsabile del 52,85%dei casi di decesso per la popolazione compresa fra i 45 ed i 75 anni, per il periodo riportato. Le tabelle relative all’incidenza ed alla mortalità dei vari tumori presenti sul nostro territorio collocano Ferrara in vetta alla classificazione nazionale per le donne, mentre gli uomini si collocano al secondo posto.
– Infine bisogna tenere in considerazione che gli impianti da 100 e più Mw sono oltremodo problematici per le zone di pianura in quanto esse solitamente sono aree scarsamente ventilate, dove cioè non si ha una sufficiente dispersione delle emissioni. Ferrara ha una media annua di 22 giorni di vento con velocità maggiore di 6m/sec, e meno di 10 giorni con vento superiore ai 10m/sec, “capace di effettuare un’effettiva pulizia dell’aria dalle particelle PM2,5 e PM10” ( che semplicemente si spostano momentaneamente e vanno a nuocere da un’altra parte…).

Cronologia dell’iter di costruzione della centrale Turbogas
– 27/1/2001: SEF deposita presso il comune di Ferrara l’istanza per ottenere il giudizio di compatibilità ambientale;
– 13/3/2001: via libera al SIA (studio impatto ambientale);
– Maggio 2001: firmato l’Accordo di Programma sul Polo Chimico Ferrarese, alla presenza del Ministero dell’industria, della Regione Emilia Romagna, Comune, Provincia e le rappresentanze sindacali ed imprenditoriali;
– 31/1/2002: il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per il Coordinamento dello Sviluppo del Territorio, per le Politiche del Personale e per gli Affari Generali condivide i pareri favorevoli;
– 19/2/2002: la giunta ha approvato la compatibilità ambientale del nuovo impianto;
– 2/3/2002: il Ministero della Salute, Direzione Generale Prevenzione, esprime parere favorevole;
– 14/3/2002: parere favorevole da parte della Commissione per la Valutazione dell’Impatto Ambientale(VIA);
– 3/9/2002: rilascio del decreto di autorizzazione della turbogas, dopo il parere favorevole del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali;
– 26/11/2002: autorizzazione della giunta alla presentazione del piano particolareggiato;
– 6/12/2002: autorizzazione per costruire da parte del Ministero delle Attività Produttive;
– 25/2/2003: conferenza dei servizi e parere favorevole dell’ASL di Ferrara;
– 12/3/2003: parere favorevole dell’Arpa di Ferrara;
– 23/6/2003 approvazione del piano particolareggiato;
– luglio 2003: approvazione del Consiglio Comunale del piano particolareggiato;
– 18/2/2004: rilascio della concessione edilizia da parte del Comune di Ferrara.

Diamo un nome ai responsabili della costruzione della Turbogas:

Proprietà:

SOCIETÀ SEF – SERVIZI ENERGETICI FERRARA
Gli azionisti di riferimento sono MPE S.p.A. (Gruppo Merloni), Foster Wheeler Italiana S.p.A (Gruppo Foster Wheeler) e Società EniPower S.p.A. (Gruppo Eni).

SOCIETÀ ENIPOWER
la società è controllata da EniPower S.p.a. (51%) e ha come socio di minoranza la società elettrica svizzera
Elektrizitats – Gesellschaft Laufenburg (EGL)
sedi principali:

Piazzale Mattei, 1, 00144 Roma
Tel: 06.59821
Fax: 06.59822141

Piazza Azio Vanoni, 1,
20097 San Donato Milanese (MI)
Tel: 02.5201

EGL Italia S.p.a.
Direzione generale e commerciale:
via Antica Fiumara 6,
16149 Genova
Tel: 010.291041
Fax: 010. 2910444

Presidenza e Relazioni Istituzionali:
via IV Novembre 149,
00186 Roma
Tel: 06.4546821
Fax: 06.454682222

MPE S.p.A.
Numero Verde : 800-071775
e-mail: info@emmepie.it
uffici:
viale Certosa 277
20151 Milano (sede legale)
Tel: 02.307021
Fax: 02.30702571
Via della Scrofa 64
00186 Roma
Tel: 06.68396309
Fax: 06.68396352

FOSTER WHEELER ITALIANA S.p.A.
Via Sebastiano Caboto 1,
20094 Corsico(MI)

Tel: 02.44861
Fax: 02.44863131
e-mail:fwceu_sales@fwceu.com
sito:www.fwc.com/contact

Ditte costruttrici o coinvolte a vario titolo:
DITTA BENTINI S.p.A.
La ditta (un mix multi-societario italo/algerino) è titolare dell’appalto edilizio per la costruzione della centrale di Ferrara ed è quella che commissiona i sub-appalti.
Via G.Verdi 20,
48018 Faenza(RA)
Tel: 054.622065
Fax: 054.6661475
e-mail:bentini@bentini.it

DITTA TREVI S.p.A
Una delle ditte devastatrici italiane più attive (il gruppo è posseduto al 65% dalla famiglia Trevisani e per la rimanenza da investitori pubblici), anche a livello internazionale con la realizzazione di dighe, autostrade, gallerie, ponti e impianti in mezzo mondo mentre in Italia è responsabile della costruzione della tratta ad Alta Velocità TO-MI; della galleria TAV BO-FI; di impianti di ricerca di Idrocarburi a Piacenza; dei parcheggi Trevipark a Cesena e Roma; dei pozzi drenanti per la Torre di Pisa; nonché della nuova Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze. Si è occupata della palificazione della Turbogas.
Sede:
via Dismano 5819,
47023 Cesena
Tel: 0547.319311
Fax: 0547.317395
sito:www.trevispa.com
e-mai.:trevi@trevispa.com

C.M.G. S.r.L. costruzioni meccaniche generali
Piazzale Donegani 10
44100 Ferrara
Tel: 0533.51353
e-mail: cmgsrl@libero.it
via Setter 17/19
44040 Cassana (FE)
tel: 0532.731266 – 0532.730630
e-mail:info@cmgsrl.net
sito:www.cmgsrl.net (sito in costruzione).

SITIE S.p.A. IMPIANTI INDUSTRIALI
opera nel settore delle installazioni elettriche e di strumentazione industriale, dalla progettazione all’avviamento degli impianti, comprendendo anche i servizi di ingegneria e di project management. Una parte significativa delle risorse del settore è dedicata ai contratti di manutenzione pluriennali presso stabilimenti petrolchimici, impianti petroliferi e centrali elettriche.
L’azienda è risultata coinvolta nel giro di tangenti all’EniPower proprio per la costruzione delle nuove centrali Turbogas.
Via Giovanni Finati 6,
44044 Cassana (FE)
Tel: 0532.734611
Fax: 0532.734603
e-mail:sitie@sitie.it
sito:www.sitie.it

cantiere Sitie c/o Enichem:
via piazzale Donegani 12,
44100 Ferrara
Tel: 0532.52631

IDROMACCHINE S.r.L. (costruzione e montaggio impianti industriali).
È l’azienda che tra l’ altro ha progettato il Mose di Venezia e ne detiene i brevetti.
Stabilimento:
via dell’Elettricità 15/17
30175 PortoMarghera(VE)
Tel: 041.5381488
Fax: 041.5380975
e-mail: info@idromacchine.it – idromac@tin.it

SORTINI Franco & Marco S.r.L. (urbanizzazione, strade e fognature)
Via dei Calzolai 134a,
44100 Malborghetto (FE)
Tel: 0532.751107
Fax: 0532.51947

ANSALDO ENERGIA
controllata da Finmeccanica: già costruttrice della metropolitana di Shangai e dedita al nucleare, l’azienda italiana sta sperimentando le BAT (le nuove tecnologie migliorative) sulla centrale Turbogas di Mantova. SEF è fiduciosa di poterle montare al più presto.

GRUPPO HERA FERRARA
La Multiutility dovrebbe firmare un accordo con SEF per la fornitura di 130 tonnellate all’ora di vapore per il teleriscaldamento, indispensabile al funzionamento del ciclo combinato della centrale termoelettrica Turbogas.
Sede:
via C. Diana 40,
40044 Cassana (FE)
Fax: 0532.780200
Numero Verde: 800.999500

ISSA AUTOGRÙ S.r.L. (fornitore di macchine per la costruzione)
Via Paganini 3,
44100 Ferrara.
Fax: 0532.903287
Tel: 0532.91377
Cell: 348.4108923

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“Il Grido delle Ninfee” n. 1 – ENB e CVM

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L’affrontare con particolare attenzione i problemi degli interventi che il dominio mette in atto significa, soprattutto, coglierne gli aspetti di sviluppo immediato e in evoluzione sul territorio. La questione delle nocività non può essere disgiunta da una riflessione complessiva sulle cause primarie delle scelte che producono le stesse e, quindi, da una critica generalizzata allo stesso sistema generante. Essere contrari all’estendersi e al diffondersi di una cultura di avvelenamento sociale e distruzione ambientale significa confrontarsi con i motivi che ne hanno portato il verificarsi. Non possiamo chiamarci fuori! Noi tutti siamo condizionati dagli eventi e dalle modificazioni sociali che queste scelte sistematiche vengono a creare: tanto più ne saremo soggetti quanto più si estenderanno e parranno progetti difficilmente sormontabili. Da queste considerazioni nasce la volontà di realizzare un foglio specifico che analizzi, da un angolo critico e radicale, i progetti che rappresentano o rappresenteranno un impatto negativo, non soltanto per quanto riguarda la nostra salute ma anche per quel che concerne le trasformazioni che subiranno od hanno subito le nostre vite da un punto di vista di relazioni sociali. Esamineremo passo per passo, le realizzazioni nocive che il sistema-dominio ha installato sul “nostro” territorio o quelle che progetta di insediare in un futuro prossimo e lo faremo privi di quei fronzoli che caratterizzano spesso l’operato di chi cerca di sviare l’attenzione su problematiche di minor conto. Insistendo sul legame che intercorre tra nocività (effetto) e sistema-dominio(causa), di fatto manifestiamo la nostra volontà di spingerci al di la di una critica stucchevole e languida, che non tiene conto dei veri problemi. Se la nostra salute è importante, basilare è anche il metodo con cui questa viene ottenuta perché oltre al benessere fisico dobbiamo aspirare anche a quello sociale.
La provincia di Ferrara è uno dei siti più inquinati dell’intera Europa. Il tasso di mortalità della popolazione residente nell’area del Po di Volano, specialmente nella provincia di Ferrara, cresce ripetutamente da anni e le cause sono ricollegabili all’aumento delle cause tumorali. Le concentrazioni di polveri sottili ed altre nocività quasi sempre sono sopra la soglia. Un semplice ragionamento imporrebbe la dismissione delle fabbriche inquinanti, invece si apprestano ad aprirne altre. Il petrolchimico di Ferrara è un mix multi-societario di aziende e multinazionali del settore, che spandono su tutta la città miasmi e veleni. Abbiamo deciso di iniziare questo primo numero parlando del più recente episodio che ha coinvolto il petrolchimico e cioè le “puzze” che da vari mesi sono state avvertite dai residenti delle zone accanto al petrolchimico, costretti a sopportare e a respirare esalazioni potenzialmente pericolose senza che nessuno, per mesi, si sia degnato di intervenire. Anzi, le uniche voci istituzionali che si sono levate sono state un’accozzaglia di menzogne, sproloqui e mezze verità, alla faccia della salute dei cosiddetti “cittadini”, che hanno ben potuto vedere quanto questa democrazia li tenga in valore. I due episodi sono ben lungi dall’essere scollegati fra loro perché mostrano il vero volto del capitalismo industriale che accumula quattrini a scapito della salute e dell’ambiente e l’incuranza degli amministratori verso i propri amministrati. Accanto a quest’episodio abbiamo voluto ricordarne un altro: le patologie e le morti verificatesi negli anni per l’esposizione al CVM prodotto dalla Solvay, sempre nella zona del petrolchimico. Crediamo sia di primaria importanza cogliere questi aspetti indissolubili che ricorrono e intercorrono tra gli uomini del capitale e quelli dello stato, per cominciare ad opporsi alle nocività subite giornalmente e per riaffermare il primato della propria salute e quella dell’ambiente in cui tutti viviamo, scegliendo l’unica opzione possibile: quella di essere amministratori di se stessi.
Dallo scorso settembre a Ferrara nella zona della piccola media industria fra via Vallelunga e Pontelagoscuro, è presente un tanfo insopportabile; i residenti della zona in seguito all’inalazione di questo odore hanno riscontrato forti bruciori agli occhi e alla gola, mal di testa ed alla lunga veri e propri capogiri. Gli abitanti sono stati costretti a chiudersi in casa tenendo le finestre ben serrate per evitare il tremendo fetore. Nello stesso periodo in una fabbrica vicina alcuni operai si sono sentiti male. Chi abita e lavora nella zona ha descritto l’odore come quello penetrante della gomma o della plastica bruciata. Tutti concordano che le puzze provengono dal petrolchimico. L’Arpa, l’azienda preposta al monitoraggio ambientale, però si è subito affrettata a dichiarare che la sostanza responsabile di questi malesseri , l’ “Etiliden NorBornene”, sarebbe TOSSICA MA NON NOCIVA”(salvo poi scoprire di essersi ammalati dopo 30 anni come con il CVM) , affermazione che ha a dir poco dell’incredibile. Cerchiamo allora di capire meglio la situazione.
L’Etiliden NorBornene o ENB è una sostanza chimica che le aziende sono autorizzate a rilasciare, una sostanza industriale utilizzata nel processo di produzione della gomma e delle materie plastiche. La motivazione di questa enorme fuoriuscita di fetore, seguendo le dichiarazioni ufficiali, sembra sia stata la scoperchiatura per manutenzione di una vasca del depuratore acque del petrolchimico coperta anni fa proprio per evitare la diffusione della sostanza. Le rassicurazioni dell’Arpa e dell’assessore provinciale all’ambiente sono sconcertanti, anche in considerazione del fatto che le ultime rilevazioni fatte dall’Arpa risalgono al 2000 e 2001 ed il monitoraggio è inesistente, senza contare che l’azzeramento delle emissioni di ENB venne inserito come obiettivo nel Protocollo 2001 sul petrolchimico (sui rischi per la salute vedere lo schema alla pagina succesiva). Nel frattempo le segnalazioni delle puzze arrivano fino alle frazioni di Porotto, Ravalle e Casaglia (nella zona nord ovest di Ferrara) e sono molti ad avvertirle anche nel centro storico e, anche se in misura minore, nella zona est della città, sempre in orari mattutini o in tarda serata. Il 17 novembre il sindaco Gaetano Sateriale ha prescritto l’ordinanza a Polimeri Europa (azienda del settore, controllata da Eni, che opera da anni all’interno del petrolchimico di Ferrara) di cessare l’emissione di ENB e Toluene (altra sostanza usata per la lavorazionedelle gomme) a seguito di indicazioni da parte dell’Asl alla procura sull’emissione di sostanze pericolose per la salute. Di fatto, al camino alto più di novanta metri, la concentrazione di ENB è vicina alla soglia di pericolosità. Conseguentemente è stata richiesta la sospensione dell’unica delle tre linee di produzione che utilizza l’ENB, per limitare le puzze e per verificare in seguito se si trattava della vera fonte di quel fetore insopportabile. L’azienda però, dopo lo stop, ha dichiarato di non essere intenzionata a sospendere l’uso di ENB perché esso fornisce alle gomme delle caratteristiche particolarmente richieste dai suoi clienti, che rappresentano un business “irrinunciabile” .Martedì 28 novembre anche il segretario provinciale della Femca-Cisl si unisce all’azienda, ritenendo indispensabile che la produzione fosse comunque assicurata (tanto chi se ne frega se respiriamo sostanze pericolose!). Mercoledì 24 gennaio la giunta comunale ha revocato la prescrizione a Polimeri Europa. Il comune ha affermato che il motivo principale di questa decisione risiede nella cessazione delle chiamate da parte dei cittadini che avvertono gli odori nauseabondi. Niente di più falso!!! È un dato di fatto che i cittadini non avendo più fiducia nelle istituzioni di Arpa e Asl (e come dargli torto!?) prendono come punto di riferimento la sezione ferrarese di Medicina Democratica; questa dichiara infatti che le segnalazioni sulle puzze da parte dei cittadini non sono mai cessate. Continuano, infatti, ad arrivare segnalazioni dalla zona del Barco, di Pontelagoscuro, dai centri commerciali Bennet e Diamante, fino nei pressi della caserma di Cassana, ecc…Un altra motivazione della revoca dell’ordinanza è stato lo spostarsi di tutte le ricerche, non più sul camino, dove la concentrazione di ENB ha raggiunto la soglia di pericolosità per la salute; ma sulle fognature, dove a causa di perdite, è stato detto, sarebbe finita una certa quantità di ENB. Il problema è stato affrontato con una risistemazione della rete fognaria da parte della società esterna responsabile dei reflui.

Ora un paio di considerazioni:
Se il problema erano unicamente le fogne, perché Polimeri Europa ha dichiarato che si impegnerà per installare al più presto la tecnologia più moderna di abbattimento di ENB al camino??? Perché viene permesso l’utilizzo di una sostanza dichiarata tossica ed estremamente volatile all’interno di un territorio densamente abitato? Perché tanto tempo per trovare i responsabili di quelle puzze? E ancora, perché tutte quelle fandonie tese a rassicurare i cittadini, mentre questi continuavano a respirare veleni per mesi interi?Interrogativi come questi e le dubbie affermazioni di Comune, Provincia, Arpa, sindacati e azienda Usl ci fanno pensare che il problema sussista ancora o possa ripresentarsi in futuro (addirittura, Raffaele atti, assessore comunale all’urbanistica con delega al petrolchimico ha dichiarato: “non siamo in grado di garantire che il problema non si ripeta”!!) e che, fatto ancor più grave, la salute dei cittadini sia ormai palesemente succube degli interessi economici
Intanto, verso la fine di Gennaio, sempre al petrolchimico si è verificato l’ennesimo “incidente”: il coperchio di un silos di additivi chimici dell’azienda Yara (gruppo specializzato in diserbanti, urea ed ammoniaca) è saltato in aria, provocando due grosse esplosioni che hanno mandato all’ospedale due operai. l’unica inchiesta aperta è quella interna dell’azienda, come dire: il colpevole che indaga su se stesso?

ENB-Rischi per la salute:
– INGESTIONE: Può provocare fastidio addominale, nausea, vomito, diarrea. Il paziente può accusare sonnolenza. Analogamente a quanto avviene per altri solventi, per idrocarburi a bassa viscosità, se aspirato durante deglutizione od il vomito provoca lesioni ai polmoni
– ASSORBIMENTO CUTANEO: Non risultano effetti nocivi dalle informazioni disponibili
– INALAZIONE: Può provocare un’irritazione delle vie respiratorie, che si presenta con fastidio e secrezioni nasali, dolore toracico tosse. Può sopravvenire mal di testa. Concentrazioni elevate di vapori possono provocare vertigini e sonnolenza
– CONTATTO CON LA PELLE: Provoca un’irritazione con fastidio, arrossamento locale ed eventualmente gonfiore. Il contatto prolungato ripetuto può provocare sgrossamento ed intossicamento della pelle. Il contatto prolungato può provocare un’irritazione più grave con fastidio o dolore, arrossamento locale, gonfiore ed eventualmente distruzione dei tessuti
– CONTATTO CON GLI OCCHI: Il liquido provoca un’irritazione che si presenta con bruciore, battito delle palpebre intenso, lacrimazione eccessiva arrossamento della congiuntiva. Non ci dovrebbero essere lesioni della cornea
– EFFETTI DI SOVRAESPOSIZIONI RIPETUTE: La sovraesposizione ripetuta ai vapori o alle nebbie può provocare mal di testa, nausea e vertigini.
– SITUAZIONI PATOLOGICHE AGGRAVATE DA SOVRAESPOSIZIONI: Il contatto cutaneo può aggravare una dermatite esistente
(fonte Iuclid Data test – software per la gestione dei dati riguardanti le sostanze chimiche, utilizzati dalle industrie, ideato dalla comunità europea allo scopo di monitorare i rischi per l’ambiente e la salute umana)

Condotti Verso la Morte!! La logica dello sviluppo è quella di accumulare profitti: logica e regola al di sopra di tutto. L’era post-industriale si regge sull’assunto che recita più o meno così: prima il guadagno per mezzo della produzione a certi costi, poi la salute e la sicurezza delle persone. Ciononostante l’immolazione del genere umano al capitale viene a volte riscoperta, anche se analizzata e criticata come un errore temporaneo verificatosi in un sistema che viene dipinto e fatto apparire come l’unico a misura d’uomo. Una degli ultimi scempi del capitale che ha avuto ampia risonanza in vari ambienti è stato l’avvelenamento da CVM (Cloruro di Vinile Monomero), tuttora utilizzato e prodotto da centinaia di piccole e medie industrie. Parlare di CVM significa evocare l’incapacità del sistema nell’arginare le nocività che produce e affermare, ancora una volta, che l’unica via percorribile è l’eliminazione sia delle nocività nella loro interezza che della scelta sociale civilizzatrice che ne è causa diretta.
Occorre innanzitutto spiegare brevemente la storia del settore chimico. La nascita dei poli chimici incomincia nel 1925, anno in cui apre “Porto Marghera”, ma la loro diffusione capillare inizia nel dopoguerra. Il settore entra in crisi negli anni ottanta, tale contesto portò necessariamente all’abbassamento dei livelli di sicurezza in fabbrica: la caratteristica più diffusa è il logoramento degli impianti. Ritornando al CVM, i prodotti a base di tale sostanza sono in genere duraturi e poco costosi. Dalla sua polimerizzazione deriva il PVC (PoliCloruro di Vinile), altra sostanza ad illimitato utilizzo commerciale. Un primo studio sul CVM, in Russia nel 1949, individua un gran numero di alterazioni al fegato e alle vie respiratorie su un campione di lavoratori. Ulteriori ricerche furono intraprese dal 1967 in poi. queste ruotano intorno ai quadri patologici dell’encefalo e del fegato con l’individuazione di varie epatopatie quali cirrosi, epatocarcinoma ed angiosarcoma epatico. Queste patologie godono di un tempo di latenza molto lungo e ciò finisce con il comportare una difficoltà nel dimostrare il nesso causale tra l’esposizione al materiale tossico e le conseguenti malattie. Nel decennio successivo venne appurata l’effettiva cancerogenità del CVM, riconosciuta pure dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che però un accordo segreto tra le maggiori aziende chimiche europee (tra cui la belga Solvay) ed americane decise di tenere celata. L’opera di queste aziende consistette, e tuttora consiste, in affermazioni rassicuranti circa l’innocuità del prodotto, sottoponendo allo stesso tempo i lavoratori a condizioni di lavoro e di salute spaventosamente gravi. Solo recentemente sono state messe in relazione pubblicamente alcune gravi conseguenze come tumori, intossicazioni e altre simili patologie che colpiscono il sistema nervoso e il fegato alla continua esposizione al CVM (quindi anche per chi è obbligato a respirare le emissioni dei camini delle fabbriche pur non lavorandoci).A rigor di cronaca è doveroso ricordare come nella produzione mondiale di CVM, grazie all’opera di aziende quali Montedison, Eni e Solvay, l’Italia si trovi al quarto posto. A tal proposito, come non citare le vicende inerenti al petrolchimico di Porto Marghera, in cui i lavoratori si sono trovati vittime della fabbrica prima e oggetto di beffe giudiziarie poi. Interminabili serie di perizie e controperizie si svilupparono dopo decenni durante i quali gli operai subirono le conseguenze dell’esposizione al CVM., mentre il terreno e le acque della laguna venivano adibiti a discarica di elementi tossico-nocivi ad opera degli smaltimenti della Montedison. La svolta, seppur mediatica, si ha nel 1994, quando un operaio sporge denuncia presso la magistratura di Venezia; passano ben quattro anni perché venga avviato un procedimento penale contro i vertici Montedison/Eni/Enimont/Enichem (capi d’imputazione: lesioni colpose, disastro ambientale, omicidio colposo e strage). Il 2 novembre 2001 viene pronunciata la sentenza di primo grado. I vari studi che hanno stabilito il nesso di causalità tra CVM e angiosarcoma epatico ed altre patologie fanno ben sperare le parti civili. Ma i padroni difficilmente pagano e la sentenza fa scandalo. Il processo non ha stabilito responsabilità penali, ma nemmeno storiche: totale impunità. Solo la determinazione delle vittime ribalta minimamente, la situazione in appello. A dicembre 2004 la Corte stabilisce cinque condanne ad un anno e mezzo per altrettanti dirigenti Montedison e una lunga serie di prescrizioni, dovute al troppo tempo trascorso dai fatti in questione.
Passiamo adesso ad analizzare la situazione nel ferrarese. Dopo le vicende del petrolchimico di Marghera, anche nella città di Ferrara si stanno verificando i primi ricorsi sulla base di decessi o di seri problemi che gli operai hanno riportato a causa del contatto con questa sostanza. Sotto accusa vi è la Solvay, la cui produzione di CVM è stata arrestata solo nel 1998, dopo più di 30 anni di attività. Nel 2002, in seguito alle istanze di operai direttamente coinvolti vengono recapitati sedici avvisi di garanzia per i dirigenti della multinazionale. Sui quartieri cittadini popolari del Barco e di Pontelagoscuro si sono depositate per anni le polveri di CVM espulse durante la sua trasformazione in PVC. Agghiaccianti le testimonianze che raccontano di come, svegliandosi la mattina, davanzali e balconi erano ricoperti da una sottile coltre di polvere bianca. Tuttora in questi due quartieri le falde acquifere hanno una concentrazione di inquinante che supera, in alcuni casi, di 100.000 volte i limiti di legge! Stesse percentuali riscontrate negli orti e nelle campagne delle zone in questione, che vengono innaffiati proprio con quell’acqua, oltre ad attingerne dal sottosuolo. I decessi documentati (quelli sui quali si concentra l’inchiesta) sono oltre sessanta, di cui quarantacinque dovuti a tumori quali l’angiosarcoma epatico e quello del polmone. Nel 2005 abbiamo assistito all’archiviazione per l’inquinamento delle falde acquifere dal momento che, secondo i PM, questo sarebbe attribuibile ai diversi metodi di produzione adottati dalle varie aziende chimiche che si sono succedute nel tempo all’interno dell’area industriale. Insomma, passa il messaggio che la contaminazione derivi dal contrasto tra i vari metodi di produzione e non dalla loro essenza. Nessuna responsabilità individuale, dichiarata impossibile da stabilire. Continua invece l’inchiesta parallela che vede gli imputati accusati di lesioni colpose, di omissione dolosa di cautele contro infortuni e di omicidio colposo. L’ultimo capitolo della saga, in ordine di tempo, è il deposito, avvenuto nell’ottobre 2006, di due perizie che hanno accertato il nesso causale tra patologie tumorali ed esposizione alla sostanza cancerogena. Per finire in bellezza, recentemente sono stati eseguiti esami sui terreni dell’intero territorio provinciale e si è scoperto che decina di siti presentano tracce di CVM, in molti casi anche consistenti. Molti dei siti in cui è stata rinvenuta la sostanza non erano vicini a industrie (anzi, alcuni si trovano in aperta campagna) e questo mostra come gli inquinanti possano facilmente trasmigrare da un posto all’altro, in un territorio sabbioso che filtra le falde acquifere contaminate come quello circostante al Po di Volano. Esplicativi esempi di questo preoccupante fenomeno sono la scoperta di CVM nell’area in processo di urbanizzazione di Via del Lavoro (tra ex Eridania, Coop Estense e Volano) dove si rileva una concentrazione di 400 microgrammi di sostanza al litro o la scoperta impensabile di CVM stagnante in Piazza del Popolo a Copparo. Ed infine, il più eclatante: In alcuni pozzi di Pontelagoscuro sono state calcolate le concentrazioni esorbitanti di 14.000 microgrammi al litro; il che equivale più o meno a 7 tonnellate!
I fatti elencati ci spingono a trarre alcune logiche conseguenze: nessuna condanna simbolica e/o di marginale rilevanza ha potuto arginare la marcia assassina di queste imprese il cui unico fine è stato, è e rimarrà sempre il profitto; è necessario, in primo luogo, capire ciò. La delega delle proprie rivendicazioni per quel che riguarda la propria salute ad organi istituzionali, come la magistratura, è una pratica inidonea e anche difficilmente percorribile quando si ha a che fare con grandi multinazionali, è opportuno spostare decisamente l’asse della lotta dai tribunali ai luoghi di sfruttamento effettivo. I lavoratori, e gli uomini tutti, non hanno che una possibilità per sopravvivere: ridivenire consapevoli del fatto che la loro forza risiede solo in loro e non nelle macchine al servizio dei padroni, si chiamino queste tribunali o sindacati confederali (che anche quando in buona fede pospongono la salute all’occupazione). L’esigenza della produzione continuerà a prescindere dalle esigenze di tutela della salute finché la difesa delle nostre vite non verrà portata avanti da una lotta serrata contro lo sfruttamento in ogni sua manifestazione.

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Distribuzione “Invece” e “Terra selvaggia”

Sono in distribuzione i numeri di:

  • “Invece”, mensile anarchico nazionale di contro-informazione e critica sociale (€ 1)
  • “Terra selvaggia”, pagine anticivilizzatrici (€ 3, cadenza trimestrale)

 

per info: kronstadt21fe@inventati.org

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“Domani potrebbe esser tardi – qualche nota sul ritorno del nucleare”

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“Controffensiva” numero speciale corteo Ferrara 16 maggio ’09

Di seguito il link per il numero speciale di “Controffensiva” uscito in occasione del Corteo Nazionale contro la repressione “Mai più l’altra guancia” tenutosi a Ferrara il 16 maggio 2009Controffensiva_numero_speciale

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“Controffensiva” n. 0

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“Il Bacillo Anarchico” num. 3

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“Il Bacillo Anarchico” n. 2

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Il bacillo Anarchico n.1

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Il modello del sapere hacker in quanto costruzione collettiva deve essere messo in discussione alla radice, perché, prima di tutto, dobbiamo chiederci qual è il valore di uso sociale di quello che si produce in rete, e che posto può … Continua a leggere

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Presidio su Strage di Brindisi e Strategia della tensione [ANNULLATO]

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